Lo scorno subito da Meloni per la vicenda di quell’egiziano trattenuto in Albania in regime di procedure accelerate di rimpatrio, che ha fatto ricorso per non essere riportato in Egitto, è istruttivo, e vale la pena di essere raccontato. Insieme con il decreto-legge, forse conclusivo e forse no, emesso dal Consiglio dei Ministri che si è svolto stamattina.
Il Tribunale di Roma, Sezione specializzata immigrazione, ha constatato che la procedura di rimpatrio avrebbe potuto essere applicata soltanto se lo Stato di rimpatrio fosse stato “sicuro”. La normativa europea (l’Unione è competente in materia di immigrazione e diritto di asilo) con la Direttiva 2013/32/UE ha stabilito che uno Stato può considerarsi sicuro se lo è in tutte le parti del suo territorio e nei confronti di tutte le categorie di persone.
In Italia l’individuazione degli Stati sicuri è affidata al ministero degli Esteri insieme ad altri Ministeri con propri decreti. Il decreto interministeriale riguardante l’Egitto dice che è uno Stato sicuro, tranne che per alcune categorie di persone (oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possono ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’art. 8, comma 1, lett. e) del d. lgs. 19 novembre 2007, n. 251). Per la Direttiva europea citata dunque non è uno Stato sicuro. Quindi il trattenimento di quell’egiziano per rimandarlo in Egitto – dice il Tribunale – non era giustificato.
Il Tribunale di Roma non ha potuto che applicare la Direttiva europea competente in materia. Essendo l’Egitto sostanzialmente qualificato “non sicuro” (dal punto di vista dell’Unione) da un atto amministrativo italiano.
Meloni ha subito reagito con un’affermazione molto interessante, dicendo che l’errore era in radice: la qualifica di stato sicuro non avrebbe dovuto essere data dal Diritto ma dalla Politica. Poi si è piegata al diritto, approvando nel Consiglio dei Ministri di stamattina con decreto-legge (atto con forza di legge) un nuovo elenco di stati sicuri in cui è presente l’Egitto. In barba al suo ministero degli Esteri e soprattutto a Giulio Regeni e alla sua famiglia.
Se ora il fatto che la qualifica di stato sicuro è stata data con legge – l’atto con più forza prima della Costituzione – sia sufficiente a costringere i giudici ad adeguarsi, è questione più complicata di quel che può apparire, se non altro perché in questa materia i giudici debbono applicare sia le norme comunitarie che quelle interne, ma non possiamo discuterla qui.
Ci interessa piuttosto l’affermazione meloniana su quel che spetta alla POLITICA e quel che spetta al DIRITTO.
La nozione di Stato amico attiene certamente alla politica. Anche la nozione di Stato sicuro può appartenere alla politica se con tale espressione ci si riferisce all’insieme di regole che lo Stato rispetta e lo rendono affidabile, regole non necessariamente giuridiche e soprattutto che non fanno riferimento ad una qualificazione giuridica (l’affidabilità non lo è).
La nozione di Stato sicuro come utilizzata nella Direttiva di cui sopra attiene certamente al diritto in quanto fa riferimento ad un insieme di regole e comportamenti che assicurano il rispetto dei diritti della persona. Uno stato sicuro è uno stato in cui il diritto garantisce la tutela della vita e dell’integrità della persona e la preserva da persecuzioni e discriminazioni. Quelle regole non possono che essere giuridiche.
Ma non dovrebbero, dice Meloni, il diritto qui occupa uno spazio non suo. È questa l’affermazione interessante. Interessante anche se è chiaro che Meloni non ha i mezzi per espellere il diritto dalla disciplina di queste situazioni.
Il diritto occupa questi spazi da quando le nostre popolazioni hanno capito che non è bene lasciare mano libera a chi ha la maggioranza (nel migliore dei casi) o a chi ha il monopolio della forza (nel peggiore).
La politica può legittimamente considerare sicuro uno stato amico perché amico, essendo un’attività libera nei fini appunto politici che intende perseguire. Ma così non è garantita la tutela dei diritti fondamentali delle persone. E quei diritti costituiscono sia delle finalità sia dei limiti che non possono non essere rispettati e applicati. Meloni, essendo la presidente di un governo che sta in Italia e in Europa non può – ad esempio – dichiarare sicuro uno stato perché “amico”. O viceversa.
Da molti secoli si è compreso che vi sono principi fondamentali che neppure la politica può travolgere. Si chiama costituzionalismo o si chiama diritto naturale o altrimenti. Forse a Meloni non l’hanno spiegato. Questa falla l’avevamo già capita dal decreto sicurezza. E abbiamo ulteriormente capito che Meloni è una politica empirica – direbbe Kant – con chiara inclinazione autoritaria antirepubblicana – sempre per usare il lessico kantiano.
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