Giovanni Innamorati, Pier Paolo Baretta, Roberto Di Giovan Paolo e Andrea Ferrazzi hanno, in modo diverso, ragionato su ytali dei convegni che nei giorni scorsi hanno rianimato a Milano e a Orvieto il pensiero che si può definire cattolico democratico.
Non riuscivo bene a capire quale fosse il mio “sentire” istintivo rispetto a questi appuntamenti.
Le partecipazioni erano senza dubbio autorevoli e hanno visto la presenza, tra gli altri, di Prodi, Gentiloni, Morando, Del Rio e Ruffini. Gli interventi vertevano sulla ripresa del dibattito e della progettualità nel Centro Sinistra e si collocavano, come è ben visibile, verso il Centro dello stesso.
Ero prudente perché sentivo una strana lontananza che normalmente, soprattutto con Prodi, non ho.
Mi chiedevo: non mi entusiasmo perché sento una non velata prossimità ad un “centrismo” (vissuto come destino) di cui avevo con felicità perso le tracce?
O invece mi da fastidio in una sinistra così amante di divisioni e distinguo l’aggiungersi di ulteriori voci?
O ancora cova nel mio animo la diffidenza per un concepire la politica in termini di “occupazione di spazi” e quindi di ricerca di un supposto e “magico” riferimento salvifico necessario per il raggiungimento della maggioranza in Parlamento appunto per il Centro Sinistra?
Ed infine non è che tutto ciò forse mi ricordava il passato in cui spesso queste occasioni erano solo un modo per “contare, contarsi e proporsi”?
La razionalità e la voglia costruttiva di incentivare pensiero e azioni mi distraeva da queste preoccupazioni.
È in ogni caso importante – mi dicevo – che si manifestino sensibilità e atteggiamenti politici e sociali dentro il Centro Sinistra.
Mi venivano in mente vecchi slogan che ricordavano la necessità di non avere silenzi nascosti, dubbi irrisolti ed idee negate
E quindi mi dicevo ” ok, stiamo a vedere”.
Alla lettura dei quotidiani qualche nuovo ragionamento e qualche pensiero si sono sostituiti (per fortuna) alle sensazioni e quindi cercherò brevemente di esprimerli.
C’è una frase molto bella che Ruffini ha detto a Milano: “non c’è bisogno di nuovi partiti, c’è bisogno di nuovi elettori”.
A me convince soprattutto la seconda parte: si, c’è bisogno che chi da più o meno tempo non va a votare torni ai seggi a manifestare il proprio pensiero. Ed allora però una domanda nasce spontanea.
Questo ritorno di fiamma per la “politica” esercitata nelle urne come si ottiene?
Chi la ottiene?
Chi la può chiedere?
E quali sono le questioni che vanno affrontate per permettere questo ritorno?
Ecco, qui nasceva probabilmente la mia sensazione di dubbio e per certi versi di lontananza da come tutto ciò veniva invece affrontato proprio in quelle sedi.
Una premessa.
Sull’ispirazione sociale di fondo che nasce dalle riflessioni del mondo cattolico-riformista vi è da parte mia piena condivisione ed assonanza. Mi riferisco all’invito che nella Conferenza episcopale è maturato ed è destinato ai cattolici per un nuovo impegno nella “società delle istituzioni e della politica”.
Quindi piena considerazione di questi importanti (e buoni) propositi.
Vi è però un punto che capisco poco.
Il dibattito che ho letto e sentito è frutto di una riflessione tutta “culturale”.
Una riflessione di cui giustamente sentono bisogno soprattutto i “riformisti” del Partito Democratico rimasti spesso spiazzati dalla politica più esplicitamente radicale della Schlein. Riformisti che erano stati a volte precedentemente protagonisti di altre e passate (anche qui “per fortuna”) epoche proprio nello stesso Pd.
Epoche che oggi si stanno con molta fatica cercando di superare. E che erano caratterizzate da due dati: la fortissima crisi di diffusione e presenza del partito nel Paese accompagnata da risultati elettorali deludenti da una parte. E dall’altra dall’amaro riconoscimento su un posizionamento del PD come partito dei ceti “medi”, che stavano bene, che erano protetti e potevano occuparsi di vicende non strutturali nel quotidiano (cioè un partito estraneo ai bisogni ed alle realtà dure della vita di ogni giorno).
Allora bisogna intendersi.
Se la gente non vota per disillusione, per rabbia, per estraneità e per lontananza da una politica letta come odiosa e nemica non sarà certo la visione di allargamento riformista o quella di apertura ad un protagonismo del Centro che cambierà ciò che sta accadendo.
In sostanza mi sembra che quella che leggo sia una positiva riflessione novecentesca e nulla più.
Perché positiva? Perché è vero che il dibattito nel PD è spesso asfittico e a volte inesistente e se qualcuno muove le acque ben venga.
Perché novecentesca?
Perché allora la società era diversa ed i partiti avevano ancora una dimensione riconoscibile e di massa.
Quindi niente di dannoso, certo, ma un segnale diverso va dato. Che le idee non possono non fare i conti con il pubblico cui si rivolgono o che vorrebbero incrociare. Ed in questo caso non è proprio così.
E che i mondi cui si rivolgono sono mediati dai sistemi di comunicazione.
Ed allora non si può non vedere quale grande problema sia divenuto proprio il cammino stesso delle idee.
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