Il bel libro di Silvio Testa su Palmiro Fongher (Nato in barca, Cierre edizioni), “Re del remo” ha tante facce, diverse chiavi di lettura, molteplici modi di essere inteso.
Palmiro e i suoi compagni del mondo della voga divengono un modo per leggere una città nel suo recente passato e in alcune sue trasformazioni, per comprendere una società che cambia anche radicalmente, per guardare al significato che aveva la vita individuale e collettiva solo poche decine di anni fa.
Il racconto da un senso pieno allo sport del remo togliendogli incrostazioni mielose che spesso nel corso degli anni sono cresciute all’ombra della fama e della popolarità dei protagonisti delle regate veneziane.
Intendo dire che dal testo esce la forza clamorosa di questo sport, delle leggi che lo regolano, del suo rapporto con la natura, la terra e l’acqua e delle relazioni che assume con Venezia.
Il primo e necessario commento è però proprio per Palmiro Fongher.
Che appare in tutta la sua vita un uomo pieno di forza e di dignità.
Una persona capace nel bene e nel male di essere conseguente alle proprie scelte senza cercare scorciatoie, conscio che nelle vittorie e nelle sconfitte vi è una cosa in comune: si impara.
Tra l’altro così io l’ho conosciuto e l’ho stimato.
Portavoce dei regatanti nelle trattative lunghe e spesso faticose con l’Amministrazione Comunale per i compensi dei regatanti, le nuove regate da istituzionalizzare, le barche da comprare come Comune, gli spazi di ricovero delle imbarcazioni medesime e così via.
Palmiro ascoltava.
E poi diceva la sua.
Sempre pacato e arguto, rispettoso e fiero
E quando ti dava la mano era come una firma, un impegno certo.
Ed è anche il Palmiro che prima di cambiare il proprio compagno di vogata gli parla, lo avverte e lo fa solo quando le opportunità di vittoria “insieme” sono effettivamente svanite.
È il Palmiro capace,quando vince, di essere ancora calmo, ironico, compassato anche se chiaramente felice.
Ma il libro non ci racconta solo la vita sportiva del “campione”.
Insiste sulla sua storia lavorativa come pescatore da ragazzo e soprattutto come dipendente con significative responsabilità nell’ospedale.
In un settore delicatissimo, quello della sanità mentale.
Qui appare quel lato “mediatore” che a Fongher ho sempre riconosciuto.
Palmiro capisce l’importanza della legge Basaglia ma sa anche che occorre dare prospettive e tranquillità alle famiglie spesso impreparate ed in difficoltà.
Un moderno riformatore, una persona civile e democratica nel senso più vero del termine: così mi appare.
Silvio Testa, lo dicevo, ha però intessuto il suo racconto di immagini della società veneziana.
Mi soffermerò su qualcuna di queste.
Il mondo delle regate appare in tutta la sua bellezza e la sua originalità.
Fugge, questo mondo, dalle etichette che negli anni si sono volute cercare.
Scompaiono quindi le “glorie del nostro leon” artefatte e strumentali, usate come retorica e come modo per “lisciare il pelo” ai protagonisti.
E Palmiro è la persona più indicata, visto il suo carattere e la sua schiettezza, a togliere veli romantici inutili e stucchevoli da questa realtà.
Uno sport fantastico, questo sono le regate.
Uno sport particolare e vero fatto si di sudore e forza ma anche di abilità e fortuna, di guizzi e di speranze.
Duro.
Faticoso.
Che premia dopo allenamenti interminabili al caldo e al freddo.
Dove l’ambiente non è solo scenario da favola.
È protagonista con le maree e la luna, la nebbia e il sole che acceca.
E l’ambiente è un tutt’uno con questo sport.
Lo si capisce quando Silvio Testa si sofferma sui giorni precedenti alla catastrofe della marea del novembre del 1966 e racconta con le parole dei protagonisti di un’aria pesante, stagnante che preannuncia guai.
L’intreccio tra la città e le regate è naturale.
Ma è un intreccio che si misura sempre.
Che non è eterno per definizione.
Cosa voglio dire?
Semplice.
Non è scontato che il “divenire” di Venezia solo turistica non leda questo sport.
Quando gli abitanti crollano sotto i 50.000 si rompe una diga, si cambia una realtà.
E la voga fa parte di questa realtà.
L’altro aspetto che più mi ha colpito è quello della vita sociale della città.
Prima a Pellestrina e poi a Venezia.
Appare la presenza di una solidarietà sociale continua che tocca l’apice proprio nella tragedia dell’acqua granda del 1966.
Ed è un modo di essere importante della città lagunare.
Agevolato certo dalle condizioni uniche della vita senza automobili ma tutt’altro che scontato.
Palmiro Fongher che discute con i suoi colleghi in Ospedale, che dialoga con i regatanti, che festeggia a Pellestrina, che vive a Castello ce la racconta ripercorrendo scelte, ricorrenze e problemi.
C’è un urlo che da questo libro esce anche senza che il suo autore o il suo protagonista lo abbiano necessariamente voluto.
Ed è un urlo che guardando al passato, vedendo il presente e pensando al futuro chiede: perché va distrutto tutto ciò?
Il “senso” di Venezia.
Questo è il titolo che vorrei ulteriormente dare al libro.
E Palmiro è il “Virgilio” che ci accompagna.
Immagine di copertina: La canottieri Giudecca festeggia il 90° compleanno di Palmiro Fongher, 5 febbraio 2022.
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