Non avevamo ancora posato la bottiglia di spumante con la quale avevamo augurato, virtualmente, buon compleanno alla neo-settantenne Novella Calligaris, straordinaria campionessa del nuoto e da tanti anni narratrice impagabile delle vicende sportive, quando ci ha raggiunto una notizia che posto fine a ogni brindisi. Ci ha detto addio, infatti, Gian Paolo Ormezzano (anni 89), cantore del Grande Torino, firma storica del giornalismo italiano, ricco di un’aneddotica con la quale si sarebbe potuta riempire un’enciclopedia.
Non aveva ancora quattordici anni quando vide i ragazzi del suo amato Toro schiantarsi contro il terrapieno della Basilica di Superga, non ne aveva ancora venticinque quando assistette al trionfo del suo amico Berruti alle Olimpiadi di Roma, ne aveva sessantacinque nell’estate del 2001, ma qui non c’entra lo sport bensì la sua avventura familiare e una tragedia che ha cambiato per sempre la storia del nostro Paese e, in particolare, la sua.
GPO è stato, insieme a Tosatti, Ghirelli, Brera, Cannavò, Palumbo e pochi altri, uno dei veri maestri di questo nostro accidentato mestiere. Un articolo di Ormezzano valeva l’acquisto del giornale, qualunque esso fosse. Non a caso, funzionava benissimo pure in TV, mescolando alla capacità di scrittura una vis polemica e oratoria di tutto rispetto.
Fazioso, sportivamente parlando, e fiero di esserlo, non solo adorava i colori granata ma rivendicava smaccatamente la propria fede, redigendo ogni volta il manuale del perfetto tifoso, al punto di risultare, per eterogenesi dei fini, quasi oggettivo. Non che la cosa gli interessasse minimamente, sia chiaro: GPO era granata dalla testa ai piedi, anti-juventino, anti-moderno nel senso buono del termine, attaccato a valori antichi e ormai fuori moda, innamorato di un calcio che non esiste più, ancorato agli ideali di Capitan Valentino e della sua ciurma di eroi scomparsi nel fiore degli anni, epico nelle descrizioni per celare il dolore della perdita e dell’assenza e provare, invano, a farsene una ragione e pertanto modernissimo nella sua descrizione dell’abisso e della rinascita, della grandezza, della deriva e del declino.
Oltre mezzo secolo di giornalismo ai massimi livelli, torinese di una torinesità profonda, una penna da premio letterario e un fascino da osteria, la versione in riva al Po del mitico padano, meno padanista rispetto a “GioânnBrerafuCarlo” (si scrive così) ma ugualmente legato a tradizioni e culti che oggi farebbero sorridere i giovani leoni della nostra professione.
Del resto, GPO (basta la sigla) non si è mai uniformato ai nuovi costumi, preferendo restare abbarbicato al suo modo di essere, apparentemente burbero ma in realtà pieno d’amore. Prova ne sia il comportamento che ebbe nella fatidica estate del 2001, quando suo figlio Timothy venne selvaggiamente picchiato a Genova, durante le manifestazioni contro il G8, arrestato, torturato a Forte San Giuliano e infine tradotto nel carcere di Pavia, dal quale, anche grazie al provvidenziale intervento di Giuliano Pisapia, avvocato di fama e all’epoca deputato di Rifondazione Comunista, venne poi rilasciato. Quel dramma sconvolse l’austero Ormezzano, inducendolo a prendere posizione. Memorabile la sua denuncia delle condizioni in cui aveva ritrovato il figlio, “brutalizzato, ridotto ad un manichino sanguinolento, sfregiato sul viso per sempre da forze dell’ordine violente con i deboli e impotenti di fronte ai veri violenti”. E ancora: “Timothy mi ha detto che rinuncia agli ideali. Ma non ci credo. E comunque ha rifornito di ideali me”. Anche per questo volle incontrare, proprio in piazza Alimonda, i genitori di Carlo Giuliani, dimostrando un’umanità che andava ben al di là del coinvolgimento personale in un orrore che ha segnato per sempre le nostre vite.
A pensarci bene, cos’altro ci si sarebbe potuto aspettare da un uomo che era stato bambino sotto le bombe, cui erano state strappate presto tutte le illusioni e che aveva saputo costruirsi, con determinazione e coraggio, non solo la professionalità che oggi chiunque gli riconosce ma il profilo etico che caratterizza i grandi veri?
E così, riposto lo spumante, non senza aver ribadito a Novella Calligaris quanto siamo orgogliosi di lei, non ci resta che fermarci a riflettere, a scrivere, a narrare, come sarebbe piaciuto a uno dei nostri punti di riferimento, che ora, col suo sorriso sincero, ci guarda da lassù.
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