Santa Lucia è la prima delle feste che costellano questa parte dell’inverno (Santa Lucia, Natale, Epifania, 13 dicembre, 25 dicembre, 6 gennaio), e che risalgono, come si usa dire, alla notte dei tempi. A che si deve questa permanenza nel tempo delle date in cui cadono? Permanenza delle date, non del loro significato. I significati nel tempo sono profondamente cambiati, e tuttavia i giorni sono rimasti sacri, immodificabili.
La ragione, ci insegna chi sa (nel mio caso Giorgio Carrara, progettista di meridiane), della permanenza nel tempo delle date, nel cambio delle società, delle credenze e delle religioni, nasce dal fatto che quelle date hanno una derivazione astronomica, derivano dall’osservazione del firmamento, del ciclo della luce e del buio.
Siamo nel solstizio d’inverno. Nel periodo che intercorre dall’inizio di dicembre alla metà di gennaio il sole sorge e tramonta in ore che variano soltanto di pochi minuti. Solstizio significa il fermarsi del sole e sta a indicare il momento in cui l’altezza del sole a mezzogiorno raggiunge il punto più basso sull’orizzonte rispetto ad ogni altro giorno dell’anno, e sembra appunto fermarsi per diversi giorni alla stessa altezza prima di riprendere ad alzarsi.
Tre civiltà precristiane indipendenti tra loro hanno festeggiato il solstizio d’inverno in tre date diverse: quella nordica il 13 dicembre, quella romana il 25 dicembre, quella del Mediterraneo orientale il 6 gennaio, date che poi il cristianesimo ha recepito come sue feste tenendole insieme anche con il significato simbolico del numero 12. Infatti il 25 dicembre dista 12 giorni sia dal 13 dicembre, sia dal 6 gennaio.
Il 13 dicembre nel calendario giuliano (da Giulio Cesare) era considerato il giorno più corto. Poi nel calendario gregoriano (Papa Gregorio XIII, 1582) le cose sono leggermente cambiate, il giorno più corto è in realtà il 21 dicembre, ma il detto popolare resta. E, quel che più conta, quel giorno di dicembre è la festa della luce dei popoli nordici, perché da quel momento – si ritiene – il sole inizia a sorgere ogni giorno un po’ prima. Passa la grande paura dei popoli nordici che il sole continui a decrescere, non aumenti più la sua illuminazione del mondo.
Il 6 gennaio nel mondo ellenico si festeggiava Dioniso, per l’allungarsi delle giornate, mentre ad Alessandria di Egitto in quel giorno consacrato all’egizio Osiride si celebrava la nascita di Eone.
Analogamente, nel calendario giuliano il 25 dicembre era considerato la Nascita del sole, perché a partire da quella data i giorni cominciano ad allungarsi e la potenza del sole ad aumentare.
La religione di Mitra – in conflitto con il Cristianesimo dei primi tempi – celebrava (in Siria, in Egitto) il rito della Natività in quella data. I celebranti uscivano dai santuari al grido: “La Vergine ha partorito! La luce cresce!”. La vergine che aveva così concepito e dato alla luce un figlio il 25 dicembre era la grande dea orientale che i Semiti chiamavano la Vergine Celeste o semplicemente la Dea Celeste (una forma di Astarte).
Anche Mitra – identificato con il sole – era nato (o nasceva ogni anno) il 25 dicembre.
I vangeli non ci dicono nulla sul giorno della nascita di Cristo. Col tempo i Cristiani d’Egitto cominciarono a considerare il 6 gennaio come data della natività, o come data del battesimo di Gesù. L’usanza di celebrarla in quella data si diffuse in Oriente. Ma alla fine del III secolo o all’inizio del IV la Chiesa d’Occidente adottò come vera la data del 25 dicembre – mentre il 6 gennaio divenne la data dell’Epifania di Gesù, la manifestazione della sua divinità, con i doni dei Re Magi. Più tardi la data del 25 dicembre fu accettata anche dalla chiesa d’Oriente.
Che cosa condusse le Autorità ecclesiastiche ad istituire in quel giorno la festa di Natale?
Ecco la ragione per la quale i Padri trasportarono la celebrazione del 6 gennaio al 25 dicembre. Era un uso pagano di celebrare il 25 dicembre la nascita del sole a cui essi accendevano dei fuochi in segno di festa. Anche i Cristiani vi prendevano parte. Quando i dottori della Chiesa se ne accorsero decisero che la Natività dovesse essere celebrata in quel giorno e l’Epifania il 6 gennaio. Per questo ha sopravvissuto anche l’usanza di accendere fuochi fino al 6 gennaio (James G. Frazer, “Il ramo d’oro”, Universale scientifica Boringhieri, vol. II, p. 562).
Per noi ormai soltanto il 6 gennaio. Il falò del 6 gennaio, che mi piaceva tanto, in memoria delle nostre comuni origini contadine. Sempre meno praticato perché pericoloso o inquinante.
È anche interessante ricordare che Sant’Agostino in qualche modo rievoca quell’origine della festa natalizia, in quanto esorta i suoi fratelli cristiani a non celebrare, in quel solenne giorno del 25 dicembre, il sole (come facevano i pagani) ma colui che creò il sole.
Senza alcuna pretesa di accuratezza e di completezza, un modesto richiamo al senso del sacro o al senso dell’Universo in cui siamo immersi.
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