Ma oggi, per la prima volta, l’ecumene terrestre è divenuta di fatto realtà concreta. […] È urgente una Paideia per l’umanità planetaria, per i cittadini della cosmopolis, dell’emergente “patria” terrestre, e non più solo per i cittadini della polis. […] Una Paideia che contenga in sé il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa.
Mauro Ceruti
Terra patria, ma insieme anche Terra matria.
Edgar Morin
1. La biforcazione madre
Ogni sentiero si biforca sotto i nostri passi all’infinito, incrociandone innumerevoli altri, tracciati da altri passi ancora, insieme umani e non umani, in questo nostro tempo quasi di colpo densamente interconnesso. In questa neonata «ecumene terrestre […] divenuta di fatto realtà concreta», come sintetizza esemplarmente Mauro Ceruti nella sua meditata lectio, Una nuova Paideia nel tempo della complessità. Proposta insieme politica e formativa, come dice il richiamo all’antica Paideia. Imperniata – questa la biforcazione epocale che impone l’aggettivo nuova – sulla necessaria presa d’atto dell’avvento di una forma di vita terrestre del tutto inedita, che va scompaginando i nostri modi di pensare, sentire e agire più abituali: l’«ecumene terrestre», appunto. O «cosmopolis», o «patria terrestre». O ancora, come diremo qui con Edgar Morin, maestro amato per tanti di noi, ma per Mauro Ceruti, come noto, in modo speciale: patria/matria terrestre. Biforcazione madre, potremmo dire, ancora largamente misconosciuta, di tutte le altre innumerevoli biforcazioni che ci accade di incontrare e intrecciare a ogni passo, insieme a «tutte le diversità viventi e non viventi» (sono ancora parole di Mauro Ceruti, come sarà implicito, a seguire, ogniqualvolta ricorreranno virgolette-sergente).
2. Stordimento spaesante
L’espressione presa d’atto, riferita a tale biforcazione madre, non va qui intesa, è bene sottolineare, in termini separatamente cognitivi: doverosa, ovvia lettura dei numeri dell’interconnessione planetaria che ne attestano la portata globale (la fitta rete dei trasporti, delle comunicazioni iperveloci, delle vorticose transazioni finanziarie). Va intesa in termini anzitutto, sebbene non separatamente, sensoriali: come “presa” che contiene lo spaesante stordimento in atto all’interfaccia sensibile tra noi e la Terra-Gaia di cui siamo parte. Ovvero: il difficile risveglio a una realtà di fatto, concreta, dai contorni inafferrabili, eppure pervasiva, che non abbiamo visto arrivare, e che fa facendo obsoleti i nostri filtri percettivi più consolidati.
Ci eravamo preparati a lungo, noi moderno-occidentali, quanto meno, a un mondo reso sempre più decifrabile, grazie alla nostra capacità di «conoscere le cose nella loro separazione: […] fra ciò che è umano e ciò che è naturale, tra noi e le cose che conosciamo, tra il soggetto e l’oggetto; poi la separazione delle cose dal loro contesto e la scomposizione delle cose in tante parti elementari, “semplici”; e infine la separazione del sapere stesso in tante discipline, sempre più chiuse ciascuna in se stessa e fra loro lontane». Ma questo modo di conoscere ci ha portato tra le mani l’incapacità di pensare l’interconnessione unitaria fra tutte queste “cose”: «il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa».
Ci eravamo preparati a un mondo reso sempre più disponibile dal progresso della nostra tecnoscienza, e «scopriamo di abitare […] un mondo diventato indisponibile proprio per l’incremento esponenziale della quantità di informazioni prodotte e disponibili». Scopriamo che proprio il successo del «progetto [moderno] di controllo sul mondo ha incrementato l’incontrollabilità del mondo».
Ci eravamo preparati a immaginare l’unificazione planetaria come convergenza negoziale, nel lungo periodo, delle diverse patrie locali in contenitori istituzionali più ampi, via via più capaci di regolare i conflitti senza il ricorso alle armi, e ci tocca “prendere atto”, tutto insieme:
– che la convergenza decisiva da cui tale unificazione è scaturita, in appena una manciata di decenni, è quella tra l’euforico mercatismo neoliberiale e la potenza tecnoscientifica (con associate scandalose diseguaglianze: sergiomanghi.altervista.org/Fraternita___terrestri.pdf);
– che della patria/matria terrestre venuta al mondo con tale unificazione, gli umani non sono comunque che una parte, agente in essa “da dentro”, e non “da fuori” e “in controllo”;
– che questa inedita condizione terrestre annuncia un tempo di continue emergenze catastrofiche e di guerre minacciose: «L’arma nucleare e l’impatto umano sulla biosfera rendono possibile l’auto-soppressione dell’umanità. E questo è un fatto inedito. Sconvolgente».
Inedito, sconvolgente: con gli stordimenti, come si diceva, che ne conseguono. E che sta a noi, beninteso, ridurre a mere reazioni passive, come vorrebbero le ricordate attitudini dualistiche a separare «ciò che è umano e ciò che è naturale», e pertanto anche senso e sensi, oppure accogliere, come si diceva, fuori da quei dualismi, come segno di vitale presa d’atto della portata davvero sconvolgente delle mutazioni in corso. Presa d’atto inevitabilmente brumosa e informe, e povera o priva di parole, com’è ovvio che sia, data la perdita reale di “presa” sulle “cose” delle abitudini percettive e di parola più consolidate. Eppure…
3. Stordimento-apertura
Realtà di fatto, concreta, la presenza avvolgente della nostra tormentosa patria/matria terrestre si è fatta sentire acutamente, da tutti umani del pianeta, nella drammatica primavera di quattro anni fa. Quando di colpo «un virus microscopico ha reso macroscopica la complessità, l’interdipendenza del mondo globale, la multidimensionalità, l’incertezza, l’intrico dei problemi». Mentre le nostre usuali immagini del mondo erano intente a portarci fra le mani visioni frammentate di quel che ci stava accadendo – politica, sanità, economia, scuola, tecnoscienza, comunicazione, dolore ecc. –, i nostri corpi andavano sperimentando con immediatezza sintetica, attraverso comunicazioni iperveloci di scala planetaria, che anche tutti gli altri umani del globo stavano provando, in simultanea, sensazioni analoghe. Concreta esperienza comune di un inedito “presente relazionale continuo”. Prima ferita comune nella storia della specie. Primo nucleo sensibile di memoria condivisa da tutti gli umani del pianeta (sergiomanghi.altervista.org/RS30_-_Saggio_MANGHI__definitivo_.pdf).
Usi come siamo, noi moderno-occidentali, a tener separato il senso dai sensi, e a diffidare di questi in nome di quello, non ce ne siamo quasi accorti. Eppure è accaduto. Ce lo saremmo volentieri risparmiati, inutile dire. E una volta di più abbiamo reagito alla straordinaria complessità in atto, in larga prevalenza, tentando di rimuoverla, secondo il quasi-automatismo in forza del quale «più la complessità si impone come sfida ineludibile alla nostra esperienza e alla nostra conoscenza, più essa tende a essere negata e rimossa». Ma resta il fatto che è accaduto. Che quella ferita ci ha embrionalmente legati.
E il non aver saputo prenderne atto più consapevolmente, e tentare di trasformare quella diffusa sensazione intuitiva in apprendimenti più complessi, non è da mettere in conto alla presunta ottusità “naturale” delle nostre intelligenze sensoriali, ma alla ottusità inerziale di abitudini conoscitive forgiate più al saper «conoscere le cose nella loro separazione» che al saper cogliere «il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa».
4. Educarci al senso del legame
Il modello educativo “mercatista” della domanda e dell’offerta formativa, votato alla proceduralizzazione organizzativa e alla produzione di individui “imprenditori di se stessi”, magari integrato da prediche anti-individualiste familistico-sovraniste, si va riconfermando pressoché automaticamente, sostanzialmente sordo alla profonda metamorfosi in atto. E nessuna istanza politico-educativa sembra avvertire l’urgenza di convocare veri e propri “stati generali” dell’educazione, all’altezza di tale metamorfosi. Ma non per questo si deve rinunciare a fare ricerca e a formulare proposte, per «una nuova Paideia che contenga in sé il senso dell’irriducibile legame di ogni cosa con ogni cosa».
4.1. La relazione precede. Precede l’azione, che è sempre rel-azione. Così è per ogni vivente, in quanto vivere è essere intenti senza posa a co-ordinare i propri comportamenti con quelli di altri viventi, all’interno di più ampi contesti. Contesti che sono risultato e insieme premessa della co-ordinazione. Contessiture relazionali analoghe a danze interattive. La stessa individualità agente non è “data prima”, ma si va ri-formando attraverso tali contessiture, che non sono meramente inter-individuali, ma trans-individuali.
Di seguito, a conclusione di queste note, cercherò di insistere sulla valenza formativa cruciale, appunto, di tale senso del legame, riprendendo alcune recenti riflessioni intorno alla mia esperienza formativa, in rapporto, in particolare, alla nota tesi batesoniana per la quale “la relazione viene per prima, precede” (cfr. sergiomanghi.altervista.org/RS30_-_Saggio_MANGHI__definitivo_.pdf). Per ovvia economia di spazio, lo farò in forma seccamente assertiva, in quattro passaggi.
4.2. Siamo ipermammiferi. La co-ordinazione relazionale, tra quelle creature iper-mammifere che siamo noi umani, e insieme tra noi e altri viventi, è intensamente emotivo-comportamentale. Affidata lungo in permanenza al gioco incessante di segni non-verbali emessi e ricalibrati senza posa in risposta circolare a segni altrui (nella prima infanzia, la co-ordinazione è soltanto emotivo-comportamentale, e tale è stata per decine di millenni, nella storia umana, prima che comparisse la parola).
4.3. Locuzione/interlocuzione. Il solo loquace tra i viventi prende parte alle proprie danze interattive anche con segni linguistici verbali. Ovvero attraverso giochi linguistici, dotati di una loro marcata autonomia. Il che rende queste danze tipicamente diverse da quelle degli altri viventi: più indeterminate e “libere”, ma comunque vincolate a rigenerare senza posa “significati”, posti a vari livelli di astrazione, socialmente condivisi. Ogni locuzione è pertanto sempre, relazionalmente, inter-locuzione.
4.4. Presente relazionale continuo. Il tempo della relazione è il presente, esperienziale e continuo, come reso bene dal suffisso ing del present continuous inglese. Tempo del durante, concreto movimento del durare. Pieno di sensazioni, eventi e processi in atto (in actu). Irriducibile a misura discontinua e discreta, a vuoto frattempo, sospeso tra passato e futuro. Nessun conoscere scientifico potrebbe “sorvolare” da fuori il movimento del tempo presente, nel tentare di misurarlo: «sapere è entrare nel movimento delle cose».
5. Estetica relazionale (per concludere)
Nell’accezione di Gregory Bateson, la nozione di “estetica” non indica la sensibilità al bello o il campo di studi che ha quel nome, ma, come nell’etimo greco aisthesis (sensazione, percezione), e intesa in chiave relazionale, l’attiva partecipazione sensibile, propria di ogni vivente, alle trame interattive “danzanti” più ampie di cui è al contempo parte.
Anche noi viventi loquaci, pur regolando le nostre danze interattive attraverso norme culturali di vario genere (religiose, morali, giuridiche), non cessiamo un solo istante di partecipare esteticamente, ovvero attraverso i sensi, alla definizione delle nostre trame di contesto e di senso. Di conseguenza, dire esteticamente è dire anche etico-educativamente, e più in generale etico-politicamente.
Solo prendendo atto di questa nostra incessante partecipazione estetica a quel che andiamo diventando, potremmo coltivare adeguatamente, come scrive Mauro Ceruti, una volta di più esemplarmente, «la possibilità di una nuova metamorfosi, che trasformi il dato di fatto dell’interdipendenza planetaria nel processo di costruzione di una “civiltà” della Terra».
L’articolo Il senso del legame proviene da ytali..