Non mi riesce di ricordare il contorno preciso cioè a dire programmatico, formale del provvedimento, ma so per certo che quella fu l’unica volta in cui si tentò e si agì il recupero dell’insegnamento del latino nella scuola media unificata.
A Marghera dove insegnavo a nessuno sul serio sarebbe venuto in mente di ristabilire l’ insegnamento del latino!
La scuola media di un tempo così selettiva, che già indirizzava verso l’esito dei licei, era impensabile e irrecuperabile e non solo a Marghera.
La scuola media unificata mi sembra suggerisse nei programmi un riferimento al latino nell’insegnamento dell’italiano ma niente di più. Non so perché ma quell’anno nella Guardi si attuò, con quei professori che intendessero farlo, l’esperimento di selezionare degli alunni e di insegnare per un anno soltanto il latino. Avrebbero poi affrontato un esame comune quelle classi, che avevano accettato verrebbe da dire la sfida, nell’ambito dell’esame di licenza. Inutile premettere che i miei alunni la vinsero. Riportarono a casa del professore per così dire un dieci di perfezione. La sfida finale fu una traduzione dal latino di un brano. Per i miei pargoli sarebbe stata la prima volta in un certo senso che avrebbero tradotto dal latino, perché mai prima di quella volta si sarebbero esercitati nel tradurre! Una premessa quasi storica si rende necessaria.
Ero già stato abilitato ufficialmente all’insegnamento delle materie letterarie nella scuola media e anche questa faccenda va illustrata.
Come riferivo del Giannarelli nel capitolo de “I pilastri dell’Istruzione” urgeva ciclicamente la soluzione del che cosa fare degl’ insegnanti che insegnavano, senza poter legalmente insegnare.
Per esercitare una professione nel nostro Paese occorre il superamento di un esame di Stato che abiliti all’esercizio di quella professione. E’ questa per così dire la Lex Maxima cui ci si deve attenere. Dal giornalista, al notaio, dall’architetto all’insegnante bisogna nell’ambito del nostro Stato conseguire un’ abilitazione all’esercizio della professione. E così per gl’insegnanti che non potrebbero legalmente insegnare se non ufficialmente abilitati. Quella volta, la mia volta venne trovata una soluzione nell’invenzione dei corsi abilitanti, che furono peraltro una sorta di pro forma nella forma del Todos Caballeros.
I professori che già insegnavano venivano sottratti per un po’ di tempo alle loro mansioni e affidati a degli esperti che li avrebbero eruditi e poi giudicati.
Allora non seppi approfittare dell’occasione più che per onestà professionale, devo confessare, per prudente viltà.
Insegnando nella scuola media da anni pensai che tutto mi si poteva dire tranne che non sapessi il fatto mio, che lo sapevo benissimo, come ebbi peraltro modo di dimostrarlo durante il corso distruggendo fino alle lacrime una tale della RAI che era venuta con molta spocchia a spiegarci che eravamo dei poveri professori di scuola media scadutelli per rispetto ai media trionfanti. Ma non fu la sola volta che feci piangere una donna senza picchiarla. In Teatro da regista mi capitò spesso.
La conclusione tratta era che non potevo non essere alla fine dichiarato abile. Ma i corsi abilitanti erano aperti non solo a tutti gli insegnanti non ancora abilitati ma chiunque insegnante poteva competere nell’ambito di qualsiasi corso abilitante e risultarne abilitato. Accadde pertanto com’è prevedibile nel nostro paese che coloro che insegnavano in una scuola media competessero per un’abilitazione in una scuola superiore, per cui risultando abilitati all’insegnamento in un liceo, si sarebbero trasferiti dalla scuola media inferiore in cui insegnavano, in un liceo con un minor carico di lavoro e maggiore retribuzione. Questo lo fecero in moltissimi, per cui nei licei vennero ad insegnare e avrebbero insegnato fino alla pensione dei maramaldi truffaldini di scarso peso, soprattutto del genere sessantottino. Questo lo posso affermare con la dovuta certezza.
Col senno di poi però per me fu meglio così. Se avessi concorso per un’abilitazione superiore sarei finito in un liceo cioè meglio per il momento, ma mi sarei accomodato, e non avrei portato a termine quella virata esistenziale che cambiò la mia vita, quando non ne potei più della situazione in cui mi ero venuto a trovare, sia per il lavoro e la professione. che per la vita sentimentale. Ma di ciò a suo tempo.
Scelsi allora di essere onesto nei miei confronti e del sociale, e non m’iscrissi ai corsi abilitanti per l’insegnamento delle materie letterarie nella scuola media superiore ma in quella inferiore.
Il corso abilitante che frequentati fu alla fin fine costruttivo e simpatico.
Si teneva in una scuola o in un edificio di scuola media a ridosso dei giardini napoleonici di Sant’Elena. Per chi non lo sa sono fondamentalmente tre i giardini pubblici a Venezia.
Ci sono i giardini Papadopoli al margine sud ovest, quelli reali dove si ergeva la Zecca della Serenissima vicini a Palazzo Ducale, meglio Dogale e quelli che io definisco in modo più appropriato Napoleonici. Tutti e tre questi giardini non esistevano ai tempi della Repubblica Veneta per la semplice ragione che il verde in forma ortofrutticola era assai più diffuso in Venezia che non ora. I giardini napoleonici sono emblematici al riguardo. Essi sono l’evidenza e la persistenza dell’originario progetto pedagogico rivoluzionario che avrebbe offerto alle classi guidate dai maestri in passeggiata il repertorio della botanica farmaceutica secondo il nuovo calendario decadario e narrato la vita esemplare degli eroi repubblicani delle scienze, delle arti e del valore militare. I virgulti repubblicani avrebbero così appreso le novità del Verbo Democratico Rivoluzionario all’aperto senza la costrizione confessionale della religione scolastica. La faccenda non andò così, si sa.
In quella scuola si alternavano come docenti aggiornatori oltre che i veri e propri docenti, che erano due presidi di scuola media, altre figure di competenti e sapienti più o meno in vista, che venivano ad aggiornarci.
Uno dei governanti titolati del corso fu, perché credo sia nel frattempo deceduto, una persona amabilissima e competente nel suo ambito, famoso o perlomeno noto allora per un corso alla televisione di latino. Era un po’ il suo hobby quello del Latino e sicuramente ci sapeva fare.
Il ricordo allora recente di quest’esperienza mi tornò alla mente quando decisi anch’io pochi anni dopo di cimentarmi con la didattica del Latino. Quel che feci però – avevo a disposizione pochi mesi e pochi alunni per l’esperimento fu sicuramente del tutto diverso dal metodo di quel Preside. Mi pare si chiamasse Zennaro e se era lui era altresì noto per essere il padre di una campionessa di nuoto, di una pre Pellegrini insomma per intenderci. Alla televisione fece per il Latino quel che fece Manzi per l’italiano.
Il mio punto di vista, diverso credo dal suo e che misi alla prova, era che si doveva completamente prescindere o fare a meno del tutto dalla cosiddetta analisi logica, che di logico aveva a parer mio ben poco, per realizzare una sorta di full immersion nel latino senza trapasso di lingue. Premetto ancora che io personalmente non consegui mai buoni risultati in latino a differenza del greco in cui ne conseguii di migliori.
Tanto per dare la colpa agli altri ritenni sempre che il greco fosse più preciso del latino, per cui avevo ragione io, che ero preciso, e non il latino. Devo però ammettere che la faccenda non stava esattamente così. Avevo un amico, che ho tuttora, che quando gli ponevo i miei dubbi e le mie incertezze nella comprensione e nella traduzione di un passo latino non capiva dove stesse la mia incomprensione. Per lui il passaggio era chiaro e non faceva che ripetermelo tale e quale con il finale:
“È chiaro non capisci?”
Ma io non capivo!
Come lui faceva un professore di latino che fu anche mio professore al Liceo, ma che conobbi per delle ripetizioni. Anche lui mi invitava a leggere il passaggio più volte senza forzare il senso fintantoché avessi compreso. Ma stentavo a capire.
Ambedue avevano ragione, ma erano più bravi di me e continuavano ad esserlo.
Quel che mi accadeva invece era che io inventavo con facilità un senso che però non era però quello del testo ma una mia creazione.
Un problema simile lo ebbi recitando in seguito. La mia memoria per il testo del copione vacillava spesso e rimediavo con vere e proprie invenzioni o creazioni testuali. Insomma mi era più facile improvvisare che non ritenere e ripetere.
Detto tutto ciò a parer mio la difficoltà del latino per rispetto all’italiano è quella della presenza dei casi. In tal senso il latino non è diverso per l’apprendimento dall’ apprendere tutte quelle lingue che praticano i casi.
Decisi allora di affrontare da questo punto di vista il problema.
I casi erano importanti. Non era importante insegnare in successione le diverse declinazioni dei nomi, pronomi e aggettivi ma introdurre la competenza dei casi. Ne conseguiva che insegnavo innanzitutto il nominativo in tutte le declinazioni e poi l’accusativo e il genitivo e gli altri casi insieme alle preposizioni con cui si accompagnano.
Le difficoltà sono date dal dativo, dal genitivo e dall’accusativo, dall’uso di questi casi.
Con le preposizioni non ci sono problemi.
Allora studiavo o ristudiavo l’inglese ed ero capitato in un testo curioso: ENGLISH THROUGH ACTIONS” il cui metodo d’istruzione applicai al latino.
Questo testo sembrava una sorta di manuale per la formazione dei marines. Il metodo era essenzialmente militare basato su un “drilling” continuo di frasi in situazione ripetute fino all’esaurimento fisico. Offro degli esempi soltanto della combinazione del metodo dei casi e di quello agito.
Il nominativo era introdotto per la funzione da Ecce. Per cui dicevo:
“Ecce manus mea, ecce manus tua, ecce magister”
e mi indicavo.
“Ecce discipulus”
e indicavo l’alunno e sempre a ripetere tutta la classe insieme e a indicare gli oggetti. Introducevo poi il genitivo dicendo:
“Ecce manus magistri, ecce manus discipuli …”
Non distinguevo fin da subito le declinazioni perché con concernevano la funzione per cui si continuava dicendo
“Ecce manus discipulus opificium magister classis via urbs metus artifex” ecc.
Con i verbi non c’era problema:
“ Ego habeo, amo, video …”
e con questi verbi introducevo l’accusativo per cui
“Ego habeo manum, amo magistrum, video opificium ….”
E avanti così.
Confesso che la faccenda per me era noiosa, ma per loro funzionava. Si sentivano quasi dei legionari.
A questo punto s’innestava la specificità del mio insegnare più personale, cioè l’adorazione e il feticismo assoluti.
Il solo dizionario che avrei usato era il mio Calepinus, un’edizione del 700 per il Seminario dello Studio Patavino.
Un giorno, un bel giorno che già ci sapevano fare con le cerimonie, lo portai e lo esibii per il rito,e da quel momento veniva chiuso nella cassaforte della scuola e andato a ritirare in pompa magna.
I vocaboli non erano tradotti da un miserabile Georges ma direttamente appresi dal Calepinus.
Il discepolo aveva accesso al librone reliquia.
“ Ma è vero professore … è proprio del 1700”.
Mi chiesero la prima volta e ancora
“Quanto vale?”.
E io sparare cifre inaudite e pazzesche con loro stupefazione.
Al consultatore del Calepinus veniva offerta momentaneamente una lente preziosa perché potesse leggere direttamente e dettare agli amanuensi la definizione dei termini.
Sembrava effettivamente la classe un convento di Benedettini. Erano affascinati dalla faccenda.
Cercavo il più possibile di stare dentro il latino, di non tradurre mai ma solo di comporre frasi e quando si trattò di offrire loro un testo, scelsi Isidoro di Siviglia, qua e là, ma soprattutto il Libro X De vocabulis che regalai loro in fotocopia dalla mia edizione oxoniense.
Così addestrati i miei pochi eletti trionfarono alla prova finale. Prova soprattutto che il mio metodo aveva funzionato. La cosa non si ripeté più, né io me ne occupai.
Quel che penso ora come allora è che il latino, semplificato, quello della Chiesa dei Padri del Medioevo, si sarebbe potuto insegnare e che la vera Europa invece che farsi rappresentare da una Babele di Lingue doveva nascere con questa lingua ufficiale e un suo esercito come lo Stato d’Israele, che ebbe il coraggio di resuscitare la lingua dei Padri Biblici. Ma questa veramente è un’altra storia che sta per finire. Intendo quella dell’ Europa.
Fu l’ultima volta credo in forma ufficiale che il latino venne insegnato ai figli degli operai di Marghera.
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