L’appuntamento del 18 gennaio a Milano organizzato da Graziano Delrio per battezzare l’associazione Comunità democratica e rilanciare il ruolo della cultura politica cattolico democratica, ha una valenza che trascende gli aspetti puramente politici. Lo confermano i concomitanti passi della rete di quattrocento amministratori locali di matrice cattolica coordinata da Francesco Russo che il 14 febbraio a Roma porrà un primo punto fermo al suo percorso. Si tratta di due realtà che segnano probabilmente una conclusione alla lunga transizione del dopo Ruini, nel rapporto tra laici cattolici impegnati in politica e gerarchie ecclesiastiche, su cui è bene soffermarsi. La lunga stagione del card. Camillo Ruini a capo dell’episcopato italiano, aveva segnato una svolta clericale nel cattolicesimo italiano, e dopo il suo ritiro era iniziata una fase di ridefinizione dei rapporti gerarchia-laicato che probabilmente queste ed altre iniziative sembrano concludere.
Da un punto di vista storico il cattolicesimo democratico si era consolidato, nell’era post Conciliare a guida di Paolo VI, per una condizione ecclesiastica ed ecclesiale particolare. Non solo perché esisteva un partito unico dei cattolici italiani. Ma soprattutto perché papa Montini, e le gerarchie italiane, incentivavano l’impegno dei laici nella polis; l’impegno in politica – pur in una visione laica – era considerato come una “vocazione” ecclesiale, che maturava all’interno della comunità dei credenti, in favore della “città dell’uomo”. Non è un caso se moltissimi esponenti politici cattolici provenivano da esperienze nell’Azione cattolica, cioè l’associazione ufficiale dell’episcopato, (da Vittorio Bachelet fino al presidente Mattarella) e da altre associazioni ecclesiali (Fuci, Acli, Agesci, ecc). L’impegno nella “città dell’uomo” implicava, da un punto di vista della cultura politica, la mediazione da parte dei laici impegnati in politica, tra i valori del Vangelo e la loro possibile attuazione. Questo approccio nasceva da una visione positiva del mondo moderno, della cultura moderna, con cui era possibile un dialogo e una mediazione. Questa apertura propria del Concilio Vaticano II – e sancita dal documento Gaudium et Spes – ha posto fine ad un lungo periodo iniziato con la Rivoluzione francese e dogmaticamente definito con l’enciclica Mirari vos (del 1832) di Gregorio XVI, nel quale il cattolicesimo aveva rifiutato il confronto con la modernità.
La mediazione è stata la quintessenza del cattolicesimo democratico italiano: ha permesso il confronto e il compromesso con altre culture politiche presenti in Italia, che ha consentito al nostro Paese di varare riforme che lo hanno reso uno dei Paesi più avanzati del mondo: dalla riforma della scuola del 1963, a quella della Sanità del 1978. Con la morte di Paolo VI e l’arrivo sul soglio pontificio di Giovanni Paolo II, questa sensibilità è gradualmente venuta meno anche per la storia personale del papa polacco, vissuto in un contesto di scontro (“confrontazione” si disse allora con un anglicismo) del cristianesimo con il potere politico.
Il cardinal Ruini, presidente della Cei dal 7 marzo 1991 al marzo 2007, ma già dall’1986 al 1991 segretario generale della stessa Conferenza episcopale, impose una svolta, facendosi interprete del nuovo corso di papa Wojtyla, esplicitato dal pontefice al convegno ecclesiale di Loreto nell’aprile 1985; fine della “cultura della mediazione” in favore di una “cultura della presenza” dei cattolici nella società. Questo significava la fine del ruolo dell’associazionismo cattolico (Azione cattolica in primis) e dell’esperienza ecclesiale nel fornire ceto alla politica. La gestione di quest’ultima era appannaggio delle stesse gerarchie, con i laici destinati a eseguire le direttive. Un ritorno al classico clericalismo che si è esplicitato in interventi diretti sul terreno politico: il più riuscito fu il sostegno alla legge sulla fecondazione assistita e l’invito del cardinal Ruini all’astensionismo nel 2005 sul referendum che voleva cancellare quella legge.
Di non minore impatto la discesa in campo del cardinale contro i Dico (le unioni civili) nel 2007 e la rivendicazione di aver fatto cadere nel 2008 il governo Prodi. Il nocciolo di quello che Ruini chiamò il Progetto culturale, sono stati i temi eticamente sensibili, proprio perché su di essi tipicamente avviene una mediazione partendo da antropologie diverse. E non è un caso che fu il cardinal Ruini a coniare l’espressione “valori non negoziabili”. Si tratta di una tautologia, visto che sui valori, in quanto tali, non si negozia, mentre lo si fa sulle declinazioni pratiche, concrete, storiche. Ma era il termine “non negoziabile” ad essere rilevante, in quanto segnalava la non disponibilità alla mediazione. Ovviamente la svolta clericale ha condotto al collateralismo con la destra, paradossalmente guidato da un leader libertino. Quando nel 2009 Berlusconi, per raccontare una delle sue barzellette contro Rosy Bindi, vi infilò una bestemmia, mons. Rino Fisichella lo giustificò.
Questa impostazione ha portato benefici alle istituzioni ecclesiastiche in termine di potere e in termini economici (varie leggi, come le esenzioni Ici per gli enti ecclesiastici, la stabilizzazione dei docenti di religione, ecc), ma sul piano dell’incidenza dei valori cattolici nella società, si è dimostrata fallimentare.
L’arrivo di papa Ratzinger ha avviato la transizione del dopo Ruini. Benedetto XVI era attentissimo alla realtà tedesca, dove il confronto tra il cattolicesimo e la cultura laica, è molto articolato. L’inizio di cambio di paradigma – pur su una visione conservatrice – è da segnare nel discorso che il Pontefice tenne il 7 settembre 2008 a Cagliari; qui evocò la necessità di “una nuova generazione di politici cattolici”, contraddistinti da “rigore morale e competenza”. Il discorso allor suscitò un certo dibattito pubblico, ma paradossalmente la ventennale impostazione clericale di Ruini era penetrata anche nel laicato cattolico e perfino tra le personalità politiche e pubbliche laiche.
Anche con i due successori di Ruini, il cardinal Angelo Bagnasco (presidente Cei per 10 anni fino al 2017) e poi il card Bassetti, ed infine il card Matteo Zuppi, quanti nell’area cattolica di centrosinistra hanno pensato ad una iniziativa politica, hanno sempre cercato una interlocuzione con la Cei, con una benedizione almeno implicita. Anche i tentativi recenti di Insieme, cioè una formazione cattolica centrista indipendente dai due poli, ha individuato nel professore Zamagni il proprio leader non per il suo illustre curriculum, bensì per i suoi incarichi negli Organismi della Santa Sede.
Ma veniamo all’iniziativa di Milano di Delrio e a quella di Roma di Russo. La scintilla, come hanno detto gli stessi promotori, è stata suscitata dalla cinquantesima edizione delle Settimane sociali dei cattolici italiani, appuntamento svoltosi a Trieste ai primi di luglio. Questi appuntamenti hanno avuto luogo ogni tre o quattro anni, tra l’altro affrontando temi squisitamente politici, avanzando anche proposte precise su diverse problematiche (welfare, lavoro, riforme istituzionali, ambiente, ecc) che attanagliano il Paese. Perché l’appuntamento di Trieste è stata una svolta rispetto ai precedenti di Reggio Calabria, Torino, Cagliati o Taranto (per citare quelle del dopo Ruini)? Il titolo dell’appuntamento del luglio scorso era esplicito, “Al cuore della democrazia”; ma l’aspetto rilevante è stato il messaggio del presidente della Cei, card. Zuppi e del presidente del Comitato organizzatore, mons. Luigi Renna (arcivescovo di Catania). Un invito esplicito ai laici cattolici a tornare a impegnarsi nella polis, nella città dell’uomo, senza aspettare benedizioni o beneplaciti da parte della gerarchia. Lo stesso messaggio è risuonato anche a Pompei, dove il presidente della conferenza episcopale della Campania, Antonio Di Donna, il 14 dicembre ad una affollata assemblea di associazioni laicali, ha rivolto l’appello ad impegnarsi in politica, camminando con le proprie gambe.
Spetterà alle iniziative di Delrio il 18 a Milano, a quella di Russo a Roma il 14 febbraio e ad altre, riaprire la stagione della mediazione partendo innanzi tutto dalla straordinaria capacità progettuale del mondo cattolico (una rete di Associazioni, Fondazioni, Università, mondo cooperativo, ecc), e dalla capacità di dialogo e confronto, le due armi migliori per battere il populismo settario, che sta portando l’Italia al declino. In tale ottica, pur non essendo una iniziativa di matrice strettamente cattolica, è interessante l’assemblea di Libertà Eguale a Orvieto anch’essa il 18 gennaio. L’associazione, che compie in questi giorni 25 anni, rappresenta un eccezionale luogo di confronto tra culture riformiste diverse, socialista, progressista, cattolica, laica. Rappresenta ciò che il Pd non è riuscito ad essere: un luogo plurale capace di generare idee e proposte grazie al confronto. Felice dunque la scelta di un collegamento via web, a mezzogiorno del 18, tra Milano e Orvieto per condividere gli interventi di Pierluigi Castagnetti (da Milano) e Giorgio Tonini (da Orvieto).
Papa Giovanni XXIII definì la piccola comunità ecumenica di frere Roger a Taizé (Borgogna), “una piccola primavera” dell’ecumenismo. Chissà se Orvieto, Milano e Roma saranno una “piccola primavera” per l’ecumene politica del centrosinistra italiano.
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