Carlo Maratti, grande pittore, una celebrità ai suoi tempi, conteso da Papi e sovrani. Oggi solo un nome, se non per gli specialisti, il suo quattrocentesimo compleanno è dunque l’occasione per presentarlo al grande pubblico. Simonetta Prosperi Valenti, storica d’arte, docente universitaria, esperta di disegni dei secoli XVI-XVIII, è co-autrice, insieme a Stella Rudolph, del corposo volume Carlo Maratti(1625 – 1713) – Tra la magnificenza del Barocco e il sogno dell’Arcadia – Dipinti e disegni, appena pubblicato da Ugo Bozzi editore, ed è anche curatrice delle manifestazioni dedicate all’artista. Dunque a lei domandiamo la chiave per entrare nell’universo Maratti.
Una notte magica quella del 7 ottobre 2024 quando a Roma, a Palazzo Altieri sede ora del l’ABI, sono iniziate le celebrazioni per Carlo Maratti, il pittore più celebre del secondo Seicento, sia in Italia che in Europa. La festa era nel grande salone, lui ne aveva affrescato il soffitto con una sfolgorante Allegoria della Clemenza chiaro omaggio a Clemente X Altieri (1670-1676) [immagine di copertina] nella complessa iconografia celebrativa del pontefice giurista; a completarla aveva anche preparato i disegni per le vele, gli spicchi della volta con ulteriori allegorie delle virtù del papa, ma gli mancò il tempo o la possibilità di dipingerli a causa della morte improvvisa di Clemente X.
Ed ecco un buio, e poi riaccendersi le luci e comparire finalmente i disegni proiettati in quelle vele vuote da secoli, quelli spazi per i quali erano stati progettati. “È del poeta il fin la meraviglia” scriveva Marino, uno scopo raggiunto in pieno stavolta. E per far entrare uno spettatore di oggi in questo mondo, lei da dove ci consiglia di cominciare, un quadro o un disegno?
Credo che convenga partire dal disegno, mezzo tecnico al quale l’artista affida la sua idea, il primo pensiero. E Maratti fu un grande disegnatore, padrone di tutte le tecniche, che si è impegnato molto nel progettare le “peregrine invenzioni” secondo la felice definizione del suo biografo Giovan Pietro Bellori, che gli aveva suggerito le iconografie colte da tradurre in affresco nei pennacchi della volta di palazzo Altieri.
Carlo Maratti è stato il lavoro di una vita per Stella Rudolph, storica d’arte di prima grandezza, che si era dedicata soprattutto al Maratti pittore, raccogliendo una enorme quantità di materiale. Il progetto era pubblicare un libro a quattro mani con Simonetta Prosperi Valenti, che si sarebbe occupata esclusivamente dei disegni dell’artista. Mancando però la Rudolph prematuramente, lei ha dovuto occuparsi di tutto, dipinti e disegni. Il risultato è questo libro, irripetibile e colossale, che ogni biblioteca vorrà avere.
Non è facile raccontare la storia di questo libro, progettato da Stella Rudolph sin dagli anni Ottanta del Novecento, ma che per la vastità dell’operato di Maratti la studiosa non è riuscita a portare a termine, spegnendosi nel 2020. Stella aveva dedicato più di quarant’anni al ‘suo Maratti’ pubblicando sin dal 1977 articoli fondamentali per la riscoperta di questo grande artista, rimasto nell’ombra per la critica negativa fatta su di lui nei secoli XIX e XX. Triste destino per un artista che in vita era stato osannato come “il Raffaello del suo tempo”, insignito dell’onore di Cavaliere di Cristo in Campidoglio (1704), eletto principe dell’Accademia di San Luca a vita dal 1699 alla sua fine per poi cadere così in disgrazia dopo la sua morte.
Quando la Rudolph è spirata, gli eredi hanno voluto onorare l’impegno che la studiosa aveva preso con l’editore Bozzi ed hanno donato tutto il materiale – schede, foto, appunti, libri e tutto ciò che costituisce il bagaglio per uno studioso – da lei messo da parte per la monografia su Maratti.
È allora che sono entrata in causa io, che ero già stata coinvolta nel progetto ‘Monografia su Maratti’ per la parte dei disegni, parte da me già affrontata dal 2014 e già ampiamente conclusa. Così ho messo le mani nelle sette casse di appunti, pizzini, expertises, pacchi di foto, cataloghi di mostre e di aste, insomma tutto il materiale di Stella ammassato nella sua bella casa fiorentina di via San Niccolò. Ma non dico quale è stato il mio sconcerto di trovare tutto in un grande disordine: era lo specchio di questa grande studiosa, tanto confusionaria nell’ammassare carte quanto lucida e diligente nello scrivere e nell’esporre le sue teorie. Le sue carte mostravano chiaramente la personalità della Rudolph, anglosassone brillante, forse un po’ pazza?, che aveva scelto l’Italia come sua patria elettiva, vivendo a Firenze, e che affidava i risultati delle sue ricerche a un perfetto idioma italiano personalissimo, forse un po’ arcaizzante perché appreso dalle fonti antiche, ma sempre scelto e coltissimo. Con estrema pazienza e rigore, certa di interpretare il suo pensiero, impegno che ho sempre tentato di mantenere per tutto lo svolgimento dei due volumi della monografia, ho iniziato a mettere le mani su questo immenso materiale, e non nascondo alcuni momenti di smarrimento, perché il lavoro è stato tanto.
Stella aveva redatto solo 113 schede in italiano, che ho aggiornato nella bibliografia, ed il restante catalogo di opere – siamo arrivati a 251 dipinti, per un totale di 1200 pagine in due volumi! – era affidato solo ad una lista in inglese assai remota, credo risalente agli anni Ottanta del secolo scorso. Così io ho organizzato e concluso questo ampissimo catalogo, prendendo sempre spunto dai suoi appunti, e dai numerosi expertises da lei scritti ad antiquari, collezionisti e case d’asta. Al catalogo dei dipinti ho aggiunto poi quello dei disegni, che avevo già scritto, al quale l’editore Bozzi ha fatto ampio spazio: devo dire che questa è risultata, a detta di tutti, la parte più nuova e inimmaginabile dell’attività dell’artista, che è stato un disegnatore di qualità eccezionale, che ha usato tutte le tecniche del disegno, ogni tipologia – schizzi, modelli, studi di particolari anatomici e panneggi etc. – con una raffinatezza che pochi altri artisti seicenteschi, prima e dopo di lui, hanno raggiunto.
Il risultato sono i due volumi di più di 1200 pagine, 280 illustrazioni a colori dei dipinti, quasi seicento di disegni, tutte a colori, che rendono finalmente giustizia a questo grande artista, considerato già dagli inglesi a fine Settecento “l’ultimo dei romani” (fu Reynolds a definirlo così) cioè il grande epigono della scuola romana del tardo barocco.
Maratti uomo com’era? È vero che una delle sue mogli provò a mettergli il veleno nei maccheroni? O era solo una pessima cuoca?
Maratti era un uomo che ebbe una vita sentimentale un po’ travagliata. Dopo un primo matrimonio infelice con Caterina Pace di Ancona, in quanto la perse solo due anni dopo averla sposata nel 1653, egli si fece convincere a concludere nel 1658 un matrimonio combinato con Francesca Trulli, imparentata con il medico Trulli già archiatra di Urbano VIII, forse lusingato dall’illusione di salire nella scala sociale stringendo un legame ritenuto vantaggioso in tal senso. Ma le sue aspettative furono amaramente deluse, perché il matrimonio si rivelò subito un fallimento, tanto da essere annullato già nel 1661, caso assai raro nella Roma cattolica del XVII secolo. La loro convivenza infatti si rivelò da subito impossibile: l’artista, che non divideva il letto con la moglie ma dormiva in uno stanzone al primo piano, era arrivato addirittura a temere di essere avvelenato da lei, rifiutandosi di mangiare i ‘maccaroni’ da lui tanto amati che ella gli preparava, secondo l’attendibile testimonianza della domestica di casa.
Finalmente intorno all’ottavo decennio del secolo Maratti incontrò la donna della sua vita, Francesca di Bartolomeo Gommi (1660-1712), probabilmente la sua modella in quegli anni, che nel 1679 lo rese padre della sua unica figlia. Francesca era un tipico esempio di bellezza romana, con lei intrattenne una lunga relazione extra-coniugale, assai criticata al tempo, riuscì a sposarla solo a seguito della morte della prima moglie nell’anno 1700. La loro unione fu assai felice: inoltre la Gommi si rivelò ben presto esperta manager e curatrice delle collezioni del marito, in quanto svolgeva attività di mercante di opere d’arte, ruolo che non si addiceva alla rispettabilità dell’artista, che si era creato l’immagine di uomo integerrimo, ultimo protagonista del classicismo legato al teorico Bellori e soprattutto non invischiato nel mercato.
Carlo Maratti, Autoritratti
La vera donna della sua vita non fu però nessuna delle sue mogli, ma l’adorata figlia Faustina.
Sì, infatti egli al ritrasse in disegni caratterizzati da grande tenerezza e profondità, sin da piccolissima, appena nata con una cuffietta, poi più grande mentre gioca con una colomba, ed ancora adolescente ed infine in un foglio oggi conservato a Windsor Castle nella Royal Library di grande intensità rappresentativa, vestita con l’abito delle contadine dei Castelli romani. Da questi studi traspare non solo il grande affetto che legava il padre alla figlia, che fece educare dai migliori insegnanti del tempo tanto da divenire poi una delle più affermate poetesse d’Arcadia, ma anche la bellezza della fanciulla. Negli ultimi anni della sua vita però, Faustina fu causa di un grande dolore per il padre, artista ormai affermato ed al sommo della notorietà. Nell’anno 1703 infatti fu vittima di un tentato rapimento da parte di Giangiorgio Sforza Cesarini, un rampollo della nobile famiglia romana perdutamente innamorato di lei ma forse respinto o comunque impossibilitato a legarsi in matrimonio con una donna di posizione sociale inferiore. Solo la pronta reazione di Faustina evitò il peggio, peraltro fu sfregiata su una guancia, ma il fatto, che ebbe a Roma profonde ripercussioni anche successive, segnò profondamente il vecchio artista.
La più grande qualità di Maratti, la più originale. Ma anche quello che gli rimproverano – oggi e ieri – i suoi detrattori.
Maratti fu assai noto al tempo per la tenerezza delle sue immagini sacre, in particolare le sue Madonne con il Bambino che gli meritarono l’appellativo di “Carluccio delle Madonne”. I suoi detrattori – gli rimproveravano di essere un pittore “dolciastro”; ma non tanto i contemporanei, che riconobbero sempre la qualità della sua pittura, quanto la critica successiva del XIX e XX secolo, che stentò a riconoscere la bellezza dell’arte del XVII secolo, coinvolgendo in questo giudizio negativo del Seicento (espresso da Benedetto Croce solo per la letteratura) artisti del calibro di Caravaggio – scoperto da Roberto Longhi solo negli anni Cinquanta del secolo scorso – Bernini – riportato nella giusta luce da Irving Lavin nello stesso periodo, e Borromini, del tutto incompreso sino agli studi di Paolo Portoghesi e Bősel.
In questi giorni Palazzo Barberini a Roma gli dedica una sala. Quali altre iniziative sono previste per il 2025?
In occasione dell’uscita della monografia il direttore delle Gallerie Barberini / Corsini di Roma, Thomas Salomon, ha voluto dedicare a Maratti una mostra piccola, ma raffinatissima, per mettere in luce uno degli aspetti meno noti del pittore: il ritratto. Noto per aver dipinto grandi pale in tutte le chiese barocche di Roma – non c’è chiesa del Seicento romano che non sia arricchita da una pala dipinta da Maratti, dalla Chiesa Nuova, al Gesù, a Ss. Ambrogio e Carlo al Corso, a Santa Maria del Popolo e in Montesanto, sino a Sant’Andrea al Quirinale – fu un grande ritrattista, richiesto da papi, cardinali, gentiluomini e gentildonne, sino a personaggi del demi-monde dell’epoca, da avvocati a magistrati e altro, insieme ai molti ‘milordi’ inglesi giunti a Roma per il grand tour di acculturazione prima di tornare nella loro patria. In questo genere, Maratti fissò il canone del ritratto del gentiluomo inglese, e non solo, che cinquant’anni dopo Pompeo Batoni portò al massimo della sua affermazione.
L’anno 2025 segna il IV centenario della nascita di Carlo Maratti, e io spero che la Regione Marche vorrà celebrare il suo più grande pittore – dopo Raffaello – vera gloria del territorio, sponsorizzando una bella mostra che offra al pubblico una panoramica dell’alto livello qualitativo del suo artista. Ma per ora non possiamo dire nulla, se non che nel 2025 Camerano, fiorente cittadina nei pressi di Ancona e patria natale di Maratti, seguita forse da Ascoli Piceno, organizzerà una mostra di incisioni del pittore, con esemplari conservati nelle raccolte della regione, a cominciare dalla stessa Camerano, poi la Pinacoteca di Ascoli e la Biblioteca Comunale di Fermo.
Un’indiscrezione, per finire: preferisce Maratti pittore o disegnatore?
Che domanda!! Maratti fu un disegnatore sublime, come dimostra la monografia anche solo sfogliando le più di seicento illustrazioni dedicate ai disegni – tutte a colori – dedicate a questa particolare tipologia evidente anche agli occhi dei meno esperti, nella quale lui eccelleva. Non è davvero per sminuire la sua attività pittorica, ma come è successo a molti artisti famosi, a cominciare da Raffaello, nella loro attività più tarda, oberati da commissioni che non riuscivano a portare a termine, hanno delegato la parte pittorica ai numerosi allievi che popolavano la loro bottega. Ma hanno sempre eseguito i modelli preparatori, senza mai delegare ai collaboratori l’invenzione, cioè la parte creativa delle opere che uscivano dalla loro bottega. E gli allievi che eseguivano i dipinti più tardi, dovevano necessariamente attenersi, con grande scrupolo, al modello loro fornito dal maetsro, vero manager delle imprese.
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