Giuseppe Giannini, che di recente ha compiuto sessant’anni, è stato, per Roma e per la Roma, molto più di un capitano, di una bandiera e di un punto di riferimento. Forse è stato ancor più di Totti, che a differenza sua ha avuto la fortuna di vivere la stagione d’oro della Roma dei Sensi: quella dei campioni, dello scudetto, del quinquennio di Capello, delle varie coppe nazionali vinte e della partecipazione pressoché costante alla Champions League. Giannini no: fatto salvo lo scudetto targato Liedholm e Falcão e lo scudetto sfiorato con Eriksson, ha giocato in una Roma assai meno forte, assai meno competitività, quasi mai in grado di insidiare le corazzate del Nord. Eppure, questo talentuoso centrocampista, “romano de Roma”, con un cuore grande e una passione smisurata, non ha mai pensato di andare altrove, salvo a fine carriera, quando il meglio l’aveva ormai dato all’unica causa che gli interessasse davvero.
Venne soprannominato “il principe” dal compagno di squadra Odoacre Chierico, impressionato dalla sua classe, dal suo talento ma, soprattutto, dalla sua eleganza. Giannini, infatti, aveva in campo un portamento regale, degno di un numero 10, tanto che Totti da giovane venne accostato proprio a lui e ne venne, infine, considerato l’erede naturale.
Quindici anni in maglia giallorossa: una seconda pelle, un rapporto viscerale, un attaccamento che solo chi vive nella Capitale e soffre al seguito di quei colori può comprendere. Perché è vero che la Roma vince poco, ma è altrettanto vero che è difficile abbandonarla. Non ci si può privare, difatti, di un certo clima, dell’amore genuino della gente, di un certo modo di essere, della meraviglia dei luoghi, della storia, della poesia dei tramonti, di quel modo di essere verace, spontaneo e testaccino di cui oggi s’è un po’ smarrito il seme ma che ancora ai tempi di Giannini era la cifra esistenziale di una città abituata a essere al centro di molteplici storie e per questo cinica, disincantata ma, al contempo, in grado di trasmetterti sensazioni uniche; e soprattutto non si può fare a meno dei sogni della gioventù, ossia ciò che la maglia giallorossa ha rappresentato per un ragazzo che con quei colori è nato e cresciuto, che per quei colori ha vissuto e che di quei colori è stato l’alfiere, prima di passare il testimone a un portabandiera dello stesso livello.
Senza dimenticare l’epopea azzurra. Classe ’64, come gli sfortunatissimi Vialli e Schillaci e come l’icona del Napoli Osvaldo De Napoli, il principe è stato uno degli allievi prediletti di Azeglio Vicini, fin dai tempi dell’Under 21, per poi vivere la propria consacrazione nelle “notti magiche” di Italia ’90. Quell’avventura non si è conclusa come speravamo, ma la sconfitta di Napoli contro l’Argentina di Maradona non può cancellare le speranze profonde, le emozioni indescrivibili e la gioia autentica che quella Nazionale ci ha trasmesso. Dovemmo accontentarci del terzo posto, battendo nella finalina di consolazione a Bari l’Inghilterra, ma ciò non toglie che quell’Italia sia stata una delle più belle, delle più coese e delle più efficaci di sempre. Giannini, all’epoca, aveva ventisei anni, tutta la vita davanti, la felicità negli occhi e un futuro ancora da scrivere. Oggi ne ha sessanta, è un uomo sereno e in pace con se stesso e la decadenza complessiva non scalfisce in alcun modo i traguardi che ha raggiunto grazie alla sua bravura.
La carriera da allenatore non è stata all’altezza di quella da calciatore, ma non fa niente. Lunga vita a un “core de Roma” che Roma tuttora ama, nella dolente attesa che sorga un’altra primavera e, magari, un’altra estate nella quale inseguire un gol e un abbraccio.
L’articolo Er principe proviene da ytali..