Per i funerali di chi ben avrebbe potuto salvaguardare e promuovere la grandezza della città come già fu fatto da colui che nell’ anteguerra fu definito l’ultimo doge, pare non ci fossero oltre i congiunti che pochi amici e sodali senza labari né ufficialità patente esibita.
Egli si era forse già spento nel comune ricordo.
Fu di una superiore intelligenza, coniugata a dei modi affabili e rispettosi. Avrebbe ben potuto menar vanto del suo vigore intellettuale e invece fu quasi sempre modesto e servizievole.
Era fisicamente sano e massiccio.
Si diceva che quando si recava a Roma per gestire fin da giovane la politica del Partito Socialista Italiano senza orpelli né vaneggiamento di attributi potesse dormire in piedi nel treno come un cavallo di razza per poi giunto nella capitale buttarsi a capofitto nella tenzone partitica.
Quando fu politico e ministro di questo Stato non smise mai di sovrintendere alla sua cattedra e ritornato anche per poco coi suoi studenti era sempre in grado d’indicare loro fisicamente per armadi e scaffali quei testi che avrebbero dovuto consultare per la laurea.
Fu sempre generoso del suo tempo e vicino a tutti quelli che godevano veramente della sua amicizia e dei suoi favori.
Non fu trattato bene come quegli altri compagni che il sempre e tuttora vincente Guelfismo di Stato riuscì a esiliare, dimettere, se non ad ammanettare e imprigionare.
Egli non subì veramente la gogna perché già dapprima si era da solo esposto allo scherzo come può farlo soltanto chi si ammanta di una superiore e indiscussa intelligenza e cultura scientifica e letteraria.
Aveva i capelli lunghi e amava le discoteche e non era certo un curato ipocrita dall’aspetto oratoriale.
Era superiore come lo fu quel doge le cui spoglie si trovano nella Chiesa dei Frari. Ma costui fatto Conte ebbe miglior fortuna perché imperversò durante un regime che fu quantomeno forma, modello e cultura prima di essere abbattuto dalla superiorità fisica dell’avversario.
La superiorità in una democrazia che si vuole ipocritamente egualitaria non porta bene. Rende assai di più l’infingardaggine e quel tempo che sottratto alla cultura diventa capacità politica di basso conio.
Siccome egli fu superiore non poté realizzare quel che benissimo intese e che avrebbe potuto spingere in avanti quella città che non gli si dimostrò certo grata nemmeno nelle esequie.
Egli vide invece più di altri che il destino di una Venezia un tempo grandiosa non poteva che compiersi in un trascendente progresso che mirasse all’oltre e non alla conservazione museale. Pensò in termini progettuali a un reticolo metropolitano immerso e di superficie che rendesse un tutt’uno la pars storica e quella terrafermiera da Mestre Marghera fino alla terraferma confinaria come Jesolo e Chioggia. Si sarebbe realizzata fisicamente una vera e propria metropoli dai confini estesissimi, una super Venezia comprensiva di tutto il suo “hinterland” , delle provincie limitrofe incentivata di storia, bellezze, industria e sapere. Questa super città non avrebbe certo gestito e nemmeno consentito un universo di turisti accattoni insieme a una miserabile manovalanza di ruffiani e mezze tacche di pubblicisti.
Come suo fratello stava in una trincea di autentico sapere, una nobilissima casa editrice, si espose politicamente e fu alla fine sconfitto e non sarà certo il solo né l’ultimo ad essere vittima della mediocrità, che si vuole caritatevole e universale senza nessuna potenza di fede.
Se avessi saputo mi sarei recato a quelle esequie per essere per rapporto a me stesso e come amico ancor più vero, da militante un tempo nello stesso Partito, insieme ai quei pochi che mai come ora appartengono a quell’intelligenza che si vuole superiore insieme alla supremazia degli studi e del sapere.
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