E così, dopo Gianluca Vialli, se n’è andato anche Totò, come se il destino avesse deciso di accanirsi contro quella squadra troppo bella per vincere, troppo divina per durare a lungo sulla Terra, troppo perfetta per non dissolversi, al pari di un Paese che, da allora, è cambiato assai in peggio.
Aveva appena cinquantanove anni, il palermitano Schillaci. Era nato nel ’64, proprio come Vialli, e se n’è andato un anno e mezzo dopo il campione di Cremona. Ribadiamo: non tutto si può spiegare con la razionalità, ma se c’è un destino è davvero atroce. È atroce, infatti, pensare che l’eroe delle “notti magiche” di Italia ’90 si sia trasferito lassù, come se un Dio beffardo avesse deciso di continuare a giocare in cielo partite che dalle nostre parti, evidentemente, non siamo più in grado di apprezzare. È atroce pensare che non abbia fatto in tempo a compiere sessant’anni, rendendo impossibile una celebrazione che avrebbe meritato più di chiunque altro. È atroce, ma purtroppo dobbiamo rassegnarci a questa maledizione, anche se è davvero impossibile accettare tanta sofferenza, tanto dolore, tanto inutile martirio della speranza, in una stagione nella quale avremmo, invece, un disperato bisogno di tornare a sorridere.
Totò Schillaci, al pari di Grosso, è stato il mito di un’estate. Non un portento, non un fuoriclasse eterno, non un Rivera o un Del Piero ma un magnifico Carneade, apparso all’improvviso in una Juve tra le meno forti di sempre e portato in Nazionale da un esperto di imprese impossibili come Azeglio Vicini, più che un allenatore un demiurgo, capace di plasmare una generazione di fenomeni fino a renderli una squadra. Il mite timoniere di Cesena, con l’intraprendenza tipica dei romagnoli, aveva plasmato un gruppo di ragazzi che si conoscevano fin dall’adolescenza, che avevano condiviso lo stesso pane e gli stessi sogni e che erano diventati grandi insieme, trovando un affiatamento che consentiva loro di esprimersi in campo come se fossero un club. A questo impasto quasi perfetto aveva poi aggiunto, con un’intuizione geniale, quel furetto della Trinacria che la Juve aveva pescato nel Messina, dove aveva fatto faville, portandolo in Serie A e beneficiando del suo talento e della sua grinta. Non era una Juve in grado di vincere molto: il Napoli di Maradona e il Milan di Sacchi erano di un altro pianeta. Fatto sta che qualche soddisfazione, anche grazie a Totò, Madama se la tolse eccome. Al che Vicini, con il guizzo del talent scout che gli era proprio, decise di trasformare in oro quel venticinquenne assetato di gloria. Il resto venne da sé.
Ripetiamo: non è stato un fenomeno, men che meno ha avuto la continuità dalla sua. Ma questo non sminuisce, anzi esalta, quel mese in cui l’Italia intera intonò a squarciagola la canzone di Nannini e Bennato, quasi sostituendola all’Inno di Mameli, prima che i dannati rigori di Napoli, con mezzo stadio che parteggiava per Maradona, spegnessero gli ardori di una compagine che si sarebbe potuta tranquillamente togliere la soddisfazione di conquistate il titolo mondiale. Quella sconfitta rappresentò, in piccolo, ciò che la sconfitta di Firenze, sempre ai rigori e sempre contro l’Argentina, aveva rappresentato per la Jugoslavia, che perdendo accelerò la propria dissoluzione nel sangue e nell’orrore. Anche noi, come detto, da allora non ci siamo più ripresi. E oggi non rimpiangano tanto i suoi gol quanto il fatto che Schillaci per alcuni abbia rappresentato gli anni della gioventù, per altri l’ultima illusione, per tutti la certezza di essere ancora grandi. Da quel momento in poi, è stato solo declino. E ora che siamo sprofondati nell’abisso, il candido Totò ci ha detto addio. Forse, più che un Carneade era un angelo, profondamente buono e straordinariamente ingenuo, venuto ad annunciare una novella che abbiamo deciso di ignorare.
Addio da un sognatore che non si è mai arreso.
L’articolo Le magie di Totò proviene da ytali..