L’Intelligenza Artificiale (IA) non è più una tecnologia del futuro: è una realtà che sta già trasformando profondamente il mercato del lavoro. La domanda che dobbiamo porci è se siamo pronti a gestire questo cambiamento o se rischiamo di esserne travolti.
Secondo il World Economic Forum, entro il 2025 l’IA potrebbe eliminare 85 milioni di posti di lavoro, ma ne creerà altri 97 milioni. Inoltre, il cinquanta per cento delle attività lavorative odierne potrebbe essere automatizzato entro il 2055. Questi numeri non riguardano solo il settore tecnologico, ma si estendono a settori come l’industria e i servizi. Con il rapido evolversi della tecnologia, sia aziende che lavoratori devono affrontare la necessità di adattarsi a questi cambiamenti.
Un esempio concreto dell’impatto dell’IA è arrivato martedì della scorsa settimana, quando il Premio Nobel per la Fisica è stato assegnato a John Hopfield e Geoffrey Hinton, scienziati che hanno applicato principi della fisica allo sviluppo del machine learning, una branca dell’IA. Geoffrey Hinton, che nel 2023 ha lasciato Google per discutere apertamente delle preoccupazioni legate agli sviluppi incontrollati dell’IA, ha lanciato un segnale d’allarme. Secondo lui, l’IA potrebbe sostituire professionisti in ruoli come traduttori, legali o assistenti personali, poiché “toglie il lavoro pesante”, ma potrebbe anche spingersi oltre, trasformando radicalmente molte professioni.
È quindi evidente che il tema dell’IA è più che mai attuale. Tuttavia, accanto alle preoccupazioni, è importante riflettere anche sugli impatti positivi che questa tecnologia potrebbe avere. Uno studio di McKinsey dimostra che l’IA ha il potenziale per aumentare la produttività tra lo 0,1 e lo 0,6 per cento annuo fino al 2040, migliorando la qualità del lavoro e riducendo il divario tra lavoratori meno qualificati e quelli più specializzati.
Un esempio interessante dell’applicazione dell’IA in Italia è il progetto Savia in Emilia-Romagna, che utilizza l’IA per migliorare la qualità delle leggi e promuovere una cultura etica nell’uso delle nuove tecnologie. L’IA viene anche impiegata nel campo della fiscalità per garantire maggiore equità nel recupero delle tasse. Questi esempi dimostrano che l’IA non è solo uno strumento di efficienza, ma può anche essere utilizzata a beneficio della collettività, a patto che vi sia una chiara visione politica alla guida.
Però, affinché questo scenario positivo diventi realtà, è necessaria una preparazione adeguata. Secondo l’INAPP, solo una minoranza delle imprese italiane ha integrato l’IA nei propri processi: appena il due per cento delle PMI. Inoltre, molti lavoratori non comprendono appieno il potenziale dell’IA. Questo è un problema serio, poiché senza una formazione adeguata né le imprese né i lavoratori saranno in grado di cogliere i benefici che l’IA può offrire.
Un passo avanti significativo in questa direzione è stato compiuto dall’Unione Europea con l’approvazione dell’AI Act, lo scorso luglio. Questo regolamento mira a proteggere i diritti dei lavoratori e a garantire che l’innovazione tecnologica non vada a discapito della dignità delle persone.
Ecco che arriviamo alla domanda centrale: siamo pronti a governare l’innovazione o sarà l’innovazione a governare noi? Le decisioni che prendiamo oggi riguardo al lavoro e all’IA influenzeranno profondamente il nostro futuro collettivo. Governare l’innovazione significa garantire che i frutti del progresso siano distribuiti equamente, che le nuove opportunità siano accessibili a tutti e che il lavoro resti un’esperienza di dignità e realizzazione personale.
Non possiamo permettere che l’innovazione diventi uno strumento di esclusione sociale. Dobbiamo invece abbracciarla come un’opportunità per ridisegnare il mondo del lavoro in modo più equo e umano. Se lo facciamo, il futuro del lavoro non sarà una minaccia, ma una promessa di una società in cui tecnologia e dignità del lavoro vanno di pari passo.
Il cambiamento è già in corso. Ora spetta a noi, con consapevolezza e coraggio, decidere come affrontarlo.
L’articolo Artificial mente proviene da ytali..