Nata da quelle parti, ma in montagna, Iole Toini vive e lavora oggi sulla riva est del Lario, noto anche come lago d’Iseo; e da lì, con cura meticolosa e cauta, distilla le sue scritture di poesia raccogliendole in pochi densissimi volumetti, che ogni volta rivelano ai suoi lettori il consolidamento di una postura e la conseguente maturazione di una tecnica di qualità davvero non comune.
Già all’apparizione, nel 2009 e presso Le Voci della Luna editore, di Spaccasangue, la sua prima e più corposa raccolta, veniva salutata, da un Davide Rondoni insolitamente eccitato, come «una poetessa “maledetta”», che, non temendo di finire «al di là dei limiti o dei canoni che farebbero di una poesia, appunto, una poesia», investe chi legge col «suo diario pieno di precipizi e di pezzi di cielo»; mentre una più assorta Antonella Anedda, rilevando la matura coniugazione fra «passione» e «rigore» nei testi della Toini, parlava di «incandescenza biografica» e di «vocazione confessionale», controllate e dominate «grazie a un nuovo, conquistato controllo formale», con il quale il racconto dell’esperienza personale della poeta produce delle scritture che divengono «cori che riguardano noi tutti».
Tuttavia, a una lettura “a distanza” e alla luce delle opere successive, non si può non notare, in qualche luogo di quel libro, un atteggiamento genuinamente ancora spaventato e perciò difensivamente aggressivo nei confronti dell’urgenza della propria materia esperienziale, che il verso di Iole filtra e compone, certo, senza diminuirne l’impatto emotivo (e conoscitivo), a volte devastante, ma anche senza imbrigliarne del tutto la forza viva e irsuta in uno stile, sicuro dei propri mezzi tecnici e delle proprie capacità espressive, che possa, perciò, provarsi a pacificare la vita nella poesia. E non vuol’essere, questa, una considerazione limitativa, ma solo la sottolineatura della caratteristica ancora finemente laboratoriale che pervade le composizioni del libro nei momenti più debordanti, dove si sente che la poesia di Iole Toini cerca, nella paratassi ritmicamente sicura di versi ipermetrici che sfiorano la prosa, o in quella musicale e aperta di misure più brevi e incerte, di domare l’irruenza della sua materia, soprattutto nei passaggi della violenza e del dolore, non ancora allontanati, nella mente e nella carne, dalla scrittura.
Di questo, la poeta appare perfettamente consapevole, se può parlare dell’origine della sua poesia da un «picco della carne che batte contro l’aria / come un’ala in cerca della presa», o se può confessare che «Dalla tana alla rosa nuda, batto l’orma dove il bacio / e il suono del bacio mi attraversano fino alla parola nuova», oppure, ancora, se nel suo verso avviene che «Parola dentro la parola, la pietà mi accerchia / fino alla percezione della grazia». Insomma: «La poesia tintinna sui morsi», che ancora fanno male. Ma sono tante le prove in cui la violenza della vita resta palpitante, senza inficiare ed anzi esaltando la bellezza della scrittura che la racconta e la riscatta:
Il giorno che si ammazzano i conigli. Metà settimana, la madre le dice vieni. In una mano il catino, nell’altra la lama del coltello. I conigli sono belli quando sono piccoli. Da grandi sono grassi e vanno ammazzati. La madre solleva la gabbia, prende il più grosso. Lui sgambetta. La madre si siede sullo sgabello. Le dice tieni fermo il catino. Raccoglie da terra un sasso, lo picchia come un martello sulla testa del coniglio. Poi prende il coltello, un taglio deciso, da cima a fondo. Il coniglio fuma come una fabbrica in inverno; il sangue trema, troppo vivo. Con un crack gli spacca la schiena; lo apre come un pezzo di strutto, affonda le mani fino al polso, le riemerge colme del fegato che sbatte le ali come un uccello.
E sono altrettante le poesie dove la musicalità del verso e la trasparenza delle immagini avvolgono il dettato in una luce dolce di consolante e consolata serenità:
La gioia è nel verde
della terra che respiri,
nel farti accanto
mentre dormo e migro
verso un luogo illimitato
che non tocco ma che arriva
come un gesto aperto
dalla luce delle imposte
nella riga che segna sulla fronte
un fiore d’ombra.
Dentro il buio si compie l’altra attesa.
L’amore mi attraversa come l’erba
quando dentro passa l’aria.
Abbandonando completamente le spirali di inseguimento claustrofobico del senso delle cose in intensione, nella seconda raccolta Dei colori e dei luoghi (Terra d’Ulivi, 2014), la poesia di Iole Toini letteralmente si libra in estensione per guadagnare una dimensione di leggerezza e di vastità che rende il suo verso più accogliente e meglio rasserenato. «Il territorio della sua poesia sembra raggiungere nuove vette, allargarsi, abbracciare una realtà più vasta…», scrive Daniela Raimondi, una delle dedicatarie del libro, che aggiunge: «L’autrice si confronta con l’immensità del creato e dal creato trae linfa vitale, un luminoso momento di ritrovata calma […] L’io poetico si abbandona, diventa tutt’uno con l’immensità di un creato che batte nei versi della poeta con tutta la sua potenza e il suo mistero».
Quello che è certo, in questi suoi testi, è che la tecnica di Iole appare più raffinata e padrona della sua materia, non più soggettivamente ancora coinvolgente, ma accolta in una dimensione più distaccata e persino contemplativa. E le immagini, i ritmi, i toni, le sonorità creati dalla sua parola riescono a diluire le pulsioni di un’interiorità, sempre tesa, nell’esteriorità di un orizzonte più luminoso e avvolgente, che abbraccia e placa. C’è spesso nei testi un afflato panico d’impianto non intellettuale o animistico, ma che appare come il portato di una rielaborazione poetica dell’appartenenza alla campagna e alla montagna delle proprie origini contadine. Qualcuno ha scritto di catarsi, io parlerei piuttosto di conquista della dolcezza del dire poetico e di conseguente restituzione della bellezza dei luoghi e dei colori matriciali del proprio sentire il mondo:
Quando gli alberi entrano nella mia casa,
la mia casa diventa il ramo più alto dove la luce
cade senza sconto. Si tende, si flette, fa che il vento
la colga fino all’ultima radice. Diventa metà
montagna, metà il cielo.
Fin dove ho risveglio cerco la mutazione
che hanno i pioppi quando restano
alla terra con il corpo
facendo la bellezza solo essendo.
Così vorrei sentire le mie mani,
restare sul selciato a dir le cose,
senza voce andare incontro alle persone,
col mio poco: amare
questo incontro che illumina e sostiene,
che abbraccia coglie fa e tiene – tiene, fa.
La parola di Iole, insomma, cattura la luce nei colori che essa suscita e risveglia e nei luoghi dove essa si deposita e risplende. Non per questo, tuttavia, la poesia di Iole rinnega le radici materiche, emozionali e passionali, da cui si origina rarefacendosi in un brillio impalpabile e svaporato, tutt’altro. Nessun estetismo devitalizzante: è, invece, l’affacciarsi allo stupore per la bellezza e all’entusiasmo per il mondo quello in cui i suoi versi guidano il lettore, senza negare o nascondere crudezze e crudeltà della vita, ma anzi trasportandole in una dimensione di consapevolezza e accettazione che le rende più lievi e, insieme, meglio comprese:
E fiero arriva il buio
come un uomo grande – spaventoso – a dire
che il pensiero è troppo svelto,
corre come fa un temporale
scroscia dentro i solchi cercando rese
dove spezzare il seme come un pane.
Fragile natura aiutami a restare salda
al passo quieto degli abeti
e sopra e sotto l’orto abbandonare il peso
lasciare che l’amore mi addolori
e poi mi superi come un miracolo possibile.
E proprio «come un miracolo», pur nell’evidente conseguenzialità di un impegno poetico continuativo e a distanza anch’esso di cinque anni dal precedente, arriva il terzo splendido libro della poeta camuno-lariana, Niente di tiepido, pubblicato nelle edizioni Pietre Vive, lo scorso 2023. Un libro che davvero distilla e restituisce impreziosito il magistero del fare poetico già raccolto nei libri anteriori. Qui la poesia di Iole Toini è soprattutto – e persino con maggiore evidenza di prima – azione e gesto del corpo che entra nel magma della viva materia esperienziale, vi si immerge, la manipola e riplasma e ne riemerge nella potenza, determinata e inesausta, di una parola e di una musica che le danno nuova forma e nuovo destino e che la trasformano nella scrittura in esperienza condivisa e accolta da chiunque voglia leggere. Qui, il respiro poetico di Iole Toini non accetta, appunto, niente di tiepido e di consolatorio, ma si innalza, potente e maestoso come una vela gonfia di vento, fino alle vette dei suoi paesaggi montani, dove «la neve barrisce, famelica come un’amante», dove corrono «branchi di rocce al galoppo», dove «ciuffi d’erba guizzano come pesci intorno ai sassi»; e s’inabissa, penetrante e acuminato come un bisturi impudico, nei vicoli e nelle stanze della città, dove «una donna tossisce, si gira e tossisce di nuovo; porta le mani alla bocca, poi alla gola. Ѐ rossa in viso, rantola», dove si può essere abbandonati «in un ospizio, con la bava e la pipì nel letto, e non saper più pulirti il culo», dove guadagnarsi il pane è «stare per le strade con un pacco di réclame sotto il braccio / di iper-stragigantissimi nulla».
In questa danza vertiginosa e ossimorica fra le canzoni rigogliose della luce e i cori imploranti del buio, una capacità tecnica di costruzione del verso (nella scelta dei ritmi, nella commistione delle sonorità, nel movimento metrico e in quello timbrico, nell’inanellamento frastico delle parole) consente alla poeta di dilatare a raggera il significante globale del testo fino ai limiti estremi dell’alto e del basso nella rappresentazione della vita. Di tutta la vita.
E, per giunta, con una leggerezza che è faticosa conquista finale di un lavoro finissimo sulla lingua, nei risultati del quale, tuttavia, la fatica è resa invisibile dalla maestria che la nasconde in un’apparente immediatezza:
Credo la luce, credo sia la perfetta croce
che canta le cose illuminate, le cose amate.
Io da qui sotto – dal buiobuio,
il corpo regolato dai minuti,
il fil di ferro del corpo che cuce seduzioni –
posso restare ordinata, allungarmi nel troppo che non sono
al pascolo all’erba al perdono
e dirmi io non so – non posso –
e così dico quanto più di dire vorrei fare.
Oppure, in prosa:
Arrampicata all’erba posso pensare anch’io sono fatta di bellezza, verde, fatta dalla terra e alla terra come l’erba mi piego. Sottoposta al peso dell’insetto posso – come l’erba – dire corpo fino all’estrema curvatura dello stelo che consente a fare parabola di sé. Falcata dal passo della lince, anche io come l’erba so di essere debitrice della pioggia e della luce. A ognuno rendo la mia devozione, anche al sacro calare della lama che mi apre alla carezza della falce. Come l’erba posso essere ruminata dalle bestie, spartire la zolla fra formica e verme, crescere e ingiallire, senza mappa, accesa dal vento e silenziosa, verde.
«In realtà credo – dice Iole in un’intervista che chiude il libro – che la condizione umana, seppur attraversata da fatiche, dolori, ingiustizie, abbia modo sempre di riscattarsi. Vedo la possibilità della gioia in una vita semplice, fatta di poche cose, di autenticità, di tempo di vivere la bellezza e mandarla in circolo». Uno slancio di adesione alla vita, un abbandono fiducioso alla forza della poesia, una capacità di dire in parola la luce delle cose, una certezza che l’altro da te ti viene ad incontrare se anche tu ci vai, un saper accogliere l’amore e restituirlo … questa la postura di Iole Toini e questa la tecnica con cui ha imparato a liberare, con gioia, il suo canto:
Dio ranuncolo, fammi crescere dall’ala
della montagna dove la vanga non può conficcarsi
e l’aria esiste per i prati che ridono;
dove tutto è smisurato di bellezza,
anche la terra pregna di fango
che sgrava la vacca, che fa muggire il vitello.
Fammi essere quel vitello
che vibra, cresce e poi marcisce
per concimare le radici del tuo esempio giallo.
E, per chiudere, un modo bello per dire la relazione che la poesia instaura fra chi la sa dire e chi la sa ascoltare: «Somiglia al mare questo dirsi cose / Nelle voci che si toccano, il blu dell’onda che lega l’acqua al vento, come / ossa alla terra». Una terra da cui la poesia non ci fa evadere, ma alla quale ci lega più profondamente.
di Iole Toini
Pietre vive editore, 2023
Prezzo: Euro 10
Immagine di copertina: foto di Iole Toini
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