Nella storia della direzione d’orchestra, in particolare della scuola austro-tedesca, emergono due figure diverse per quel che riguarda la proposta musicale offerta agli orchestrali e al pubblico ma anche la diversa dinamica del gesto o la stessa posizione del corpo sul podio dal quale i ‘dirigent’ intessono un dialogo profondo e coinvolgente con gli orchestrali. Pensiamo a Kurt Masur, che dirigeva senza bacchetta (ma non era il solo) e a Herbert Von Karajan che dialogava musicalmente con l’orchestra restando costantemente ad occhi chiusi. L’uno, nato a Brieg nella Slesia (passata alla Polonia col nome di Brzeg, dopo il 1945) e l’altro, austriaco di origini greche e armene (il cognome dei nonni era Karajannis), avevano entrambi una sensibilità particolare per Brahms, il grande amburghese che tanto lavorò nell’est, in Sassonia, inconsciamente ‘rubando’ sonorità tipiche dei cechi Smetana e Dvorak che a loro volta avranno la loro influenza sugli ungheresi Bartok, Janacec e Kodaly.
L’eco della musica dell’est mitteleuropeo, terra di musicisti ed etnomusicologi di metà Ottocento, riecheggia nelle brahmsiane ‘trascinanti’ ‘Danze Ungheresi’ e tanto dobbiamo noi per la comprensione delle musiche danubiano-magiare a quei maestri di etnomusicologia dell’est. E’ stato sicuramente Masur, a nostro avviso, ad interpretare con maggior impegno la profonda drammaticità che sottende la musica intrisa di malinconica dolcezza di Brahms; il suo gesto pacato, profondo, quell’occhiata complice al primo violino, quel chiudere gli occhi per un istante quasi a comunicare l’’estinzione’ di un periodo musicale, la conclusione di un fraseggio.
Come abbiamo accennato in passato, l’erede del gigante Masur (lo era anche fisicamente…) pensiamo sia Christian Thielemann che, ancor giovane a 65 anni, continua a sentirsi una ‘parte integrante’ dell’orchestra negando ogni atteggiamento ‘direttoriale in stile dittatoriale’ come a noi, umilmente, sembra siano stati Karajan e prima di lui Toscanini e, ancor oggi, Riccardo Muti, per citare i più noti. Nella direzione di Masur e di Thielemann (così come era anche per Claudio Abbado) c’ è qualcosa di sacrale, qualcosa che ci fa pensare ad un silente sacerdote che officia una messa. Forse, saremmo tentati di dire, una cerimonia di espiazione.
Per la vicinanza di molti direttori tedeschi al regime nazista, infatti, il grande Wilhelm Furtwangler e, in un secondo tempo, Karajan (iscritto al partito e amico di alcuni potenti gerarchi), furono ‘sottoposti’ dopo la sconfitta della Germania a severi corsi di denazificazione della durata di due anni e ciò riteniamo abbia avuto un momentaneo contraccolpo sulla ‘tenuta’ del mondo della direzione musicale tedesca. Forse, tra l’altro, non a tutti è noto che Herbert von Karajan abbandonò la Germania e dall’Austria si ‘rifugiò a Trieste (allora Territorio Libero di Trieste) dove visse per mesi travestito da ‘barbone’ chiedendo l’elemosina e dormendo sotto i ponti.
Nel tragico periodo della brutale ‘resa dei conti’, Karajan fu infine ‘salvato’ dal direttore di un teatro triestino che, nonostante il travestimento del direttore austriaco, lo riconobbe conducendolo nella propria abitazione dove visse nascosto per alcuni mesi. Quando la situazione si calmò, Karajan poté addirittura dirigere un paio di concerti nella città giuliana prima di far ritorno nella Germania quasi totalmente distrutta. Ma, riprendendo un attimo il filo del precedente discorso, va detto (anzi, bisogna ammettere) che per ogni interprete, solista o direttore, ci sono compositori più o meno vicini al loro ‘sentire musicale’. È in ogni caso intuitivo come, per dirigere Brahms, sia assolutamente necessario possedere una conoscenza approfondita, ad esempio, dell’apporto che soprattutto i fiati (legni ed ottoni, che hanno un ruolo decisivo negli equilibri armonici di sinfonie e concerti del compositore amburghese) possono dare all’assieme della concertazione.
Questo a scanso di poco godibili soprese o di spiacevoli conferme. C’è poi l’’eccezione’ Daniel Barenboim che, come pochi altri grandi musicisti, ama suonare e dirigere al contempo creando qualche perplessità su quello che potremmo chiamare l’esito ‘estetico’ di un importante concerto. Ma di questo e del perché riteniamo Sir Adrian Schiff il più importante interprete vivente dell’opera musicale di Franz Schubert, parleremo, se possibile, in un prossimo articolo.
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