Anura Kumara Dissanayake, 55 anni, è stato eletto presidente dello Sri Lanka, promettendo una politica “pulita” con l’obiettivo di portare il Paese fuori da una drammatica crisi economica. “AKD”, come viene chiamato dai media locali, è un ex (forse) marxista del partito chiamato Janata Vimutkhi Peramuna (JVP), cioè Fronte di Liberazione Popolare.
Il piccolo Paese insulare – 23 milioni di abitanti, in maggioranza di etnia cingalese ma con una minoranza di tamil concentrata nel nord del Paese – è sprofondato in una drammatica crisi economica dopo un decennio di malgoverno della famiglia dei Rajapaksa – i due fratelli Gotabaya e Mahinda si sono succeduti alla testa del governo, con risultati disastrosi per l’economia e per il livello di vita della maggioranza della popolazione. Dissanayake dovrà affrontare l’elefantiaco debito estero del Paese, di 46,9 miliardi di dollari e un’economia devastata.
Il governo uscente del conservatore Ranil Wichremasinghe – una vecchia volpe della politica, accusato di essere stato molto vicino ai Rajapaksa – è in qualche modo riuscito a contenere gli effetti della rivolta popolare che nel 2022 ha portato alla caduta del regime dei Rajapaksa ed ha ottenuto un prestito di 2,9 miliardi di dollari dal Fondo Monetario Internazionale (FMI).
Per ora, AKD ha rilasciato dichiarazioni vaghe, promettendo che sviluppera’ “la produzione industriale, l’agricoltura e la tecnologia informatica” e aggiungendo che è necessario per il Paese “rafforzare la democrazia” oltre a mantenere strette relazioni con l’FMI.
Il compito che l’aspetta e’ tutt’altro che facile.Lo Sri Lanka è un paese dotato di una natura meravigliosa e che ha la fortuna di avere dei gioielli architettonici come i templi sulle colline di Kandy.Pero’, ha alle spalle una storia terribile, fatta di violenze e sopraffazioni.
I rapporti tra le due principali comunità etniche del Paese, i cingalesi e i tamil, sono complicati dalle relazioni con la vicina India dove, nello Stato del Tamil Nadu vivono decine di milioni di tamil. I cingalesi dello Sri Lanka sono in grande maggioranza buddhisti, mentre i tamil sono divisi tra hindu e cristiani. Sull’isola vivono anche circa due milioni di musulmani, concentrati nelle regioni orientali.
Negli anni Ottanta del secolo scorso esplose nel Paese una sanguinosa guerra civile, condotta dalla parte dei tamil da una organizzazione terroristica chiamata Liberation Tigers of Tamil Eelam (Tigri per la liberazione della patria tamil, LTTE), guidata da un leader astuto e sanguinario, Velupillai Prabhakaran. Nel corso degli anni, Prabhakaran si rivelò un grande organizzatore e un abile militare, arrivando con le sue “tigri” a controllare il nord e l’est del Paese. Al culmine della sua forza l’LTTE, che riceveva soldi dall’India meridionale oltre che dalla consistente diaspora tamil presente in altri Paesi dell’ Asia, negli USA e in Europa (Italia compresa) era considerato invincibile o quasi, tanto che negli anni Novanta Prabhakaran compariva nelle classfiche dei “cinquanta uomini pià potenti del mondo”.
Alcuni commentatori, osservando i vani tentativi dell’ esercito dello Sri Lanka di strappare all’LTTE le aree che controllava nel nordest, si spinsero a considerare la situazione irreversibile, basandosi sull’assunto che mentre i militanti tamil erano pronti al sacrificio supremo – a decine morirono nelle azioni condotte dalle squadre suicide – i soldati cingalesi non avevano una motivazione sufficiente per combattere per un territorio – le regioni tamil del nordest – che sentivano come diverso e non appartenente a loro.
Il corteo marcia al canto di Bella Ciao!
Nel 1987 l’allora primo ministro indiano Rajiv Gandhi inviò un corpo di spedizione nel nord dello Sri Lanka in base a un accordo col governo di Colombo. Decine di militanti delle “tigri tamil” furono uccisi in scontri a fuoco con i soldati indiani. I suoi maggiori leader, tra cui lo stesso Prabhakaran, furono convocati a New Delhi, tenuti di fatto prigionieri e costretti ad accettare l’accordo. Una imposizione che Prabhakaran non perdono’ mai a Rajiv. Pochi anni dopo, nel 1991, mentre parlava in un comizio nel sud dell’India, il leader indiano fu ucciso da una potente bomba in un attentato organizzato dall’LTTE.
Quella che al momento apparve come una vittoria – politica oltreché militare – delle “tigri”, si rivelo’ in seguito come l’ inizio della loro fine.
L’LTTE continuò a essere sostenuto dai politici del Tamil Nadu e dalla diaspora ma perse il decisivo sostegno dell’India. Nei primi anni del nuovo secolo i governanti cingalesi di Colombo riuscirono a organizzare un esercito efficiente, che riprese a combattere con successo contro l’LTTE fino a sopraffare, nel 2009, la sua roccaforte sulla costa orientale del Paese e ad uccidere lo stesso Prabhakaran.
Mentre nel nordest infuriava la guerra contro l’LTTE, nel sud dello Sri Lanka nacque un altro temibile gruppo, appunto il Janata Vimutkhi Peramuna, che impose un regime di terrore nelle regioni meridionali e che fu sconfitto dall’esercito di Colombo solo nel 1989 quando il suo fondatore e leader Rohana Wijewera fu catturato e ucciso a sangue freddo da una delle “squadre della morte” create dal governo di Colombo per combattere il terrore con il terrore.
In seguito, il JVP è rimasto un gruppo minuscolo, emarginato dalla scena politica dello Sri Lanka. Negli ultimi anni, le sue posizioni politiche sono state estremamente confuse, oscillando tra il marxismo rivoluzionario del passato e l’adesione piena alla democrazia.
L’LTTE è scomparso del tutto dopo la fine di Prabhakaran.
Il problema della minoranza tamil nel nordest del Paese, però rimane ed è uno dei più complicati che Dissanayake dovrà affrontare per rimettere lo Sri Lanka sulla strada della crescita economica, dato che fa parte del più grande problema delle relazioni con l’India e con la sua concorrente, la Cina. Pechino infatti ha ingenti investimenti nel Paese che vedeva – e forse vede ancora, non è chiaro – come una delle componenti della “via della Seta marittima” sognata dal presidente cinese Xi Jinping.
Secondo le prime analisi il neo-presidente ha ottenuto notevoli consensi nelle zone abitate dai tamil. La comunità tamil e’ composta da circa tre milioni di persone e appare, secondo articoli comparsi sulla stampa locale e su quella indiana, demoralizzata ed emarginata dopo aver sostenuto compatta Prabhakaran e le sue “tigri”.
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