Un libro è viaggio, ricerca, riflessione, amore e appartenenza, desiderio salutare di fare chiarezza, di definire la modalità consapevole del proprio esistere. Nella linearità del percorso tematico, Dal Remo al Vapore ricostruisce il farsi del passaggio della navigazione lagunare interna, dalla propulsione muscolare umana a quella meccanica e. infine, alla sua affermazione, nel settore del trasporto passeggeri.
Alessandro Rizzardini, autore dell’opera, segue la dinamica del processo ricorrendo ad un’ampia documentazione basata su vari testi e soprattutto sui sette quotidiani che si pubblicano a Venezia alla fine dell’Ottocento. Si tratta di un apparato documentale proposto con dovizia di dettagli, in cui c’è l’eco dei molti interessi che riportano all’impresa e, fra le righe, ad una qualità fondamentale dell’essere Venezia in cui acqua e terra, pur essendo elementi distinti, sono parte costitutiva e unitaria del corpo mobile, ambiguo e complesso della città lagunare.
L’autore ricostruisce il percorso istitutivo del servizio pensato, agli inizi, anche in funzione della balneazione lidense e propone in modo alquanto minuzioso il contesto storico di riferimento. Si sofferma sulle criticità dell’avvio, sugli interessi in ballo, dà conto delle compagnie che ambiscono alla gestione del servizio, fra cui prevale inizialmente la Società Veneta di Navigazione a Vapore Lagunare, di ispirazione francese. Nello stesso tempo, offre al lettore materia utile per entrare nella problematica del rapporto fra la storia e la natura, fra l’uomo e l’acqua in cui è fondamentale il dialogo per definire una vera e propria lingua comune con cui andare oltre – ed è materia calda dei nostri anni – la vecchia idea positivista della sfida tra uomo e natura, causa di molte sciagure in corso, ed entrare in una dimensione in cui l’esistenza dell’uno possa rinvigorirsi ed essere qualità del vivere con il virtuoso riconoscimento dall’altra. È utile, a tal fine, leggere l’opera sullo sfondo della problematicità attuale del sistema della navigazione lagunare dei trasporti, fare lo sforzo di valutare le scelte compiute e, alla luce dei numerosi problemi sul tappeto, catalogarle come opzioni, a volte forzature troppo soggette all’utilità funzionale del sistema e poco attente alla complessità del biotopo lagunare, in cui opera una miriade di soggetti la cui salute individuale è condizione del benessere generale.
È del 1° giugno 1881 “il primo vaporetto destinato al servizio pubblico in Canal Grande”. Per la cronaca, si chiama Regina Margherita e arriva dalla Francia, dai cantieri di Nantes dopo un lungo viaggio durato cinque settimane. Le questioni tecniche sconosciute si fanno ben presto palesi ed “Eccoli finalmente tutti sul tavolo i problemi legati al nuovo servizio pubblico,” scrive Rizzardini, rifacendosi a quanto riporta il 3 giugno 1881 Il Veneto Cattolico sulla proprietà francese della compagnia e, il 14 dello stesso mese, la Gazzetta di Venezia in merito alle implicazioni occupazionali e ambientali del servizio: “…il lavoro, che verrà meno tra i lavoratori del remo, la restia dei pesanti mezzi a vapore che scaverà le fondamenta dei palazzi; i pennacchi di fumo che inquineranno l’aria e danneggeranno le opere d’arte…; i possibili e più probabili incidenti nautici in una via così stretta e così frequentata.”
Le ripercussioni della navigazione meccanica sono pertanto note fin dai primi giorni a cominciare dal moto ondoso (restia), per il quale, nel 1903, viene istituita una commissione municipale, agli effetti inquinanti della combustione e fino all’affollamento dei natanti causa di incidenti di traffico.
Progressivamente, i vaporetti entrano nel “panorama domestico” come testimonia il corteo inaugurale del carnevale del 1883 o il funerale di Richard Wagner del mese successivo, in cui il natante sul quale naviga il feretro del grande compositore appare “ornato d’alloro e di palme”. Sarà sempre un vaporetto, nel febbraio del 1897, a trasportare corone e fiori al funerale di Giacinto Gallina, mentre il feretro è portato a spalla. In quell’anno, ricorda Rizzardini, “la penetrazione dei vaporetti è totale”. La nascita dell’Azienda Comunale Navigazione Interna (ACNI), è del 1903, nel giro di qualche anno, vengono raddoppiati gli approdi. A luglio del 1907, si registra una presenza media di passeggeri sulle 15 mila unità. Nel 1930, l’ACNI diventerà anche Lagunare.
L’abbrivo del servizio è costellato dalle proteste di utenti e danneggiati; ci sono rimostranze per le fermate, per i costi, “le doglianze sul modo con cui il servizio dei vaporini è fatto, sono molte e continue”, scrive il quotidiano La Difesa, nell’edizione del 12 luglio 1887, anno in cui i gondolieri fanno il secondo sciopero e viene bloccata la Regata Storica che riprenderà soltanto alla fine di luglio del 1892.
Il vaporetto ha un suo ruolo anche negli scontri che si verificano in città nel corso del 1921. Rizzardini segue gli eventi anche luttuosi che si verificano a Venezia in quell’anno e coinvolgono anche l’apparato del trasporto passeggeri. In proposito l’’autore constata: “Non risulta che l’Azienda abbia fatto alcuna obiezione e tantomeno denuncia alle requisizioni violente dei vaporetti.” Le violenze si verificano anche negli anni successivi in cui si registra il suicidio del dipendente ACNI Giovanni Maschietto depresso per l’imminente intimazione di sfratto. L’episodio assieme ad altri, mette in luce “le tristi condizioni finanziarie” del personale dell’ACNI.
Oltre la qualità specifica della cronaca con i dettagli del quotidiano, l’opera contiene un corredo fotografico molto significativo e rappresentativo. Mi piace rilevare che è proprio dalle beghe di parte, dalle proteste, dai cortei, dagli scioperi, dagli incidenti e. addirittura, dai borseggi, nonché da qualche parto in vaporino e dal loro minuzioso succedersi che emerge una vivacità del contesto storico che definirei “venezianità”. La quale emerge proprio da un senso che ha l’autore di una grandezza della città che non può essere il semplice scenario di ciò che avviene, ma la sua ragione. Sono di particolare significato, da questo punto di vista, i capitoli conclusivi che riguardano gli anni della Prima Guerra Mondiale, le ferite, per quanto lievi, inferte dal bombardamento del 26 e 27 febbraio 1918, riportate non tanto per l’entità, ma per l’affronto stesso fatto ad una città da considerare “sacra”. Con lo stesso senso di dolore, Rizzardini, ricorda la ricostruzione post-bellica e gli eventi infausti dei primi anni del periodo fascista di cui rileva l’aspetto animalesco, gratuito e brutale con una serie di atti di violenza.
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