L’immagine che più mi piace raccontare di lui all’inizio di questa intervista è quella di una giornata parigina stranamente uggiosa. Era forse il primo o secondo turno di Nicolai-Cottafava alle Olimpiadi e la televisione ha inquadrato Simone Di Tommaso, regalandoci l’immagine di lui che ricordo anche da giocatore. Magnetico, senza quelle smanie da tecnico o giocatore fatte di esultanze esagerate e di richiami fatti più per attirare attenzione su di sé che sulla squadra. Amo la cultura del passo indietro, o come direbbero quelli più giovani del sottoscritto dell’ “anche meno”, che descrivono perfettamente ciò che Simone è stato in questi tre lunghissimi anni come tecnico della nazionale di beach volley.
Di Tommaso è stato l’immagine del suo stesso team, il terzo componente perfetto che è andato ad affiancarsi al cospetto del giocatore più forte di sempre, Paolo, e di Samuele, che è candidato certamente a diventarlo. A cosa è destinato Simone lo chiedo invece per tutta l’intervista, un po’ perché vorrei appiccicargli addosso le mie solite etichette di uomo scaltro ricercatore di destini, un po’ perché l’amicizia che provo per lui mi porta a sognare di vederlo un giorno tornare alle giornate olimpiche uggiose, sotto un’altra veste. È giovanissimo, in un mondo di gente che sembra già vecchia al primo incarico, e a Pineto è riuscito, una volta passato dalla nazionale di beach al volley allenato, a dare una nuova impronta alla squadra che adesso risulta tra le più tignose della Serie A2.
“Io più che dare un’impronta, ho cominciato sin dai primi giorni a lavorare sul loro potenziale, che vedevo ogni giorno, sapendo che si poteva soltanto crescere. Per alcuni è il primo anno a Pineto, per me è il primo anno da allenatore indoor, ed è naturale che ci sia stata la fase di studio e quella in cui abbiamo scelto insieme di metterci a regime”.
Però è innegabile che lei abbia dato lo stile Ditommasiano al gruppo. Me lo provi a spiegare lei cosa significano le mie parole.
“Lei forse si riferisce alla mia ricercata attenzione per il lavoro quotidiano. Ho grande rispetto per il lavoro di tutti e voglio che si respiri quest’aria anche nel gruppo. Abbiamo un bello spogliatoio, affiatato e ho la fortuna di lavorare con un ottimo staff. Significa semplicemente porre le basi per andare a coltivare i risultati, per lavorare sul potenziale tecnico e per ricercare quel gusto di giocare che ho sempre cercato di avere anche io come giocatore. È una squadra che sa trovare le soluzioni, che riesce ad affrontare delle situazioni difficili e a venirne fuori al meglio. Questo mi piace molto”.
Foto Lega Pallavolo Maschile
Debbo esprimere un giudizio: con lei Paolo Di Silvestre gioca un’altra pallavolo.
“Lo conosco da quando era un ragazzino. Non ho mai nascosto l’emozione e la volontà di volerlo come atleta e come capitano nel gruppo che avrei allenato. Paolo è un giocatore perfettamente rappresentativo della categoria a cui appartiene e averlo è stato importante. Sta facendo bene e io sono molto felice di lui e per lui. In generale le parlerei di ogni mio atleta perché è un gruppo di ragazzi molto in gamba”.
Pineto è passata dal lottare per la salvezza a pensare a qualcosa di più.
“Non le nascondo che per me arrivare ai playoff è un bel banco di prova e soprattutto trovo che provare a lottare nella seconda parte di campionato sia una bella idea. Non sarà un obiettivo questo, bensì un’ambizione. Quando Pineto la scorsa primavera mi ha cercato, ho pensato che fosse un’occasione irripetibile e che avrei cercato di fare il massimo possibile per questa compagine e per questa società”.
Che effetto le fa tornare dove ha giocato i suoi anni migliori? Penso a Ravenna, Siena, Aversa.
“Mi emoziona sempre perché capita di ritrovare le persone con cui ho fatto una parte del mio percorso in questo mondo. Capita di ritrovare allenatori come Battocchio o Graziosi, con cui negli anni da giocatore ho avuto modo di costruire un bel rapporto”.
Quarantadue anni, una pagina di vita chiusa, una da costruire. Possiamo dire che Di Tommaso è un allenatore ambizioso?
“Sono giovane e voglio ambire ad arrivare al massimo”.
Mettiamo le parole giuste. Sogna la Superlega?
“Assolutamente sì, così come piacerebbe rientrare in un discorso legato alla nazionale azzurra”.
Posso dirle che ha lasciato la nazionale nel momento migliore e ha cominciato la strada in indoor nel momento più propizio?
“Si è semplicemente chiuso un ciclo. Sono stati tre anni fantastici, fatti di persone come Paolo, Samuele e tutto lo staff con cui ho lavorato, che umanamente hanno creato qualcosa di unico”.
Foto Federazione Italiana Pallavolo
È raro trovare un incastro di anime, di caratteri e di personalità così. Soprattutto in contesti non semplici da gestire.
“Concordo. Ho allenato un team forte, dove ognuno di noi tre è stato indispensabile per l’altro. Per me Paolo è stato fondamentale, così come per Paolo, Samuele ha rappresentato una ventata di novità di cui aveva bisogno. La stessa cosa è stata per Cottafava, che aveva bisogno di trovare Paolo in questa avventura e per i ragazzi, che avevano necessità di idee nuove come quelle che ho proposto in questi anni”.
La più grande soddisfazione?
“Giocare l’Olimpiade in Europa e aver battuto i campioni olimpici”.
Il rimpianto?
“Aver mancato la medaglia, forse perché è mancato il riconoscimento che faceva rumore dopo essere stati per tre anni costantemente tra le migliori otto coppie del mondo e aver giocato ogni torneo Elite senza richiedere mai una wild card”.
Non le chiedo previsioni sul futuro del beach. Mi dica almeno cosa immagina di vedere?
“A livello femminile c’è sicuramente una Gottardi che appare una predestinata. Potrà fare grandi cose. A livello maschile, sono molto curioso di vedere Gianluca Dal Corso”.
Di Roberto Zucca
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