Occorre ripensare completamente i nostri sistemi. E cambiare l’architettura: le discipline progettuali devono disegnare un futuro che ci consenta di affrontare la scarsità ma anche la sovrabbondanza d’acqua. Le città occidentali, quelle di un “Nord” non strettamente geografico del mondo, sono state edificate con strutture centralizzate ispirate dall’idea che la risorsa acqua fosse infinita.
Aziza Chaouni – architetto che insegna in Canada, a Toronto, ma ha uno studio nella sua città natale, Fez – mostra immagini di un centro termale marocchino finito nell’abbandono per la progressiva diminuzione della portata della sorgente che lo alimentava, la riduzione delle precipitazioni, la desertificazione che lo ha assediato. Ma mostra anche il lavoro che sta conducendo per strapparlo a decadenza e siccità usando le proprie competenze progettuali, le nuove visioni necessarie per far fronte ai cambiamenti climatici. Parla di resilienza, di modelli ibridi, dei parchi spugna di Bangkok, ad esempio. Cita l’architetto Pier Vittorio Aureli e il suo “meno è abbastanza” e l’importanza di ogni singola goccia d’acqua, sottolineando che la nostra idea di scarsità di questo elemento non coincide, ad esempio, con quella delle tribù nomadi del Sahara. Racconta del “Sud Globale” che lavora spesso, e necessariamente, con budget limitati, ma con visioni nuove, non di rado ispirate alla sapienza antica.
Aziza Chaouni – che partecipò nel 2023 alla Biennale Architettura “The Laboratory of the Future”, diretta da Lesey Lokko – tiene la sua lectio magistralis alla Biblioteca dell’Archivio storico delle Biennale, tra la calle del Paludo Sant’Antonio e il giardino sospeso sull’acqua che Carlo Scarpa disegnò a fianco del Padiglione Centrale nei giardini della Biennale.
Parla davanti al ministro delle cultura Alessandro Giuli e al presidente dell’istituzione veneziana.
Giuli si dice, al termine, letteralmente incantato dalla lezione di Aziza Chaouni che Buttafuoco aveva presentata sottolineando come la radice del nome Aziza identifichi l’eccellenza, lo splendore ricordando come l’edificio più bello della sua terra sia “La Zisa”, il palazzo normanno che ha dato anche nome a un quartiere di Palermo.
L’atmosfera è serena, lieve. Anche se i temi trattati – drammaticamente urgenti, ma letti da Chaouni con la speranza nello sguardo – sono le emergenze climatiche del pianeta. In questo momento e in questo luogo si festeggia la più nuova iniziativa culturale della Biennale di Venezia. Una rivista – che si chiama proprio come l’istituzione – che rinasce 53 anni dopo l’ultima uscita di un periodico di arte, cinema, teatro, musica e moda che era stato creato nel 1950.
A sinistra il ministro Alessandro Giuli, a destra il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco (© Sandra Gastaldo)
Diretto, allora, dapprima da Elio Zorzi e, successivamente, da Umbro Apollonio, il trimestrale raccolse negli anni riflessioni e saggi di personalità straordinarie – lo si può consultare nelle principali biblioteche di Venezia – e resta un testo imprescindibile di conoscenza dell’arte e dello spirito del tempo.
Mezzo secolo dopo, il periodico è certo molto diverso: nel formato, nella grafica, nei contenuti. Direttore editoriale è Debora Rossi, che è responsabile dell’Archivio storico delle arti contemporanee della Biennale. Direttore è Luigi Mascheroni, firma de Il Giornale. La redazione riunisce tutti coloro che, all’interno della Biennale, si occupano di comunicazione nei diversi settori. Dai loro incontri collegiali – cominciati all’indomani dell’insediamento, nel marzo scorso, dell’attuale presidente – escono e usciranno le linee progettuali della rivista multilingue.
A suo modo anche la nuova pubblicazione – che avrà cadenza trimestrale – interpreta lo spirito del tempo, il nostro. Lo fa, in questo primo numero, sviluppando il tema “Diluvi prossimi venturi”. In copertina c’è una immagine della pellicola “Atlantide”, girata nella laguna di Venezia e presentata alla 78. Mostra del Cinema.
Questo numero è dedicato interamente all‘acqua, con contributi – tra gli altri – del card. José Tolentino de Mendonça (Prefetto del dicastero per la Cultura e l’Educazione della Santa Sede), di Chaouni, dei veneziani Carlo Barbante (che studia la memoria dei ghiacci e l’Antartide) di Giulia Foscari architetto e attivista, di Andrea Rinaldo, idrologo e presidente dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti. Lungo sarebbe l’elenco dei contributi scritti e di quelli iconografici. Per conoscere i contenuti della pubblicazione occorre acquistarla, come ha sottolineato Pietrangelo Buttafuoco, perché “è un dovere civico sostenere le istituzioni responsabili della bellezza intorno a noi”. Costa 28 euro ed è reperibile, per ora, nelle sedi della Biennale, ma sarà distribuita prossimamente anche nelle librerie. E verrà presentata anche fuori Venezia: si partirà il 5 novembre con Padova, a palazzo Zabarella. Poi verrà la Cina.
Già, la Cina… a pagina 58 del trimestrale c’è un intervento del paesaggista cinese Kongjan Yu, docente all’Università di Pechino, sulla “Città spugna”.
Tornano alla mente le parole di Chaouni, e la calle del Paludo da cui sono transitata per arrivare alla Biblioteca. Venezia, penso, è stata sempre un città spugna. Non in senso puramente metaforico, come grande melting pot culturale. Lo è stata sempre di fatto, almeno fino a quando estese “bonifiche” non hanno cementato una vasta parte delle sue barene.
Immagine di copertina: Pietrangelo Buttafuoco, Aziza Chaouni, Alessandro Giuli, Debora Rossi (© Andrea Merola)
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