Il calcio può essere armonia, bellezza, classe, gioia e meraviglia. In sintesi: Marco van Basten. Marcel van Basten, che divenne Marco perché la nonna non sapeva pronunciare bene il suo nome e lo chiamava Mark e il padre, innamorato dell’Italia, aveva preferito italianizzarlo, nasce a Utrecht sessant’anni fa e diventa ciò che sappiamo nell’Ajax di un Cruijff ormai al tramonto. È proprio il simbolo del calcio olandese, tuttavia, a indicarlo come astro nascente e, di fatto, suo erede, intuendone le potenzialità e capendo che quel ballerino con gli scarpini ai piedi avrebbe segnato un’epoca. Non a caso, a portarlo in Italia, terra destinata a giocare un ruolo decisivo nella sua vita e nella sua avventura calcistica, provvede il Milan di Berlusconi, desideroso di tornare agli antichi fasti dopo un periodo buio e disposto a fare follie pur di riuscire nell’intento. E così, oltre a Ruud Gullit, i rossoneri si aggiudicano anche l’altro funambolo olandese, prima di completare il trio con un centrocampista dal talento debordante di nome Frank Rijkaard. Van Basten ha un solo limite: le caviglie. Fragili come non mai, costituiranno sempre il suo tallone d’Achille. Nonostante gli innumerevoli problemi, o forse in parte proprio per quelli, come testimonia il gol da antologia contro l’Unione Sovietica nella finale di Euro ’88, prende il posto del maestro Cruijff nel cuore degli olandesi.
In maglia rossonera, invece, vince semplicemente tutto, giganteggiando per un quinquennio, prima che la sua parabola si concluda tragicamente, a neanche ventinove anni, al termine della finale di Champions persa contro nel ’93 contro il Marsiglia. Quei cinque anni, però, rimarranno eternamente nel cuore di chiunque ami il Milan e il calcio. Non tanto per la classe, per le giocate, per la potenza fisica, per i tre palloni d’Oro conquistati, per i gol impossibili messi a segno (abbiamo citato quello in maglia orange, ma che dire del colpo di testa acrobatico con cui consentì al Milan di pareggiare al Bernabéu nella semifinale d’andata contro il Real Madrid, prima della messe di reti del ritorno a San Siro che avrebbe proiettato lo squadrone di Sacchi verso la conquista della sua terza Coppa dei Campioni?) e per tutto ciò che Marco ha rappresentato in campo quanto per l’esempio che è stato soprattutto nei momenti difficili.
Memorabile, a tal proposito, il suo addio al calcio, la sera del 17 agosto ’95, prima del Trofeo Berlusconi contro la Juventus, al cospetto di uno stadio colmo di commozione e strazio, dopo una lotta impari con se stesso e con un dolore ormai impossibile da sostenere. È stato l’unico avversario in grado di fermarlo, dopo aver sfidato e superato i difensori più forti di un’epoca in cui dietro giocavano autentici mastini. Non si è mai arreso, non si è mai risparmiato, ha affrontato a testa alta ogni partita e ha detto basta solo quando ha capito che non ci fosse più nulla da fare, che non sarebbe mai tornato il fuoriclasse che aveva abbagliato le platee di tutto il mondo. Meglio smettere, dunque, prima del declino, prima di essere sconfitto dalla pretesa di fermare il tempo e di sconfiggere un male che lo aveva corroso nell’anima prim’ancora che a livello fisico. In tribuna, a San Siro, quella sera venne esposto uno striscione che recitava: “Van Basten il calcio”. Questo è stato e i suoi tifosi, in lacrime, seppero scriverlo meglio di chiunque altro.
Era e rimarrà per sempre il Cigno, con le sue caviglie di cristallo, le sue movenze da étoile, la sua eleganza innata e la gentilezza che gli ha permesso di essere ciò che è stato e di rimanere se stesso nonostante la ricchezza, la fama e la passione che ha saputo suscitare.
Buon compleanno a un uomo semplice, a un campione immenso, a una persona perbene! Il calcio, per l’appunto, come dovrebbe essere.
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