Commons Спільне è un giornale online di critica sociale, un magazine molto rispettato della sinistra ucraina, fondato nel 2009, una pubblicazione di pensiero e di impegno politico, che, dichiara la direzione, “si distingue da altri media ucraini per l’attenzione dedicata alle cause strutturali dei problemi sociali, con un’ottica materialistica” e con una visione “egualitaria e anticapitalistica”.
Commons Спільне si distingue anche per la pubblicazione di ottime graphic novels, come quella che qui di seguito proponiamo con didascalie in italiano. È la seconda di una serie dedicata ai ricordi di testimoni oculari degli eventi della II guerra mondiale, e racconta la vita di Leah Dicker, una delle poche sopravvissute all’Olocausto nella città di Turka, nella regione di Leopoli.
La ONG “After the Silence” ha scoperto Leah nel 2021. Sono stati registrati i ricordi del suo vissuto durante l’Olocausto: l’occupazione di Turka da parte dei tedeschi, la perdita dei suoi genitori, i due anni di clandestinità in casa di Stefania Tuzhanska, la vita in un armadio e in una stalla e la sua partenza per la Polonia. Abbiamo cercato di catturare i suoi ricordi d’infanzia in un modo diverso e abbiamo creato un fumetto basato sull’intervista.
“Dobbiamo andarcene, tornare a casa”
Sono nata a Praga. Quando Hitler l’invase avevo un anno.
*Prima della II guerra mondiale il 40 per cento degli abitanti di TYurka erano ebrei.
“Dopo la guerra sono l’unica rimasta”
“Dora”. “Ti supplico, Aniela, salva tu mia figlia”
“Abito nel centro della città, i tedeschi sono lì vicino”. “Ho figli, è pericoloso”. “La prendo io”
La mamma riesce a scappare. L’amica ha parlato di me alle sue sorelle.
Qualche giorno dopo, vedo Stefa distribuire quel burro. Mi sciolgo in lacrime. Era l’ultimo filo che mi lega ai miei genitori.
Nei miei sogni, chiamo i miei genitori in yddish. Yusyk suona l’armonica perché i vicini non mi sentano piangere.
“EBREA!” “GESTAPO!”
Attenzione! Chiunque dia deliberatamente rifugio a un ebreo rischia la pena di morte.
“DOV’È L’EBREA?” “Non è un’ebrea, è Lida, la figlia di mia sorella”.
Passo ore e ore tutta sola, sdraiata al buio, rapita da fantasie.
Così nel corso di qualche mese mi ritrovo nascosta da Stefa in un fienile.
Spesso passo giornate senza vedere nessuno. Le capre diventano le mie amiche.
Ero rimasta talmente tanto allungo senza muovermi da non riuscire a camminare.
Le estremità erano congelate e cominciavano a imputridire, e non riuscivo a piegare le ginocchia.
Finché ero a casa, non avevo paura. Ma non appena uscivo, subito riapparivano le paure. Aveo paura di tutto.
“L’oro, innanzitutto” “Do via il mio orologio per un pezzo di pane”
“Trovate mia figlia”
Mi racconta che papa e mamma erano stati uccisi alla fine della guerra e che solo per poco si sarebbero salvati.
Sono registrata come Lidia Kulevych – il nome della nipote di Stefa e il cognome del prete.
Un giorno arriva a Turka un ebreo, che era nato qui. I vicini gli dicono di me.
“Tu puoi andartene dell’Unione Sovietica”. “Ho avuto una vita buona, mentre lei ha conosciuto il male. Forse, per questo, potrà conoscere un mondo migliore”
Cara Lida! Come va la vita laggiù? anche tu mi manchi. Sto molto male.
“Dio, fai guarire Stefa!”
Ero una ragazza chiusa, spaventata e triste. Passavo ore davanti alla radio ascoltando canzoni sovietiche.
Sono tornata a Turka cinquant’anni dopo la mia partenza da lì. La casa dove ho vissuto è sparita. Qualcuno ha comprato il terreno e ci ha costruito una nuova casa.
2007 con la famiglia di Stefa
Non c’è neppure una lapide che ricordi il loro assassinio di massa.
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