Mala tempora currunt per le libertà e per la democrazia.
Con la sentenza n. 192/2024 della Corte Costituzionale sulla autonomia differenziata vince il peggior centralismo.
Sul campo sono rimaste due vittime.
La prima è il Popolo Veneto, il cui voto referendario sull’autonomia del 22.10.2017 (con il risultato bulgaro del 98,1 per cento di SÌ) è stato spudoratamente calpestato e umiliato.
La seconda è la stessa Costituzione, la quale all’art. 5 recita che la Repubblica “riconosce e promuove le autonomie locali” e “adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento”. La Consulta ha detto l’esatto contrario.
L’art. 116, comma 3, della Carta fondamentale (novellata al titolo V nel 2001), prevede che
ulteriori forme e condizioni particolari di autonomia, concernenti le materie di cui al terzo comma dell’articolo 117 e le materie indicate dal secondo comma del medesimo articolo alle lettere 1), limitatamente all’organizzazione della giustizia di pace, n) e s), possono essere attribuite ad altre Regioni, con legge dello Stato, su iniziativa della Regione interessata, sentiti gli enti locali, nel rispetto dei princìpi di cui all’art. 119. La legge è approvata dalle Camere a maggioranza assoluta dei componenti, sulla base di intesa fra lo Stato e la Regione interessata.
L’aggettivo “interessata” (al singolare) è ripetuto due volte a significare che non tutte le Regioni sono obbligate, o hanno interesse, ad avere maggiore autonomia.
Quindi le attribuzioni di specifiche materie e relative funzioni possono avvenire solo per quella Regione che lo richiede e che ha volontà, capacità, mezzi, organizzazione, presupposti e ragioni storiche, economiche, identitarie e di specificità tale da giustificare una assunzione di responsabilità per meglio governare –in ossequio al principio di sussidiarietà– materie che lo Stato non governa con buoni risultati e secondo le aspettative dei cittadini di quella Regione.
Ovviamente, usando le stesse risorse che per quelle materie impiega lo Stato, ovvero a “invarianza di bilancio”.
Gli artt. 116 e 117 della Costituzione specificano con chiarezza quali sono le materie di “legislazione esclusiva” dello Stato e quelle di “legislazione concorrente” con le Regioni.
In premessa appare fondamentale rilevare che l’autonomia differenziata sicuramente non interesserà mai le Regioni più piccole, che non hanno i presupposti oggettivi (strutture, organizzazioni, apparati tecnici e amministrativi, et cetera), né interesse pratico a farsi carico della gestione di materie che, per ovvie ragioni, lo Stato può meglio curare e sostenere.
Si pensi che il Molise ha meno di 290 mila abitanti; la Basilicata circa 540 mila; l’Umbria 855 mila circa.
È chiaro che queste realtà regionali sono molto più piccole di province come per esempio Padova o Verona di oltre 900mila abitanti cadauna.
Da altra prospettiva è interessante rilevare che nel quadro della UE28 il Veneto da solo ha un P.I.L. più grande di dieci paesi europei e un “peso” in Europa assai rilevante.
L’Italia ha la sua ricchezza storica, culturale ed economica proprio nelle preziose e diverse realtà territoriali.
L’Italia più creativa nell’arte, nell’economia, nelle scienze è quella del Rinascimento, non quella del Risorgimento e dell’unità forzata.
I confini in sé non sono dei valori, così come l’omologazione identitaria non può avvenire iussu iudicis, così come, con disarmante aridità culturale e con violenza da legibus solutus, hanno decretato i sacerdoti del Sinedrio (Consulta) che hanno scritto la sentenza n. 192/2024, depositata il 03.12.2024, a firma di un Presidente che due settimane dopo è andato in pensione (l’86enne Prof. Augusto Antonio Barbera, già parlamentare per ben cinque legislature (!) nelle fila del PCI prima e PDS poi).
Insomma una vergognosa sentenza ove le garanzie ed i principi costituzionali vengono piegati e traditi alla visione politica di una vecchia sinistra, ammuffita e maleodorante, sostenitrice di un neocentralismo ottocentesco e prepotente.
Ma c’è di più.
Vi sono forzature da Stato etico prevaricatore, di hegeliana memoria, ove le Comunità territoriali vengono ad libitum principis spogliate della loro millenaria identità e storia.
Come riconoscono tutti gli osservatori ed intellettuali più onesti, la autonomia differenziata era stata pensata proprio per il Veneto, trattandosi di un territorio e di un popolo dalla forte identità storica, con legittime aspirazioni di autogoverno sovrano, atteso che si è retto come Repubblica indipendente e sovrana per 1100 anni.
Invero, va ricordato che tutto ha avuto avvio quando, su iniziativa di Indipendenza Veneta, fu presentata la proposta di legge veneta n. 342/2013 per un referendum per l’indipendenza -di cui lo scrivente è stato coautore-, cui seguì, subito dopo, la proposta di legge n. 392/2013 per un referendum sull’autonomia.
Entrambe le proposte sfociarono nelle due leggi venete del 12.06.2014 e precisamente la n. 15/2014 per un referendum sull’autonomia e la n. 16/20214 per un referendum sull’indipendenza.
Con la sentenza n. 118/2015 la Corte Costituzionale, in presenza di un solido fronte politico veneto di rivendicazioni, con ben due leggi referendarie, decise di concedere che si tenesse il referendum consultivo sul tema della autonomia differenziata.
In Veneto, come detto sopra, vi fu sia una partecipazione straordinaria al voto, sia un risultato che stupì tutti gli avversari e gli scettici della autonomia differenziata.
Purtroppo vi sono state – o per colpa dei politici veneti temporeggiatori o incapaci, o per tornaconto e calcolo di qualche politico inadeguato – delle concessioni temporali che sono state fatali.
Il 28.02.2018, a distanza di soli quattro mesi dal referendum del 22.10.2017, si era giunti ad una cosiddetta “pre-intesa quadro” tra Veneto e Governo Gentiloni, assai interessante, sia perché realizzata in applicazione diretta dell’art. 116 comma terzo Costituzione -che prevede l’intesa diretta tra Stato e Regione interessata-, sia perché larga parte degli esperti riteneva che non era necessaria una legge di “principi e modalità procedurali” quale è stata poi la Legge 86/2024 (cd. Calderoli), voluta da una sinistra venduta al peggiore neocentralismo e accettata da una parte del centrodestra che al suo interno aveva, ed ha, gli stessi interessi centralisti della sinistra.
Perché la sentenza n. 192/2024 è la tomba sepolcrale della autonomia differenziata?
Innanzitutto va ribadito che tale sentenza è un atto squisitamente politico, non una pronuncia coerente con i princìpi e le garanzie scritte nella Costituzione.
“Contro le decisioni della Corte Costituzionale non è ammessa alcuna impugnazione” recita l’art. 137 della Carta.
Dopo il dictum di questi sacerdoti, investiti della “verità ufficiale”, c’è solo Dio, sperando che sia magnanimo e li perdoni. Lì almeno non ci sono le loro “colonne d’Ercole”, che secondo la loro interpretazione non si devono superare quando si parla di autonomia differenziata, a tutela e “garanzia della permanenza dei caratteri indefettibili della nostra forma di Stato” centralista. Amen. Sono convinto tuttavia che il giudice più severo contro questa sentenza sarà la storia.
La decisione è stesa e poggia sul peggior statalismo etico e autoritario, secondo il quale le “norme generali sull’istruzione” devono essere funzionali ad “assicurare la previsione di una offerta formativa sostanzialmente uniforme sull’intero territorio nazionale…” per garantire “l’identità culturale del Paese…” e per il “… mantenimento dell’identità nazionale”.
Il programma di un vero e proprio Minculpop.
Il “fascismo degli antifascisti” descritto da Pier Paolo Pasolini.
Lo strumento maldestramente usato per reggere l’argomentazione, tanto dotta quanto blasfema, è quello del “principio di sussidiarietà”, declinato con originale abilità e mistificazione ad usum delphini, coniugandolo con il (loro) “giudizio di adeguatezza” con forzature linguistiche davvero acrobatiche, arrivando a stravolgere e alterare anche il senso letterale delle parole, per cui, per esempio, “le materie” diventano “funzioni concernenti le materie”.
La sentenza poi scolpisce lo sfondo pseudogiuridico necessario per assicurare nel tempo, e quindi in modo imperituro, il centralismo della forma di Stato unitario e pseudodemocratico, ove, di necessità, “Il popolo e la nazione sono unità non frammentabili. Esiste una sola nazione così come vi è solamente un popolo italiano, senza che siano in alcun modo configurabili dei “popoli regionali…”.
Una Consulta politicizzata e vestita di rosso sinistro, riscrive e stravolge la Costituzione e con discutibilissime “interpretazioni costituzionalmente orientate” di fatto stabilisce Lei che:
a) l’iniziativa legislativa per l’autonomia differenziata non va intesa come riservata solo al Governo;
b) la legge di differenziazione non è di mera approvazione dell’intesa, così come è sempre stato per le intese con le comunità religiose;
c) anche per le nove materie “no LEP”, individuate dalla commissione dei saggi presieduta dal Prof. Sabino Cassese, possono essere richiesti i LEP se si toccano anche indirettamente i diritti civili e sociali;
d) la clausola di “invarianza finanziaria” deve tenere conto anche di altri fattori ed eventuali risparmi ottenuti dalla Regione virtuosa potrebbe essere previsto che siano riversati nelle casse dello Stato centrale, vanificando chiaramente l’interesse, l’impegno e la assunzione di responsabilità della Regione virtuosa;
e) ad nutum dei componenti di tale Sinedrio si rileva poi che
vi sono delle materie, cui pure si riferisce l’art. 116, terzo comma, Cost., alle quali afferiscono funzioni il cui trasferimento è, in linea di massima, difficilmente giustificabile…
Ma questa è la Costituzione che ex novo scrivono loro oggi, non quella che conosciamo noi.
Non vi piace? Eccoli minacciare in anticipo che se il Parlamento non li dovesse ascoltare (non importa che il Parlamento sia l’organo rappresentativo della sovranità popolare)
le leggi di differenziazione che contemplassero funzioni concernenti le suddette materie (es. commercio estero, energia, …) [esse] potranno essere sottoposte ad uno scrutinio stretto di legittimità costituzionale.
Scrutinio stretto, capito?
Non scrutinio attento e rigoroso, in ossequio ai principi dettati nell’ultimo periodo dell’art. 5 della Costituzione, palesemente ignorato in tutta la motivazione della sentenza.
Roba da autocrazia! O da Stato centralista di polizia! Poco cambia. Noi Veneti siamo una colonia? Quousque tandem, Roma, abutere patientia nostra?
Et de hoc satis!
L’articolo Autonomia differenziata? Un tradimento proviene da ytali..