Budrio, conosciuta per essere la patria dell’ocarina, lo strumento musicale a fiato di terracotta qui inventato nel 1853, medaglia d’argento al valor civile durante la Liberazione, è il luogo in cui da qualche mese vive Ahmed Shabat, un bambino palestinese di quattro anni. In questa cittadina alle porte di Bologna il piccolo, che ha subito l’amputazione di entrambe le gambe, sta ricevendo i trattamenti medici necessari a consentirgli di camminare nuovamente.
Ci fissa da una foto in cui è seduto e mostra le sue protesi. Sul suo viso è dipinta un’espressione di timida rassegnazione. Un’altra istantanea più recente, risalente a qualche settimana fa, lo ritrae in piedi mentre, con aria fiduciosa, impara a camminare sulle sue “nuove gambe”. E a vivere una vita lontano dalla sua terra, da un assedio che lo ha mutilato e ha annientato gran parte della sua famiglia, ma non gli ha strappato il sorriso.
Una rete per salvare i bambini
«Ahmed è orfano di entrambi i genitori ed è il piccolo grazie al quale è nato il nostro movimento». A parlare dalla Spagna è Alisa Kireeva, co-fondatrice di Gaza Kinder Relief, organizzazione composta da sole donne provenienti da tutto il mondo. Obiettivo della ong è rendere possibili le evacuazioni mediche di bambini gravemente feriti nel corso dei bombardamenti che hanno devastato la Striscia per 15 interminabili mesi o bisognosi di cure per gravi malattie che non è più possibile trattare negli ospedali locali, in gran parte distrutti, fornendo loro anche alloggi e mezzi di sostentamento nelle località di destinazione. Ma Gkr è anche impegnata a distribuire aiuti umanitari nei campi profughi della Striscia.
Dell’organizzazione fa parte, tra le altre, una donna italiana che vive alle porte di Milano, Stefania G., 40 anni, un lavoro nel mondo della comunicazione. All’indomani del 7 ottobre 2023, grazie alla conoscenza delle dinamiche proprie delle reti sociali, ha iniziato a scandagliare le varie piattaforme per capire cosa stesse realmente succedendo a Gaza, il teatro dell’assedio dove a nessun giornalista occidentale è stato permesso entrare se non accompagnato dall’esercito israeliano.
«Ricorderò per sempre il video di un bambino ancora vivo che lentamente moriva dissanguato senza più nessuno degli arti, sdraiato per terra mentre urlava con le sue ultime forze, con la pelle che si stava ingrigendo. È lui l’immagine rimastami conficcata nella pelle e nell’anima. Non capivo come nessuno intorno a me fosse sconvolto almeno quanto lo ero io e ho iniziato a trovare, sotto le foto di alcuni bambini massacrati, donne di diversi Paesi del mondo che cercavano di parlarsi, di fare rete, di adoperarsi», racconta a TPI. È stato proprio nel caso di un post che parlava di Ahmed che in tante si sono riunite e hanno iniziato a dar vita a una serie di attività in aiuto dei piccoli palestinesi feriti. «All’inizio eravamo 70-80 donne che cercavano di capire cosa fare e come, molte parlavano arabo e questo era essenziale. Si sono poi formati piccoli gruppi di volontarie».
È così che sono iniziate le complesse operazioni di evacuazione verso vari Paesi del mondo. In collaborazione con la realtà britannica Save a Child, Gkr, lo scorso aprile, dopo un lavoro di cinque settimane che ha visto il coinvolgimento dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) a Ramallah e del ministero della Salute egiziano, è riuscita nella difficile operazione di far arrivare nel nostro Paese un gruppo di otto bambini e bambine provenienti da Gaza, insieme alle loro famiglie e ad alcuni accompagnatori. La ong è stata la prima realtà a rendere possibile un’impresa di questo genere. Del gruppo arrivato in Italia fanno parte una bambina con igroma cistico, una malformazione del sistema linfatico che al momento non è accettata per le cure in nessun altro Paese , altre due affette da talassemia e cinque piccoli con gravi ferite da esplosione. Tra loro c’è anche Ahmed, il primo bambino a cui Gkr ha fornito assistenza.
Il lungo percorso
«La sua è una storia davvero tragica», racconta Alisa. Il piccolo viveva a Beit Hanoun, nel nord di Gaza, un’area che è stata bombardata da Israele l’8 ottobre 2023, immediatamente dopo gli attacchi di Hamas nelle prime ore del 7 ottobre. I suoi genitori sono stati entrambi uccisi dagli attacchi israeliani, insieme ad altri 15 membri della famiglia. Il corpo della madre non è mai stato recuperato da sotto le macerie. L’altro sopravvissuto è il fratello minore di Ahmed, che ha due anni e mezzo e, come riporta Alisa, si trova ancora in un campo profughi a sud di Gaza con i nonni.
Dopo essere rimasto orfano, Ahmed, che per lungo tempo ha continuato a chiedere dei suoi genitori, è stato affidato alle cure dello zio paterno Saleh e, insieme a quest’ultimo, si è spostato a Nuseirat. Quando le bombe israeliane hanno travolto il campo profughi, Ahmed ha perso anche lo zio, uno degli ultimi familiari adulti che aveva, ed è rimasto gravemente ferito, subendo l’amputazione di entrambi gli arti inferiori. A prendersi cura di lui, da allora, è Ibrahim Abu Amsha, il fratello di sua madre che ha raggiunto l’Italia insieme al nipote, lasciando moglie e figlia a Gaza.
Dopo alcuni mesi trascorsi a Trieste, i due si sono trasferiti a Budrio dove, lo scorso settembre, Ahmed ha iniziato a essere seguito dagli specialisti del Centro Protesi Inail – un ente d’eccellenza dal quale sono passate anche personalità di primo piano come Alex Zanardi e Bebe Vio – e dove, tra i suoi vicini di casa, negli alloggi trovati grazie al supporto di Gkr, c’è la famiglia di Kamal, un ragazzo di 15 anni «molto coraggioso», come lo descrive Alisa, che come Ahmed ha perso una gamba durante i bombardamenti.
Lo scorso ottobre il Centro Protesi è stato gravemente danneggiato dall’alluvione che ha colpito l’Emilia Romagna. Così, in quella che appare come l’ennesima calamità da sopportare per una vita così giovane, il piccolo è stato trasferito a Roma e, a distanza di qualche tempo, nuovamente a Budrio dove sta facendo, seppur lentamente, grandi progressi.
Non tutte le storie con cui le volontarie sono venute a contatto hanno avuto un lieto fine: Stefania ricorda quella di Luai, un bambino con il 50 per cento del corpo ustionato, morto dopo settimane di agonia e tentativi di evacuazione che lo avevano portato dapprima in Egitto e poi negli Emirati. O quella di Faiq – «resterà la mia ferita più grande», sostiene la donna – bambino “farfalla” affetto da una malattia rara, l’epidermolisi bollosa, che rende la pelle fragile come ali di farfalla appunto, morto di enormi sofferenze tra le braccia di sua nonna.
Per quanto questi epiloghi tragici abbiano segnato il team di Gkr, causando un profondo senso di tristezza e frustrazione, l’organizzazione continua ad aiutare indefessamente i bambini della Striscia. «Ci sono persone meravigliose all’interno dell’organizzazione che stanno faticosamente e con coraggio cercando il modo di aiutare i casi più gravi, collaborando con altre realtà presenti nella Striscia», prosegue Stefania.
Le chiediamo come si senta in queste ore in cui è scattato il tanto atteso cessate il fuoco. La sua risposta è intrisa di timore: «Siamo incredule e anche spaventate che non duri. Sento il peso delle migliaia di immagini di bambini massacrati che ci sono passate davanti e per le quali non siamo riuscite a fare nulla. Noi come nessun altro».
L’anno peggiore
Le vicende di Ahmed e degli altri si inscrivono in uno scenario globale estremamente preoccupante e gravido di conseguenze devastanti per i bambini in zone di guerra, come denunciato anche dall’Unicef. L’organizzazione ha definito il 2024 uno dei peggiori anni per i piccoli che vivono in aree di conflitto. Una di queste è naturalmente la Striscia in cui, dal 7 ottobre 2023, la situazione è diventata ancor più letale per migliaia di bambini e adolescenti, che rappresentano una parte significativa della popolazione totale di Gaza.
Secondo Save the Children, il numero totale di minori uccisi dai bombardamenti israeliani supera i 17mila. I bambini feriti a causa degli attacchi indiscriminati sui civili sarebbero oltre 12mila, quasi 70 al giorno. Alcuni esperti di sanità pubblica, come ha riportato il quotidiano britannico The Guardian, stimano prudentemente che, quando ci saranno i conteggi definitivi, le vittime dirette e indirette saranno almeno quattro volte più numerose di quanto riportato ufficialmente.
La psicanalista palestinese Lama Khouri ha scritto che la violenza usata da Israele specificatamente nei confronti di donne e bambini «è una tattica deliberata del progetto coloniale per garantire che non ci sia futuro per la nazione palestinese». Un disegno che non risparmia nemmeno bambini e adolescenti in Cisgiordania dove, dal 7 ottobre 2023 al 31 luglio 2024, come si legge in un report di Defense for Children International-Palestine, i soldati e i coloni israeliani hanno ucciso minorenni al ritmo di uno ogni due giorni.
Una sequenza di orrori che sembra non fermare la determinazione di Alisa, Stefania e di tutto il team di Gkr, nonostante il modesto aiuto ricevuto dallo Stato italiano. Come sottolinea la volontaria italiana, dopo l’arrivo dei piccoli palestinesi e delle loro famiglie, le autorità hanno delegato gran parte delle attività ai Comuni che, tuttavia, erano per lo più impreparati a gestire situazioni di questo genere. Molti dei rifugiati arrivati da Gaza sono qui da più di un anno con permessi di asilo politico e «non sanno come rivedere i propri familiari».
Una delle sfide più difficili per Gkr è proprio quella che riguarda i ricongiungimenti. Ma anche in questo caso è la storia di Ahmed a restituire un barlume di speranza. Parlando della sua famiglia, o meglio di quel che ne rimane, Alisa conclude: «Siamo ora in attesa del visto d’ingresso per la moglie di Ibrahim, per il loro bambino e, speriamo, per il fratello minore di Ahmed che quest’ultimo non vede dal novembre 2023. La nostra speranza è che arrivino presto in Italia e tutti possano finalmente ricongiungersi. Sarà un momento davvero speciale».