Rik van Looy costituisce solo l’ultimo dolore di un anno che ci ha portato via, fra gli altri, Totò Schillaci, il simbolo delle “Notti magiche” di Italia ’90, idolo e punto di riferimento di una generazione. Senza dimenticare Lea Pericoli, Johan Neeskens, Sven Goran Eriksson, Comunardo Niccolai e via elencando: un viale lastricato di gloria e di dolore che, purtroppo, siamo stati costretti a percorrere, spesso con le lacrime agli occhi, per svolgere al meglio il nostro mestiere di narratori del tempo.
Soffermiamoci per un attimo su questo belga capace di vincere tutte le principali corse di un giorno, le competizioni che da sole valgono una carriera, quei momenti in cui sei solo contro te stesso e contro il tempo, lungo strade colme di gente che ti acclama, nel silenzio e sotto la pioggia, nel fango, col sudore che ti cola lungo il viso e la fatica che non ti dà scampo. Non è mai facile vincere, tanto meno confermarsi, ma se le corse a tappe hanno un’epica, la Milano – Sanremo o la Parigi – Roubaix sono il ciclismo. E van Looy, costretto a inchinarsi solo di fronte a sua maestà Eddy Merckx, il “Cannibale” che non gli lasciò scampo, prendendone il posto e obbligandolo alla resa, van Looy dicevamo ha illuminato tante giornate storiche, rendendoci orgogliosi di seguire e amare il ciclismo. Basti pensare che veniva davvero dalla fame, tanto che prese ad andare in bicicletta per distribuire giornali, nel tentativo di affrancarsi da una povertà che ha scandito la prima parte della sua vita. Era un ciclismo zingaro, profumava di terra e d’asfalto, con le biciclette pesanti venticinque chili e nessuna comodità. Era il ciclismo dei pionieri, eredi di Coppi e Bartali, coetanei di Bobet, Anquetil e Gaul, il ciclismo degli eroi e della sofferenza autentica, il ciclismo dei sacrifici e dello strazio. Nessuna nostalgia, ma ammirazione sì, se non altro per ciò che le imprese di quei campioni ci hanno lasciato in eredità.
A tal proposito, non possiamo non celebrare due importanti anniversari: i settanta di Hinault, che potremmo definire il vice-Cannibale, secondo solo a Merckx per fama e successi, e i quaranta di Nibali, “lo squalo dello Stretto”, l’ultimo italiano a conquistare il Tour, sedici anni dopo Pantani, e a farci emozionare come oggi solo Pogačar è in grado di fare. Pogačar già: Giro e Tour nello stesso anno. L’ultimo a riuscirci era stato proprio Pantani, indimenticabile fuoriclasse romagnolo, travolto da scandali più grandi di lui e nei quali, con ogni probabilità, era stato trascinato ad arte per stroncarne la carriera fino ad ammazzarlo: nello spirito prim’ancora che fisicamente.
Tornando al fuoriclasse sloveno, non possiamo far altro che inchinarci di fronte a un dominio così perfetto e assoluto.
E poi è stato l’anno degli Europei e delle Olimpiadi. Ci siamo accorti, improvvisamente, che la società multietnica esiste e può anche essere vincente. C’è voluta la Spagna di Lamine Yamal e Nico Williams per compiere il miracolo, mentre gli Azzurri di Spalletti, svogliati e svagati, fallivano miseramente in quella terra tedesca che diciott’anni fa ci aveva regalato la gioia di Berlino. Nello stesso stadio in cui ci eravamo laureati campioni del mondo, siamo stati eliminati dalla Svizzera. Ora le cose sembrano andar meglio, ma la strada da percorrere è ancora lunga e piuttosto in salita.
2024, anno olimpico. E qui non possiamo non menzionare le azzurre di Julio Velasco, le mitiche ragazze della pallavolo, capaci di stravincere in finale contro gli Stati Uniti, mettendo in evidenza, ancora una volta, la meraviglia della già menzionata società multietnica, con Egonu e Sylla sugli scudi e il resto del gruppo a supportarne il talento. Senza dimenticare gli sport erroneamente considerati minori che, invece, ci hanno regalato la bellezza di quaranta medaglie, lo stesso numero di Tokyo, ma con ben dodici ori, due in più rispetto all’edizione del 2021.
Su Jannik Sinner, ormai, c’è poco da dire: ha trasformato l’Italia in un paese di aspiranti tennisti: un miracolo impensabile fino a qualche anno fa. Da Cenerentola a principessa della racchetta il passo è stato breve, anche grazie ai compagni d’avventura dell’altoatesino: da Berrettini a Musetti, per non parlare poi delle compagne al femminile, con Errani e Paolini sugli scudi e in grado di conquistare addirittura uno strameritato oro olimpico nella finale del doppio.
Quanto alla Champions, tornando all’ambito calcistico, ha trionfato il solito Real, magistralmente guidato da Carletto Ancelotti, che tanto per non perdere l’abitudine ad alzare trofei ha chiuso lanno conducend i suoi a battere 3 a 0 i messicani del Pachuca, mettendo in bacheca l’ennesimo Mondiale per club e divenendo così l’allenatore più vincente della leggendaria storia delle “merengues” (quindici titoli contro i quattordici di Muñoz in poco più di trecento partite, contro le oltre seicento del condottiero d’antan).
Il vero capolavoro, tuttavia, l’ha compiuto l’Atalanta di Gasperini, formidabile nel battere 3 a 0 in finale di Europa League il Bayer Leverkusen di Xabi Alonso (promesso sposo della Casa Blanca per il dopo Carletto), che la scorsa stagione ha perso una sola partita su cinquantuno: per l’appunto, quella contro la scatenata banda del Gasp, per merito della tripletta di Ademola Lookman nella partita decisiva.
E se il pallone d’oro è andato sorprendentemente a Rodri, Vinícius Júnior si è ampiamente rifatto, a livello individuale e collettivo, alzando al cielo il riconoscimento della FIFA come miglior giocatore dell’anno e la bellezza di quattro trofei importantissimi con il Real.
Venendo alla Formula 1, è vero che ha vinto, ancora una volta, Verstappen su Red Bull, ma nel campionato costruttori, ad esempio, abbiamo assistito al ritorno della McLaren, protagonista di un duello serrato, fino alla fine, proprio con la Ferrari. Sarà, dunque, interessante capire se le due scuderie storiche, artefici di duelli memorabili nei decenni precedenti, saranno al centro della scena anche il prossimo anno. Sinceramente, ce lo auguriamo di cuore, dato che siamo stanchi di assistere allo strapotere di Red Bull e Mercedes, che ci ricordano in parte City e PSG, ossia due club tanto forti e ricchi quanto assolutamente artificiali.
Dall’anno che sta per iniziare, attendiamo molte novità e qualche conferma. Vedremo come andrà nella scherma, dopo l’oro olimpico di Parigi e la conferma di individualità come Rossella Fiamingo, Arianna Errigo e Alberta Santuccio. Nel nuoto, invece, auspichiamo la rivincita di Benedetta Pilato, dopo il quarto posto beffa di Parigi che tuttavia l’atleta pugliese, non ancora ventenne, ha saputo accettare e commentare con una maturità straordinaria. Tornando alla Formula 1, mon vediamo l’ora di assistere alla competizione interna fra Hamilton e Leclerc, i due signori in rosso cui sono affidate le speranze di riscatto delle vetture di Maranello.
Calcisticamente parlando, saremmo felicissimi se lo scudetto andasse all’Atalanta, quarant’anni dopo la magia del Verona di Osvaldo Bagnoli, se la Fiorentina conquistasse l’agognata Conference League e se il Mondiale per club inventato dalla FIFA per far guadagnare un altro po’ di soldi alle trentadue compagini più significative del pianeta non si disputasse proprio, essendo il giocattolo ormai prossimo alla rottura per via del rapporto insostenibile fra salute degli atleti e numero di partite disputate. Certi che si tratti di un’utopia, lo seguiremo con attenzione e ve lo racconteremo con dovizia di particolari.
Infine gli Azzurri, cui vogliamo bene nonostante tutto. Non diciamo altro, se non che non possiamo permetterci il terzo Mondiale di fila senza l’Italia. Nessuno lo sa meglio di Luciano Spalletti, e a lui rivolgiamo i migliori auguri, essendo una persona degna di stima e d’affetto. Per il resto, ci affidiamo al titolo di un celebre film di Lina Wetmüller: “Io speriamo che me la cavo”.
P.S. Dedichiamo quest’articolo a Denis Bergamini, il centrocampista del Cosenza morto trentacinque anni fa in circostanze per le quali tenderemmo a escludere il suicidio. In attesa di saperne di più, prendiamo atto della condanna IN PRIMO GRADO a sedici anni comminata, lo scorso 1° ottobre, all’ex fidanzata di Bergamini, Isabella Internò. In attesa di saperne di più, e senza emettere sentenze definitive, che non ci competono in alcun modo, né onoriamo la memoria ricordandone la grandezza. Aveva ventisette anni quando se ne andò. Ci manca molto.
L’articolo 2024 – 2025: lo sport non sarà più lo stesso proviene da ytali..