A cent’anni dalla sua morte, Mondadori propone una nuova edizione integrale in italiano delle opere, dei diari e delle lettere di Franz Kafka (1883-1924), a cura di Luca Crescenzi , con la partecipazione di studiosi dello scrittore praghese. Frutto di questo progetto saranno cinque volumi dei Meridiani, che saranno pubblicati nei prossimi anni. La raccolta di racconti Un medico di campagna, in un meridianino, ne è un’anticipazione. Il prof. Crescenzi ne parlerà in un incontro all’Ateneo Veneto, il prossimo 25 ottobre, in dialogo con Alessandro Piperno e Claudio Giunta.
In vista dell’incontro in Ateneo, ytali. l’ha intervistato.
Perché una nuova traduzione dell’opera di Kafka?
Le traduzioni invecchiano, a ogni autore corrisponde il linguaggio che si ritiene utile a rappresentare la sua opera, secondo una visione della sua opera. L’opera di Kafka è stata considerata in molti modi diversi, prima in chiave teologica, poi in chiave psicologica, poi in chiave sociale, ecc. Questo divenire dell’interpretazione condiziona anche il linguaggio della sua opera.
Oggi si tende a tradurre Kafka con un linguaggio differenziato, ma molto più vicino a un linguaggio colloquiale quotidiano di quanto non si facesse prima. È necessario svecchiare un po’ il linguaggio di Kafka.
La raccolta di racconti Un medico di campagna è la prima opera dell’autore pubblicata dalla nuova edizione di Mondadori. Cosa la rende un’opera di spicco?
Sono quattordici racconti che contengono quasi l’essenziale di Kafka. Come Davanti alla legge, che proviene dal Processo ed è in qualche modo rappresentativo del romanzo, del mondo romanzesco di Kafka. Contiene alcune saghe, come Un messaggio dell’imperatore, che rappresentano una modalità espressiva tipicamente kafkiana. Comprendono racconti pressoché aforistici, come Il più vicino villaggio. Sicuramente ci danno una misura della grande varietà di toni, temi, stili, motivi che caratterizzano l’opera di Kafka e di generi attraverso cui la sua opera si muove. Il tutto in uno spazio relativamente ristretto. Ci è sembrato valesse la pena proporlo per primo, per dare un’idea del tipo di operazione che faremo.
I racconti più conosciuti sono tre – Un medico di campagna, Davanti alla legge e Un messaggio dell’imperatore. In genere sono studiati singolarmente. Ad esempio, Davanti alla legge è considerata parte del romanzo Il Processo, oppure un racconto a se stante. Tu sottolinei invece che lo stesso Kafka ha volutamente pubblicato questi racconti in un’unica raccolta. Cosa li collega tra loro?
Kafka ha pubblicato gran parte dei racconti sia separatamente sia all’interno della raccolta, ma sicuramente ha cominciato a progettare la raccolta mentre stava ancora scrivendo questi racconti. All’origine ha un disegno che si modifica di pochissimo nel corso del tempo e che poi conduce alla pubblicazione.
Nel marzo del 1917 la raccolta è già concepita, anche se non è completa. Ad esempio, non è stata ancora scritta Una relazione per un’Accademia, uno dei grandi capolavori di Kafka. Successivamente, il disegno non cambia fino alla pubblicazione dell’opera, che avviene nel 1920. Inoltre, quando Martin Buber chiede a Kafka alcuni racconti per la sua rivista Der Jude, Kafka gli propone insieme tutti e dodici i racconti che aveva fino a quel momento. L’idea è sempre stata per lui quella di fare una raccolta, il che non significa che non si possa poi analizzare singolarmente ogni racconto. Tuttavia, ci sono delle profonde trasformazioni se si leggono i racconti singolarmente o se si leggono nel loro insieme.
I fantasmi sono figure già presenti nella letteratura precedente a Kafka. Cosa contraddistingue i fantasmi kafkiani di questo volume?
I fantasmi, che cominciano ad affermarsi intorno alla metà dell’Ottocento come protagonisti del teatro e poi della narrativa, collegano mondi separati, il passato col presente, il visibile con l’invisibile, la colpa con l’espiazione, e così via.
Nel caso di Kafka, i fantasmi compaiono soprattutto nel primo e in parte del secondo quaderno in ottavo. Sono i quaderni che Kafka porta con sé nel 1916 e nel 1917. In quel periodo può scrivere nella casetta della sorella Ottla, nella famosa Alchimistengasse, che ancora oggi è visitabile. Questi fantasmi non conducono da nessuna parte, non sono rappresentativi di qualcosa, sono rappresentativi di se stessi e quindi di una dimensione che perde completamente ogni referenzialità. Diventa una dimensione onirica, la quale rimanda unicamente a se stessa. Il fantasma esiste e ha significato in quanto è se stesso, una creatura impossibile. La caratteristica dei fantasmi kafkiani è di dare un corpo all’impossibile.
Lo scrittore era vegetariano, non mangiava carne per nessuna ragione al mondo. Molti animali popolano Un medico di campagna. Alcuni personaggi erano, in passato, animali che si sono trasformati in esseri umani, altri erano esseri umani che sono diventati animali. Tu affermi che “il rapporto gerarchico tra esseri umani e animali sembra svanire”. Come avviene tutto questo e come può essere letto?
Nella narrativa kafkiana l’uomo è sempre rappresentato come ciò che è e ciò che potenzialmente contiene in sé. Per Kafka, potenzialmente l’uomo contiene in sé l’animale. Questo è chiaro già ne La Metamorfosi. Nei racconti del 1917 Kafka lavora molto su questa animalità che l’uomo non vuole vedere. L’essere umano ha paura di questa sua natura profonda, che lo stranierebbe a se stesso.
Nelle opere successive, almeno a partire dalla Lettera al padre, il problema è l’opposto. L’uomo non vede invece il dio in sé, il terribile dio che contiene in se stesso. Questi sono i due estremi entro cui si svolge la ricerca di Kafka. Se ancora a Felice Bauer può dire di voler conoscere tutto ciò che è possibile intorno al mondo degli uomini e degli animali, più tardi intensificherà i suoi studi religiosi. Studi che cominciano in questo periodo, proprio perché l’oggetto diventa un altro, diventa la natura dell’umano superiore all’uomo. Non c’è più distinzione fra uomo e animale perché l’uomo è anche un animale. Chiunque contiene in sé la potenzialità di essere animale e di pensare come un animale.
Il tempo è un altro elemento che Kafka rappresenta in modo singolare. Non è definito, i personaggi vivono nell’indeterminatezza. Come sono narrati il passato e il presente, l’antico e il moderno? Parli di “visione di un tempo di mezzo”.
In questa opera Kafka ha fatto riferimento a visioni che risalgono a saghe ebraiche e, più in generale, a un grande testo dell’antichità e della tarda antichità del Medioevo, il Romanzo di Alessandro. Quest’opera narra una delle materie più affascinanti che l’antichità abbia lasciato. Nelle sue versioni moderne giunge praticamente fino a noi, ancora oggi ci sono modificazioni che diventano best seller.
Per la cultura ebraica, Alessandro Magno era collegato a una visione escatologica, apocalittica. Alessandro Magno compie – Kafka lo annota sul diario – un’impresa memorabile, quella di confinare le due popolazioni apocalittiche Gog e Magog dietro il Caucaso. Chiude la valle, ma in sogno gli viene rivelato che, quando queste due popolazioni si libereranno, avrà inizio la fine del mondo.
Quando la fine del mondo ha inizio e quando ha termine, per Kafka è un dato ovvio: è sempre presente. A questa idea escatologica non dobbiamo attribuire un valore metafisico, ma un valore esistenziale. Viviamo in un tempo che è essenzialmente apocalittico, e che continuamente mette fine all’uomo, all’animale, alla realtà, al tempo, alla storia.
Di questo i racconti recano traccia. In Una relazione per un’Accademia una scimmia diventa uomo. L’uomo è l’animale apocalittico per la scimmia, perché in lui la scimmia finisce. Vale anche il converso, il tempo vissuto dagli esseri umani è un tempo che si dà quando il tempo è già tutto consumato.
È di centrale importanza la visione di Nietzsche del tempo per l’animale. L’animale vive in una sorta di condizione in cui il tempo è tutto consumato. A ogni istante dimentica il tempo appena passato. Conosce unicamente due dimensioni del tempo, conosce l’istante come tale. Ma quell’istante consuma per lui tutto il tempo, quindi istante ed eternità coincidono in una visione che produce, come si è detto, un eterno presente per Kafka.
In Un medico di campagna il medico fa due viaggi. Quello iniziale è velocissimo, si compie testualmente in un istante. Il viaggio di ritorno, che lui si aspetta avvenga allo stesso modo, invece non avrà mai fine. Perché? Perché la misura del tempo non esiste più. Viene a mancare una misura rassicurante del tempo, tutto è sprofondato.
Il disegno generale di questi racconti è quello di rappresentare una realtà che apocalitticamente ha consumato tutto il tempo alle sue spalle. Lo si vede dietro di sé o come un tempo brevissimo, consumato nel “più vicino villaggio” come in un attimo. Nessuna vita può bastare a compiere una cavalcata. Oppure, il tempo può estendersi all’infinito, come avviene ad esempio nella saga Un messaggio dell’imperatore.
Per la rappresentazione del tempo gioca un ruolo importante anche la punteggiatura. Come?
Il racconto in cui emerge la capacità di Kafka di caricare di significato anche un segno di punteggiatura è In galleria, Auf der Galerie. È un racconto molto particolare.
Presenta due scene in una sola frase. Successivamente, ripresenta la stessa scena, ma trasformata in senso positivo, in una serie di frasi brevissime interrotte da punti e virgola.
Noi non possediamo il manoscritto di Auf der Galerie, ma quelli di altri racconti. In Sciacalli e Arabi Kafka fa la stessa operazione, abbonda di punti e virgola. In tedesco, lingua che ha una sintassi estremamente normata, il punto e virgola si definisce unicamente come una pausa prolungata.
Nei racconti, con il punto e virgola Kafka vuole che il lettore faccia una pausa prolungata, che abbia la sensazione che non vi sia un legame fra gli episodi. Questo è evidente se si confrontano i racconti con i manoscritti. Nei manoscritti Kafka usa la virgola, solo nelle opere compiute inserisce i punti a virgola. Quel punto e virgola contiene in sé una cellula di tempo che ha particolare significato per il contenuto dei racconti.
In In galleria ci si trova dinnanzi alla frammentazione di un mondo che, non conoscendo più il tempo, non conosce più l’unità temporale dei fenomeni. Chi vive una situazione che non riesce a capire perché non riesce a collocarla nello spazio-tempo, fa un salto in una dimensione fantastica che riesce a narrarsi in modo unitario e comprensibile.
A quali tecniche narrative è fatto ricorso?
A tutte. Qui abbiamo, ad esempio, il monologo interiore, il discorso indiretto libero, il discorso autoriale.
Inoltre, in questa raccolta, per la prima volta nell’opera di Kafka, fa capolino la categoria del “noi”. È un noi indistinto. Il nuovo avvocato comincia con la frase “Wir haben einen neuen Advokaten”, “(Noi) Abbiamo un nuovo avvocato”, in altri racconti si parla in nome di una collettività. Questo fa sì che i microscopici racconti siano collegati a una totalità che si deve definire. È un racconto della collettività. Ne Il cruccio del padre di famiglia è uno scienziato che parla. Il padre di famiglia che porta il racconto comincia a descrivere un oggetto animato costituito di parti inanimate che non sa descrivere, non sa definire. Non ci riesce fino alla fine. In questa ricerca Kafka assume un tono quasi dottorale, sentenzioso: “La linguistica dice questo, l’osservazione naturale dice quest’altro …”, ecc.
Ci sono altri racconti scientifici – di cui probabilmente il modello era Flaubert di Bouvard e Pécuchet – come Una visita nella miniera e Undici figli. Anche in questi racconti il narratore si comporta da scienziato, da osservatore, cerca di descrivere la realtà che ha intorno, produce narrazioni noiosissime. Kafka si prende il rischio del racconto noioso pur di poter dimostrare quanto la scienza è incapace di rappresentare la realtà semplicemente attraverso i suoi modi descrittivi.
Di recente a Carpi ho lavorato insieme a un grande attore, Tommaso Ragno. Non avevamo avuto il tempo di provare nulla, ma Tommaso Ragno, con la sua voce meravigliosa li ha resi benissimo. Arrivato a Il Cruccio del padre di famiglia, ha cambiato completamente tono, si è messo a recitare – senza che gli avessi detto nulla – come uno scienziato perfetto. È stato un momento di assoluta epifania del racconto, non poteva essere interpretato meglio. Dietro la narrativa di Kafka, che sembra molto ermetica ma forse ermetica non è, c’è un’idea molto precisa di critica della cultura.
Quali sono i luoghi che Kafka predilige in questi racconti? E come rappresenta lo spazio?
In Kafka è molto significativo il rapporto città-campagna. In Un medico di campagna, è molto importante la città.
Abbiamo quasi solo racconti cittadini, di città sia antiche, sia moderne. La campagna, o ciò che alla campagna si assimila, come il deserto di Sciacalli e arabi, è uno spazio configurato come un non luogo, non ci sono punti di riferimento. In questo spazio senza punti di riferimento il tempo è vissuto in modo più congruente con la visione che Kafka ne ha. La cavalcata da un villaggio a un altro si svolge in uno spazio vuoto, non si conclude mai, è necessario muoversi fra due punti di riferimento senza punti di riferimento.
Il viaggio del medico di campagna è sottoposto a una temporalità del tutto arbitraria, quella dei suoi cavalli. Sono loro che lo portano e sono loro che vivono il tempo e impongono il senso del tempo al medico di campagna. Lo spazio è legato alla misura del tempo. Noi tuttora, senza pensarci, diciamo “è lontano solo cinque minuti”. Per Kafka questo è essenziale. Quando lo spazio si libera e diventa campagna, se non ci fosse la città, noi non apprezzeremmo l’importanza della campagna. Quando lo spazio diventa campagna o spazio libero, perde anche le sue determinazioni di tempo.
La lettura dei testi di Kafka porta a un intenso coinvolgimento del lettore. Come avviene questo?
Kafka rende il lettore protagonista del racconto. Estrapola, per dire, dal grande frammento narrativo Durante la costruzione della muraglia cinese, il racconto Un messaggio dell’imperatore. Il racconto è privo della frase che in genere costituisce l’inizio delle saghe e che ha la funzione di collocarlo nello spazio e nel tempo. Kafka la toglie e la fa iniziare con la frase
L’imperatore – si dice – ha inviato a te, il singolo, miserabile suddito, l’ombra minuscola fuggita a remotissima distanza dinanzi al sole imperiale, proprio a te l’imperatore ha inviato un messaggio dal suo letto di morte.
Chi lo legge è disorientato. Ha l’impressione di essere colui a cui l’imperatore ha mandato il suo messaggio. Quindi, il racconto pone il lettore in una posizione di attesa. Sapendo che alla fine questo messaggio non arriverà. Quindi decide scientemente, se già conosce il racconto, di mettersi in una posizione di attesa delusa.
Tra l’altro, siamo in piena guerra quando Kafka scrive Durante la costruzione della muraglia cinese. Francesco Giuseppe è morto da pochi mesi. L’imperatore è morto e il suddito che riceve il suo ultimo messaggio è l’uomo austro-ungarico del 1917. Vista la situazione bellica, ha ragione ad aspettarsi un messaggio dall’imperatore, ma questo messaggio non arriverà mai.
Elias Canetti definisce Kafka “esperto del potere”…
I rapporti di forza sono una dimensione fondamentale della narrativa kafkiana, proprio per le ragioni già rilevate. Tendiamo a opprimere l’animale e a sopprimere l’animale in noi. Tendiamo a sottometterci a una divinità che è comunque una divinità che noi siamo e conosciamo. Pur tuttavia, lo facciamo senza volerlo riconoscere. In Una relazione per un’Accademia un meccanismo esplicita molto bene fino a che punto Kafka sia raffinato nel rappresentare questi rapporti di forza. Qualcuno ha scritto, molto giustamente, che in Una relazione per un’Accademia la scimmia Rotpeter, diventata uomo, non è chiamata da un’accademia qualsiasi a raccontare la sua storia. L’accademia somiglia molto a un tribunale, la chiama a giustificare la propria esistenza di uomo e a dimostrare che è veramente un essere umano e che dentro di lei non c’è più nulla della scimmia.
Rotpeter lo fa, fin dall’inizio, molto scientemente. Tuttavia, di tanto in tanto la memoria scimmiesca gli gioca qualche scherzo. Accusa, ad esempio, il ridicolo senso della libertà umana. Qual è il meccanismo che Kafka mette in evidenza in questo racconto? Noi sentiamo solo la risposta della scimmia, sentiamo solo la sua relazione. Il meccanismo è quello che sottomette colui che deve tenere una relazione alla domanda che l’accademia ha posto. Kafka vede nel rapporto domanda-risposta già una definizione di rapporti di forza. L’accademia si sovraordina alla posizione della scimmia per metterla nella condizione di chi deve giustificarsi, di chi deve legittimarsi. Dopodiché, abilmente la scimmia capovolge il senso della cosa e, giocando sull’equivoco della parola relazione, volge a suo vantaggio il fatto di aver dato una risposta. Aver dato una risposta capovolge i rapporti di forza.
Oltre a Canetti, tieni molto conto dell’approccio proposto da Milan Kundera e da Walter Benjamin. Perché hai scelto la loro chiave di lettura?
Perché insieme a Canetti sono i più grandi lettori di Kafka. Non critici, ma lettori. Hanno capito meglio e più di chiunque altro determinati strumenti della narrativa kafkiana, determinati stratagemmi. Dice Canetti: “Ho capito cosa fa Kafka delle saghe ebraiche, le continua”. È una verità del tutto evidente. Molti hanno cercato la fonte della saga Davanti alla legge, ma nessuna saga è come quella. Kafka semplicemente l’ha portata oltre. Lo stesso avviene con alcuni miti, che scrive quasi contemporaneamente alla raccolta Un medico di campagna. Del mito di Prometeo lo scrittore praghese realizza quattro versioni. Di queste, il personaggio è rappresentato così come è tramandato nella storia soltanto nella prima. Dopodiché, nella seconda gli dei e le aquile si annoiano, nella terza tutti dimenticano, nella quarta il mito non è più presente.
Lo stesso accade in quella famosissima prosa che va sotto il nome di Il silenzio delle sirene. Odisseo si tappa le orecchie con la cera, si fa incatenare all’albero, ma le sirene sono mute. Tutto finisce in una grande pantomima in cui le sirene recitano animali che cantano e Odisseo fa finta di credere che loro cantino.
Kafka continua le saghe con questi capovolgimenti, come afferma Canetti.
Kundera ha insegnato a mettere l’occhio sul surrealismo kafkiano e sul suo umorismo. In Kafka ce n’è tanto. È un umorismo che non bisogna banalizzare. Kafka, quando vuol far ridere, ci riesce benissimo. È sufficiente leggere il cosiddetto “Frammento di Blumfeld”, Blumfeld, un vecchio scapolo o altri che hanno lo scopo di far ridere. È sempre un umorismo molto serio, proiettato su uno sfondo molto cupo.
Riguardo a Walter Benjamin, la sua interpretazione ormai è il pane quotidiano di chiunque si occupi di Kafka.
Come si conclude la raccolta? Si può uscire dallo stato di indeterminatezza e da una visione apocalittica della realtà?
No, non si può uscire. Alla scimmia Rotpeter, in fondo, succede di ripetere la creazione da capo, almeno la creazione dell’essere umano. Rotpeter è catturato ed è educato alla civiltà attraverso la reclusione, attraverso la perdita della libertà. Diventa uomo passando per stadi di violenza e reclusione. Sente il bisogno di una via d’uscita, e la sua via d’uscita non è altro che ripetere da capo il percorso dell’umanità. Questo percorso dell’umanità è rappresentato da una similitudine finale della scimmia semi-ammaestrata che ha lo sguardo folle dentro di sé – una condizione insuperabile.
Quindi non c’è nessuna escatologia redentiva, per dirla con Benjamin. Benjamin ha capito molto bene che è presente una visione salvifica, ma vuota. In Kafka non c’è nessuna trascendenza. Se Dio avesse voluto dare un’altra chance al mondo, gliel’avrebbe data, ma poiché non conosciamo nessun altro mondo, un altro mondo non c’è.
Immagini tratte da Franz Kafka: The Drawings
L’articolo Esplorando Kafka. Parla Luca Crescenzi proviene da ytali..