L’arresto di Cecilia Sala è sinora passato del tutto inosservato nella stampa iraniana. A quasi dieci giorni dal misfatto nessuno degli organi di Teheran, dalle agenzie di stampa vicine ai Pasdaran Tasnim e Fars ai quotidiani sostenitori del presidente moderato Masoud Pezeshkian, come Shargh, Etemad e Ham Mihan, hanno riportato la notizia del fermo della cronista di Foglio e Chora News. Uno dei pochi articoli recenti di un certo rilievo inerenti al Belpaese è un lungo esposto, pubblicato su Shargh il 7 dicembre, sui tempi estesi, talvolta ben oltre l’anno, per la concessione del visto studentesco presso l’Ambasciata italiana a Teheran per i numerosi giovani che hanno ottenuto l’ammissione negli atenei italiani, un viatico particolarmente gettonato per la componente giovanile di quell’84per cento della popolazione che, secondo uno studio recente prodotto da sociologi vicini al presidente Masoud Pezeshkian, sta pensando all’espatrio come soluzione principale per districarsi dalla miriade di crisi economiche e politiche che attanagliano il Paese mediorientale.
Il visto giornalistico ottenuto da Cecilia Sala a Roma è stato rilasciato in un processo probabilmente più rapido ma non privo di complessità. I cronisti che intendono recarsi in Iran per lavoro devono far domanda presso le rappresentanze diplomatiche di Teheran, controllate dal Ministero degli esteri. Quelli americani si recano, in assenza di ambasciate, alla sede della missione all’Onu a New York. La domanda viene poi girata all’ufficio per la stampa estera del Ministero della Cultura e della Guida (Ershad) Islamica. Chiamato semplicemente Ershad nel gergo politico di Teheran, il ministero gestisce tra le altre cose le attività dei giornalisti stranieri in concerto con un paio di compagnie private che si occupano della logistica quotidiana dei reporter. Il tutto in coordinamento tacito, come ritenuto all’interno della comunità giornalistica iraniana, con il Ministero dell’Informazione, quel reparto dei servizi segreti civili formalmente incorporati all’interno del governo. Il nulla osta del Ministero dell’Informazione sarebbe tra i requisiti per la concessione del visto che così, dopo un iter che coinvolge ben tre dicasteri diversi, viene apposto, qualora gli esiti di tutte le verifiche del caso fossero positive, sul passaporto dell’operatore mediatico in questione.
Il bizantinismo di un simile processo ha l’effetto di ridurre il raggio d’operazione dei giornalisti, spesso costretti a seguire linee rosse ufficiali o ufficiose, ma ha pure tenuto relativamente basso il numero di giornalisti privi di nazionalità iraniana che sono finiti nel mirino dei numerosi e sospettosi reparti amniyati, o predisposti al mantenimento della sicurezza domestica. Eccezion fatta per i momenti di massima crisi, come le proteste che hanno fatto seguito alle elezioni contese del 2009, o i moti scaturiti dal movimento “Donna, Vita, Libertà” del 2022, molti dei giornalisti che hanno infranto le regole del gioco stilate in maniera spesso vaga e arbitraria dagli stessi reparti sono stati redarguiti, espulsi rapidamente e messi nella lista nera di coloro i quali non riceveranno più un visto giornalistico.
Il caso di Cecilia Sala è quindi difficilmente collegabile principalmente ai contenuti di uno scoop, all’osservazione dell’opposizione quotidiana alle imposizioni sul velo da parte di molte donne o al tentativo di mettersi in contatto con i molti dissidenti illustri che sfidano il regime islamico dall’interno della capitale iraniana, prima fra tutti la Premio Nobel Narges Mohammadi che in questi giorni sta concludendo una breve licenza di tre settimane dal carcere di Evin. L’assenza di risvolti mediatici domestici fa pensare all’assenza di un complotto “sventato” e da esibire, come spesso accaduto in passato, come prova dellla ritrovata efficienza degli apparati di sicurezza dopo un 2024 torrido, all’insegna di diverse disfatte di rilievo, prima fra tutte l’assassinio di Ismail Haniyeh il giorno dopo l’insediamento di Masoud Pezeshkian. La visita relativamente rapida dell’ambasciatrice italiana a Teheran, Paola Amadei, a Cecilia Sala in carcere avvalorano la tesi che bisogna guardare altrove per capire i motivi del fermo della giornalista italiana.
L’arresto di Mohammad Abedini-Najafabadi, che è stato identificato dalla magistratura americana come un fornitore di tecnologia inerente ai droni ai Pasdaran a Malpensa il 16 dicembre pone i riflettori, a prescindere dalla sua rilevanza con il caso di Cecilia Sala, su quegli iraniani privi di passaporti diplomatici ma talvolta dotati di cittadinanze occidentali che vengono arrestati su mandato della magistratura americana. Nel caso di Abedini, gli Usa lo ritiengono complice, assieme a un altro iraniano, dotato di cittadinanza americana e arrestato a Boston, dell’esportazione e della fornitura della tecnologia dei droni ai Pasdaran che avrebbe contribuito tra l’altro all’uccisione di tre soldati americani nella base giordana Tower22 nel gennaio 2024. Per motivi ancora ignoti, Abedini ha potuto lasciare lo scalo di Istanbul senza l’applicazione del mandato di cattura internazionale, che è stato invece eseguito in Italia.
L’arrivo di Abedini in Italia è con molta probabilità frutto delle recenti sanzioni europee, che hanno bandito a metà ottobre la compagnia aerea di bandiera Iran Air dai cieli Ue, e le sospensioni dei voli delle ultime due linee che effettuavano collegamenti diretti tra Teheran e l’Europa, Lufthansa e Austrian a causa della sfida missilistica tra Iran e Israele. Dall’indomani del secondo attacco aereo israeliano del 26 ottobre, la Turkish Airlines è diventata lo sbocco principale per il trasporto aereo internazionale dalla Repubblica islamica, e vanta attualmente tra quattro e otto voli al giorno tra Teheran e Istanbul, da dove ci si imbarca per le innumerevoli destinazioni offerte dalla compagnia di bandiera turca dove risiedono i tre milioni orsono di Iraniani espatriati. Abedini avrebbe potuto far affidamento in altri tempi sul pluridecennale collegamento diretto tra la capitale iraniana e Ginevra. La sua presenza in Italia potrebbe quindi essere fortuita, e dettata dalle poche opzioni rimaste per i collegamenti tra l’Iran e la Svizzera, dove sarebbe al riparo dall’estradizione verso gli Stati Uniti in quanto dotato di cittadinanza elvetica.
La risoluzione del caso di Cecilia Sala potrebbe quindi emergere dal groviglio di sanzioni attuate a livello Usa e Ue contro la Repubblica islamica, dall’evoluzione della sfida a distanza tra gli Stati Uniti e i Pasdaran e da quel che resta del rapporto un tempo cordiale tra l’Italia e l’Iran. Alla fine degli anni Novanta Lamberto Dini e Romano Prodi fecero da apripista per il nuovo corso tra l’Ue e l’allora presidente riformista Mohammad Khatami dopo due decenni all’insegna di una lunga crisi innescata da casi come la taglia su Salman Rushdie e l’assassinio di dissidenti iraniani in Europa. L’accordo nucleare di un decennio fa pose temporaneamente fine al gelo causato dalle esternazioni di Mahmoud Ahmadinejad sull’Olocausto e spianò le porte per una ritrovata intesa tra i due Paesi che sancì diverse “missioni di sistema” dei ministri dei governi Renzi e Gentiloni in Iran, la visita di Renzi a Teheran nell’aprile 2016 che fece seguito dell’allora presidente Hassan Rohani in Italia nel gennaio 2016. Erano i tempi in cui un’Alitalia già in viaggio verso il proprio tramonto offriva un collegamento quotidiano tra Roma e Teheran.
L’avvento di Trump e la sua uscita dal patto atomico nel 2017 portò a un brusco raffreddamento dei rapporti, l’interruzione dei voli Alitalia ben prima della creazione di Ita Airways e un’ambasciata italiana a Teheran che, stando a quanto pubblicato sui suoi profili social, si occupa in questi giorni della promozione dell’arte, della cultura e della cucina italiana nell’assenza di visite bilaterali e di contatti diretti tra i due governi. Eccezion fatta per qualche saltuario incontro tra ministri degli esteri ai margini di eventi come l’Assemblea Generale dell’Onu, e contatti telefonici tra Giorgia Meloni e il nuovo capo dell’esecutivo Masoud Pezeshkian, i rapporti tra l’Iran e l’Italia hanno seguito il declino sostanziale nelle relazioni tra la Repubblica islamica, l’Ue e gran parte dell’Occidente. Gli interlocutori di Meloni e Tajani, come lo stesso Pezeshkian e il suo ministro degli esteri Abbas Araghchi sono a loro volta intermediari nei confronti degli apparati d’intelligence o i Pasdaran che potrebbero aver preso in mano il caso di Cecilia Sala qualora venisse avvalorata la tesi di uno scambio con Abedini. Da qui si spiega con molta probabilità l’invito alla prudenza e al riserbo fatta da Tajani e la sua enfasi sulla natura “complicata” del caso.
Il gelo che avvolge i rapporti tra Iran ed Europa verrà allentato solo nel caso in cui la Repubblica islamica decida di negoziare un nuovo accordo con Donald Trump. L’apparato dirigenziale di Teheran dovrà fare i conti nei mesi seguenti con la probabile interruzione delle deroghe alle sanzioni Usa varate dall’amministrazione Biden, che hanno permesso all’Iran di vendere buona parte del proprio greggio ed esportare elettricità verso l’Iraq. Teheran si recherà al tavolo delle trattative, qualora decidesse di farlo, con poche carte a disposizione. Il tramonto dell’Asse della Resistenza, e il conflitto diretto ma a distanza con Israele hanno tolto gli assi dalla manica dell’Iran, che può così far solamente leva sull’uranio arricchito ben oltre il livello stipulato dall’accordo del 2015. La grave crisi energetica, innescata pure dal mancato sviluppo causa sanzioni tecnologiche degli immensi giacimenti di gas condivisi con il Qatar sotto il Golfo Persico, e la perdita costante della valuta nazionale contro quelle principali globali, hanno inasprito le condizioni di una popolazione che, secondo alcune stime, avrebbero sottratto ben trenta miliardi di dollari in contante ai conti correnti bancari ed ad investimenti produttivi per nasconderli sotto il materasso di casa, timorosa com’è di una nuova conflagrazione nel conflitto tra Iran, Israele ed Occidente. L’esecutivo Pezeshkian, che include artefici dell’accordo nucleare del 2016 come Araghchi e il vicepresidente Zarif, ha sinora ottenuto modesti risultati, tra cui spicca la sospensione dell’attuazione di una legge che impone una dura obbligatorietà del velo islamico, che viene tuttora evitato dalla molte donne “svelate” presenti pure nel contenuti prodotti da Cecilia Sala prima dell’arresto. Dopo molti mesi di lobbying, Pezeshkian ha pure ottenuto un primo allentamento nel filtraggio di Internet con la fine di limiti nell’accesso a Whatsapp e Google Play, mentre rimangono interdetti servizi utilizzati da milioni di iraniani, come Telegram, Instagram e Youtube.
Sono questi i contorni non certo positivi in cui deve ora muoversi la diplomazia italiana per ottenere, si spera in tempi brevi, la liberazione di Cecilia Sala.
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