La mitologia greca ci racconta di un certo Titone, principe troiano e soprattutto uomo di rara bellezza. Di lui si innamorò addirittura Eos (Aurora), una dea che lo rapì e che volle anche per lui il dono dell’immortalità. Lo chiese a Zeus, che lo concesse; tuttavia si dimenticò di chiedere anche l’eterna giovinezza, per cui Titone si trovò condannato a una triste vecchiaia senza tempo. Finì – si narra – trasformato in cicala dalla voce stridula dalla sua sposa, mossa a compassione.
L’attuale corsa della longevità richiama la storia di Titone, pur non avendo noi conquistato l’immortalità (come spera il transumanesimo); ma certamente abbiamo un allungamento della vita (cresciuta di 3,3 anni negli ultimi due decenni in Italia, ma la tendenza è globale) che ci sfida anche ad “allargare” possibilmente questa fase del vivere in termini di pienezza esistenziale.
Per la prima volta nella storia, nei Paesi occidentali gli individui nati nella seconda metà del Novecento (il “secolo breve”, ma lungo per la vita media) hanno ragionevoli probabilità di essere attivi, fisicamente e mentalmente, perlomeno sino a 85 anni. Già oggi nel mondo quasi un miliardo di persone ha un’età pari o superiore ai sessant’anni, superando il numero di giovani e bambini ed entro il 2030 si arriverà a un miliardo e mezzo.
Per l’Italia le tendenze portate dalla demografia dell’invecchiamento si condensano in poche cifre previsive (v. Istat 2024): gli anziani passeranno dall’essere il 24 per cento della popolazione al 34 per cento, i grandi anziani dal 3,8 all’8,1, mentre la speranza di vita salirà ancora guadagnando mediamente dai quattro ai cinque anni. Un invecchiamento longevo quindi che allunga l’esistenza che però, a maggior ragione, va anche riempita il più possibile di opportunità non solo in termini in termini di salute, ma pure di benessere vitale lato sensu.
Tenendo comunque conto che ovviamente aumenterà la fragilizzazione età-correlata mentre le reti familiari saranno sempre meno in grado di offrire capacità assistenziali, dato che tra vent’anni la maggior parte delle famiglie (il 37 per cento) sarà monopersonale. Famiglie cioè composte soprattutto da donne anziane vedove con ridotta o nulla parentela per effetto della denatalità e del démariage.
Il discorso apre al tema della solitudine, che interessa il 40-50 per cento delle persone in età avanzata (in Italia risulta che il 15 per cento degli anziani viva in condizioni di isolamento sociale (in una settimana non incontra né telefona a qualcuno e non partecipa ad attività collettive), più esposti se con basso livello di istruzione e difficoltà economiche. La solitudine non riguarda la quantità di tempo che si spende con altre persone o da soli ma è più correlata alla qualità o profondità dei rapporti piuttosto che alla quantità. Una persona sola sente di non essere capita dagli altri e pensa di non avere rapporti significativi. Si è anche scoperto che la solitudine è un fattore di rischio per molti problemi di salute fisica, dal sonno frammentato alla demenza fino alla diminuzione della gittata cardiaca. Una mancanza di connessioni sociali pone un rischio di morte anticipata simile a fattori di rischio fisici come l’obesità e il tabagismo (pari a quindici sigarette al giorno). Infatti gli anziani con i più alti livelli di solitudine hanno quasi il doppio delle probabilità di morire prematuramente rispetto a quelli con i più bassi livelli di solitudine (debolezza immunitaria), per non parlare della depressione (35 per cento degli anziani).
Un invecchiamento “di successo” allora non significa solo invecchiamento attivo o invecchiamento in salute, ma significa pure un “invecchiare insieme”, anche se non necessariamente con i familiari, dato che sempre più conteranno le reti amicali o di vicinato, la cui qualità relazionale può essere peraltro (controintuitivamente) perfino migliore di quella strettamente familiare. E significa anche prendere consapevolezza di questa nuova, lunga fase della vita, inesistente nel passato e che corrisponde a una metamorfosi da interpretare e vivere nel suo significato in modo non diverso da quella che segna il passaggio dall’infanzia all’adolescenza.
Lo afferma lo psichiatra Vittorino Andreoli nella sua Lettera a un vecchio (Solferino, 2023), che invita a pensare a questa età dell’esistenza legandola a un nuovo stile di vita e a una rinnovata visione del mondo. Una rivoluzione demografica e antropologica – quella dei cosiddetti longennial – che potrebbe perfino fare dell’Italia, paese laboratorio anticipatore del global aging, “un hub naturale per la longevità aperto al mondo”, come suggerisce l’ultimo rapporto 2023 dello Scenario Longevità.
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