Si potrebbe raccontare (ed è stato fatto abbastanza diffusamente nell’aprile dello scorso anno, in questa sede) come fu difficile stabilire e predisporre un servizio di illuminazione pubblica della città di Venezia tra 1721 e il 1797 con “ferali”, punti luce via via crescenti, utilizzando l’olio di seconda scelta di Zante, con il risultato di avere una città poco illuminata con un impianto in balia del vento e della pioggia.
Si potrebbe raccontare quindi come fu difficile, nella Venezia settecentesca, tentare di far sì che l’introdotta illuminazione fosse effettivamente efficace a “divertire li furti” in quanto a poco servirono i “ferali” a rischiarare il teatro d’azione dei “malintenzionati che col favore delle tenebre” trovavano il destro ai loro “ladroneci”.
C’è da dire che nel Settecento, secolo devoto alla luce, vi sono altre città e altri luoghi in Europa nei quali si accesero i lumi nel buio della notte, tra questi Amsterdam, che inizialmente adoperava l’olio di balena, e Parigi come testimonia Carlo Goldoni.
Si tenterà ora di focalizzarsi sulla contemporaneità. Cosa è cambiato? Intanto l’introduzione della corrente elettrica (1927) ha utilizzato una materia prima per l’impianto molto più stabile ed efficace rispetto all’olio di Zante.
L’illuminazione della città odierna non è però uniforme. I lampioni del servizio pubblico che si accendono e si spengono tramite un sistema di fotocellule, illuminano molto bene un’area circoscritta che non copre tutto lo spazio tra un lampione e l’altro, lasciando pressoché al buio la zona intermedia. Tanto che vi sono alcuni abitanti che recano con sé una torcia o più modernamente la luce dello smartphone per potere accedere alle proprie abitazioni completamente al buio.
Ecco che spuntano spesso illuminazioni a tempo molto intense, installate da privati per motivi di sicurezza per eliminare i “latroneci”, o anche per ovviare ai difetti dell’impianto di illuminazione pubblica, e che rende massimamente disomogeneo l’assetto delle fonti luminose nella notte.
Né mancano vetrine che sfondano il buio con il loro fulgore, illuminando alcune aree del centro della città storica come Calle Larga XXII Marzo.
Altro esempio gli impianti di illuminazione dell’area marciana suggestive, ma forse prive di una adeguata progettazione, in quanto si discute quale tipo di resa deve avere la luce a Venezia. Secondo alcuni la luce che si addice alla città storica è una luce calda e non fredda come invece si è scelto per i monumenti dell’area e del bacino marciani, o per la Scuola Grande di San Rocco. Tutte soluzioni suggestive ma un po’ ingombranti.
Forse è solo questione di gusti, ma la modernità presenta problemi simili alla storia passata. Quello che forse è cambiato è vivere Venezia in modo che se ne conservi una facies rispettosa del suo passato dove non c’era luce elettrica, ma la luce dorata del fuoco dei doppieri.
In realtà forse servirebbe un intervento all’impianto di illuminazione pubblica per rendere omogeneo l’apporto di luce e l’utilizzo di fanali rispettosi del tentativo di cancellare l’inquinamento luminoso intrapreso dalla Regione Veneto con la legge n.17, 7 agosto 2009.
Questi sono solo spunti. Ci sarebbe da scriverne un libro, ma qui si fa il tentativo di sensibilizzare il lettore sulla difficoltà di gestire l’illuminazione in tempo di notte, preservando la bellezza della città storica nonché di aprire un dibattito con i lettori di Ytali., e magari, se l’argomento interessa, fare una assemblea pubblica.
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