[PARIGI]
Lo scorso fine settimana la scena politica francese si è trasferita alla base 217 Brétigny sur Orge, a sud di Parigi, dove si è svolta la tradizionale Fête de l’Humanité. La festa popolare dei comunisti, che costituisce un appuntamento estivo di massa anche sotto il profilo culturale, ludico e di costume, si è trasformata nel più grande evento di politica interna dell’anno, dopo le elezioni legislative in cui la sinistra unita nel Nouveau Front populaire ha ottenuto poco meno di duecento eletti all’Assemblea nazionale. Non si è trattato, infatti, del solito villaggio globale con 172 stand – dalla Federazione francese del bridge a Exctintion Rébellion – e una cinquantina di ristoranti, quest’anno la festa si è inserita temporalmente tra la nomina a primo ministro di Michel Barnier e la composizione del suo gabinetto in parallelo alla nomina a presidente di Ursula von der Layen e la composizione della sua Commissione UE. Nella novità di un governo voluto da un capo di stato di minoranza, ma in carica sino al 2027, si inserisce l’unicum di un tecnocrate esponente di un partito, il gollista, ultraminoritario a capo di un governo che si regge fino a che Le Pen e Bardella non decideranno di sfiduciarlo.
In questo quadro proprio il PCF e la sua cultura di partito hanno corroborato un’unità nel Nouveau Front populaire che poteva non essere scontata dopo una campagna elettorale di barrage contro l’estrema destra tradita da Macron per escludere Mélenchon da qualsiasi posizione di governo.
Gianluca Schiavon con Fabien Russel, Pierre Laurent, già segretario del PCF e presidente del Partito della Sinistra europea, e con Peter Mertens, segretario del PTB (Partito della sinistra belga)
Ho avuto modo di discutere con molti esponenti della situazione in primis istituzionale che trova origine nella Costituzione della V Repubblica: nel semipresidenzialismo, nel ruolo subordinato del Parlamento, in un ramo non eletto dai cittadini, e una legge elettorale maggioritaria, benché a doppio turno, che premia la personalizzazione estrema della politica. L’assetto politico francese è stato definito efficacemente da Fabien Roussell nel comizio finale molto partecipato come semidemocrazia. Non sfugge che i contorcimenti politici del Partito socialista con una minoranza organizzata per rompere l’aggregazione elettorale da un lato, e, dall’altro, la strategia comunicativa di Jean Luc Mélenchon subito dopo le elezioni parlamentari abbiano diviso le direzioni politiche portando alcuni componenti de la France Insoumise a uscire dal gruppo parlamentare, come il gruppo Apres+Ensemble! di Clémentine Autain rieletta al primo turno deputata di Saint Denis. Non sfugge che il collante per i 198 deputati di opposizione a Barnier saranno le lotte non solo sindacali della CGT, che ha visto una presenza organizzata di tutte le principali categorie e degli oratori di primo piano come il suo ex segretario generale Philipe Martinez e la nuova Sophie Binet. La segretaria, infatti, ha letteralmente infiammato la platea del palco principale lanciando la mobilitazione generale contro il governo dell’austerità il 1 ottobre alla presentazione della legge di bilancio all’Assemblea nazionale e al contempo una campagna su tutti i posti di lavoro contro il razzismo e l’antisemitismo.
La semidemocrazia inedita voluta da Macron porta a una reazione persino in settori delle classi dirigenti, come testimonia, la presenza a Brétigny dell’ex primo ministro gollista Dominique de Villepin che, in un dibattito con il direttore de l’Huma Fabien Gay, ha ribadito una sua dichiarazione ovvia quale la legittimazione a governare, in una regime rappresentativo, della sinistra anche radicale.
In festa le delegazioni straniere hanno un ruolo non marginale così come non sono marginali i temi lanciati dal Village du monde, un luogo fisico con oltre quaranta stand e un palco dedicato. In questo contesto ho potuto incontrare sabato Angela Davis, la militante indomita del movimento statunitense e delle Black Panther ma anche l’allieva di Herbert Marcuse e la discussant con Jean Paul Sartre. Angela, che è già un pezzo di storia francese, come dimostra la recente intitolazione di un liceo nella banlieue parigina, sta facendo bagni di folla girando la Francia a presentare Mumia, la plume et le poing, un libro sull’ingiusta carcerazione di Mumia Abul Jamal di cui ha scritto la prefazione.
In festa ha poi presentato anche un altro libro, Cette femme qui nous regarde, dello scrittore franco-congolese Alain Mabanckou ed è stata intervistata da Christophe Deroubaix in un incontro seguito da circa duemila persone nella sola arena. L’intervista ha spaziato su ogni tema della contemporaneità. La sua fiera dichiarazione di appartenenza – “sono comunista, con la C maiuscola” volendo unire le lotte al capitalismo, al patriarcato, al razzismo e all’inquinamento – non le ha impedito di dicharare il voto a Kamala Harris per “creare una situazione politica che permetterà a coloro che sono più radicali di spingere l’anticapitalismo e l’antirazzismo”. Davis ha anche ricordato il genocidio palestinese a Gaza abbracciando la ambasciatrice palestinese nella Republique ed evocando il ruolo paradigmatico della situazione di Gaza per i popoli oppressi dalla guerra in tutto il mondo.
Angrela Davis con una militante e, a destra, con Gianluca Schiavon
Il tema delle guerre è stato, nella festa del giornale fondato da Jean Jaures, il tema centrale nel Village du monde perchè squaderna tutti le declinazioni della crisi mondiale: la corsa la riarmo, lo sfruttamento feroce delle risorse in Africa, l’assenza di una politica per la pace delle istituzione europee, il neocolonialismo e il neoimperialismo russo e anglostatunitense. Come dirigente di Rifondazione comunista, delegato al congresso fondativo del Partito della Sinistra europea, mi è stata data una grande opportunità di confronto e di arrichimento nell’ottica di sprovincializzazione dell’attuale disagio della sinistra italiana che è anche disagio del Partito europeo, nella speranza che non si manifesti una nuova scissione, ma questa è un’altra storia…
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