Quella di Luca del Fico non è un arte che si limita a raccontare la realtà per quella che è, né a filtrarla esclusivamente attraverso uno stato d’animo o una sensazione. La collocazione delle sue opere, in mostra fino al 31 gennaio presso la Fondazione Marco Besso a Roma, non è legata a meri criteri di allestimento, di spazio o di luce ma sono inserite in un vero e proprio percorso che l’autore ha scelto minuziosamente, composto da otto opere selezionate da vedere in un ordine preciso, seguendo un itinerario che forma proprio il numero otto, lo stesso delle opere esposte ma che, come sappiamo, se rovesciato rappresenta l’infinito.
Ma prima, un passo indietro: chi è Luca del Fico? Parliamo di un artista quasi esordiente (“Sbirciate” è la sua seconda mostra in pochi mesi) che firma le sue opere con questo pseudonimo. Non rimane nascosto come Banksy, ed è anzi ben disponibile a parlare col pubblico durante le mostre, ma la sua biografia non compare in alcun pannello espositivo né nel catalogo: una scelta che non vuole creare mistero ma lascia che siano le sole opere a parlare dell’autore.
Veniamo quindi alle opere, agli otto dipinti esposti. Cosa hanno in comune tra loro? Nessuna di esse si vuole limitare a ciò che è raffigurato, ma scrutarle e cercare di capirle – cosa che può adeguarsi all’opera di qualsiasi artista – non basta. In molti casi è necessario qualcosa in più, avvicinarsi su un determinato dettaglio, qualcosa che ci si aspetta più in un’installazione che dal più tradizionale dei supporti artistici come la pittura. Bisogna, appunto, sbirciare, che non significa solo guardare in modo furtivo, ma scrutare cercando qualcosa, e non a caso è “sbirciate” il titolo della mostra. Se questa interattività è quasi passiva in “L’essenziale è invisibile agli occhi”, la prima tela del percorso, da cui si affaccia un occhio che rende lo spettatore osservatore ma anche idealmente osservato al tempo stesso, il ruolo si fa più attivo nella terza, “Togliti dal mio sole!”, in cui la botte di Diogene di Sinope, che pronunciò la storica frase ad Alessandro Magno, è adeguata ai tempi di oggi con tanto di lampadina e pannello solare ma in cui l’ombra in questione non è quella del condottiero macedone, ma la nostra, che proiettata sulla tela può alterarne la percezione.
Il massimo dell’interattività, però, lo vediamo in “Introspettiva”, apparentemente una tela nera ma che cela alle sue spalle una riproduzione di Cristo nella tempesta sul mare di Galilea, opera di Rembrandt trafugata nel 1990 e andata perduta, qui visibile solo avvicinandosi alla tela e mettendo l’occhio nel foro della placca di ottone al centro della tela.
La mostra ha aperto i battenti il 15 gennaio quando è stata presentata da Duccio Trombadori presso la Fondazione Marco Besso di Roma. Originariamente prevista fino al 24, è stata prorogata fino al 31 gennaio.