1- INVASIONI
In un passo di Guerra e Pace si contesta la sagacia della ritirata a “marcia parallela”. Il Generale Kutuzov, comandante in capo delle truppe russe, l’aveva eseguita dopo la battaglia di Borodino, primo scontro con la Grande Armèe durante l’invasione napoleonica. Per la retorica zarista la mossa andava ascritta alla lungimiranza dello stratega. Invece Tolstoj la racconta come l’esito non immaginato di un coacervo di circostanze, imprevisti, casi.
Forse pensando al romanzo e al romanziere, Alessandro Barbero ha ricordato l’illusione scientifica della storiografia. A lungo gli studiosi l’hanno sognata come una scienza esatta, capace di legiferare nel suo ambito disciplinare al pari della logica, della fisica, della biologia. Ma le vicende storiche, ammonisce Barbero, sono governate generalmente dall’inopinato, dall’irriducibile, dal caos. Con qualche eccezione. Lui stesso è pronto a giurare almeno su una legge:
non bisogna invadere la Russia.
Parrebbe l’evidenza, se non altro per ragioni generali di geografia e società. Eppure in età moderna l’evento si è più volte ripetuto, nella regola di un ciclo, se si escludono le guerre minori. Con periodo secolare i paesi dell’Europa d’Occidente hanno mosso eserciti alla conquista di Mosca e del suo orizzonte sconfinato. Nei primi del Seicento ci ha provato la Polonia, che ancora oggi coltiva quel pensiero. Quasi cent’anni dopo, l‘onore e l’onere sono toccati agli Svedesi. La Francia e Bonaparte hanno giocato la partita all’alba del secolo XIX. E verso la metà del Novecento la Germania nazista ha replicato l’azzardo.
L’inerzia del ciclo è così forte che gli ha fatto valicare il confine del millennio. Dall’agosto scorso un calcolo di Vlodymyr Zelenskyj sta mettendo in scena, sebbene in sedicesimo, la quinta invasione della serie, quella del secolo XXI. E accanto al presidente condottiero hanno annuito fino a ieri, con paterno orgoglio, Biden e la Nato.
2- RESISTENZE
Fatti salvi la modesta esondazione dell’esercito ucraino nel Kursk e il futuro misterioso dell’iniziativa (tratterà Trump), l’esito delle invasioni pregresse è stato un disastro per gli autori (Ladislao IV di Polonia, Carlo XII di Svezia, Napoleone Bonaparte, Adolf Hitler). Viceversa ne sono usciti vittoriosi, seppure a caro prezzo, i campioni ufficiali della resistenza russa, nell’ordine: Michele di Russia (1613), Pietro il Grande (1709), Alessandro 1° Romanov (1812), Giuseppe Stalin (1945).
S
L’espressione “guerra patriottica” compare in un libro del 1839. La inventa l’autore, Alexander Micajlovskij Danilevskij, ma il committente è lo zar Alessandro. Le due parole celebrano la resistenza russa all’armata di Napoleone nello stile del populismo imperiale. Tuttavia non sono dispiaciute allo stato comunista. Nel XX secolo Stalin le ha riprese per lanciarle contro Hitler. Ha aggiunto l’aggettivo “grande” per adattarle alla misura delle perdite: 4.300.000 militari solo nell’Operazione Barbarossa (contro Napoleone ne erano morti 210.000).
Ottant’anni – il tempo trascorso dopo la fine (1944) dell’ultima invasione. – non bastano per dimenticare l’orrore e la paura. Tanto più in quanto i Russi sono certi che il mondo occidentale conserva il vizio perché nel frattempo la NATO non ha smesso di assediarli. Vivono un’ansia di fondo (lo sa bene e ne approfitta il loro capo), ma nessuno è interessato a rassicurarli. Al contrario i paesi dell’Ovest li scherniscono, parlano di sindrome dell’invasione. Crocioni Anteo, il contadino anarcoide ideato da Paolo Volponi, chioserebbe:
è facile per i persecutori accusare le loro vittime di soffrire una mania di persecuzione.
Una menzione speciale va riservata all’Italia. Per intero o con una sua frazione ha partecipato nei secoli a tutte le campagne epocali contro la Russia. Sempre dalla parte degli invasori. Invece i Russi non hanno mai immaginato l’invasione dell’Italia, tantomeno la conquista. Anzi, dopo la seconda guerra mondiale sono stati generosi: hanno evitato di rinfacciare agli italiani le nefandezze dell’ARMIR.
3- LA GRANDE BATTAGLIA
“Ogni sette secondi muore in Russia un soldato tedesco”. Lo speaker informa le armate hitleriane. Parla da Radio Mosca. Ripete l’annuncio con frequenza ossessiva, sullo sfondo del ticchettìo di un cronometro.
Comincia così il logoramento mediatico delle speranze degli invasori. È il giorno di Natale del 1942. Nella città intitolata a Stalin infuria tra le macerie e i morti il confronto epocale, la madre di tutte le battaglie, la “..lotta epica che non sarà mai superata” (Geoffrey Roberts). L’esito dello scontro è destinato a prefigurare quello di tutta la guerra. “Stalingrado è la fossa comune”, continua il messaggio. Vuole avvilire senza rimedio soldati tedeschi già sconcertati dalla guerra casa per casa, via per via. Uno di loro scrive nel diario: “…la strada non si misura più in metri ma in cadaveri”.
A Stalingrado è in gioco il mondo. Gli alleati non vogliono aprire un fronte occidentale, lo ha confermato Churchill In agosto. Il peso della guerra graverà sulla Unione Sovietica, invasa all’interno e premuta da nemici al contorno : la Finlandia, le repubbliche Baltiche, la Polonia, l’Ungheria e l’Ucraina sono schierate con Hitler. Ai primi di settembre Stalin ha deciso di affidare la città a un giovane generale, figlio di contadini. Lui, Vasilij Ivanovič Čujkov, si impegna solennemente:
Non possiamo lasciare Stalingrado al nemico… quanto a me giuro di non abbandonarla; noi terremo Stalingrado o ci moriremo.
E nella difesa disperata e vittoriosa mantiene la 62° Armata Rossa a ridosso degli avversari, quasi corpo a corpo. Ha studiato attentamente i modi del nemico e sa che la Wermacht fa precedere gli assalti da vasti bombardamenti aerei. Combattendo a contatto coi tedeschi Čujkov rende Impraticabili di fatto i raid della Luftwaffe, che fino a quel punto avevano fatto la differenza.
Per la grande battaglia molti storici lo giudicheranno il più capace tra i combattenti del secondo conflitto mondiale. Ma non c’è solo Stalingrado tra le sue imprese. Una vittoria dopo l’altra Čujkov prenderà parte infine alla conquista di Berlino, dopo aver liberato, al passaggio, anche Odessa e il Donbass.
4- DARE E NON AVERE
Levada è un’agenzia russa indipendente specializzata in analisi demografica. Con un sondaggio recente (2019) ha rilevato che i due terzi dei russi rimpiangono l’Unione Sovietica. E noi?
Dobbiamo all’Armata Rossa la salvezza dell’Europa e del suo tratto civile. Tra il 1941 e il 1945 l’URSS ha combattuto, vinto e pagato per tutti, con 25 milioni di morti (quasi la metà del totale). Tuttavia l’Occidente non serba gratitudine. Anzi, come i debitori disonesti, da allora cerca pretesti di litigio per non pagare. Sappiamo che il secondo fronte, invocato da Stalin nel ‘42 , è stato aperto nel giugno del ‘44 (sbarco in Normandia), quando i tedeschi erano già sconfitti e l’Armata Rossa si apprestava ad inseguirli a casa loro. Non ci sfugge il senso di quell’azione, mirata a limitare il successo dell’alleato vittorioso più che a rincarare il fallimento del nemico ormai battuto. Eppure ci siamo abituati a fingere che il merito della vittoria in Europa vada assegnato agli USA, viceversa vincitori della guerra nel Pacifico. Con perseveranza la macchina celebrativa ha rovesciato i ruoli e il senso degli eventi.
All’origine c’è il ribaltone di Harry Truman, presidente degli USA dal 12 aprile 1945. Lui ha stravolto il gioco in tre mosse:
Era alla Casa Bianca da cento giorni quando ha sparato le bombe atomiche sui giapponesi. Col pretesto di concludere la guerra, il 6 e il 9 agosto ha incenerito Hiroshima e Nagasaki. Ma Il Giappone era già vinto e lui lo sapeva (lo ammette nell’autobiografia). Il mese prima l’imperatore Hirohito aveva spedito a Mosca la resa incondizionata perché Stalin avviasse la mediazione con gli USA. Bloccare quel percorso è stato il vero obbiettivo delle bombe. Occorreva terrorizzare l’Unione Sovietica e impedirle di acquisire spazio politico in Asia.
Per quattro anni ha disposto del mondo dall’alto dell’unica potenza nucleare. Poi, poco prima che l’URSS si dotasse a sua volta dell’arma atomica, ha varato la NATO, il patto transatlantico con gli europei. Era il 4 aprile 1949. Di colpo l’alleato vincitore della guerra, l’Unione Sovietica, è diventato il nemico dell’Occidente. Mentre per la Germania, che aveva distrutto il mondo, veniva ucciso il vitello più grasso, come per il figliol prodigo.
Con l’invenzione del Patto Atlantico ha generato la guerra fredda tra USA e Urss, quella combattuta in corpore vili, volta a volta per interposta persona. Il primo teatro è stata la Corea, subito ripartita in zone d’influenza (1948), poi guerreggiata per tre anni (1950-1953; milioni di morti), infine divisa in due stati ostili.
5- НОСТАЛЬГИЯ (Nostalgia)
Dice Levada che il popolo russo ricorda con orgoglio la vittoria nella grande guerra patriottica. Immaginiamo che avrebbe piacere di condividere quel sentimento con gli alleati di allora. È anche possibile una vaga pulsione simmetrica: può darsi che in Occidente sopravviva la nostalgia di Gogol, Dostoevskij, Stravinskij, Tatlin, Eisenstein. Tuttavia non c’è dialogo. I due soggetti sono allotri l’un l’altro, parlano lingue intraducibili, nemmeno riescono a incrociare uno sguardo. La guerra fredda ha lasciato il segno.
Nel 1989 Michail Gorbačev, presidente dell’ultima Unione Sovietica, aveva pubblicato un libro-messaggio dal titolo eloquente e memorabile: La casa comune europea. Ma non c’è stato riscontro . O meglio, ha risposto la NATO.
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