Sono Giordani Luigi, un vecchio compagno socialista, iscritto al partito dal 1950, ho settantacinque anni di tessera. Una grande sofferenza, un grande orgoglio, una grande passione e ancora una grande prospettiva per quanto riguarda l’idea socialista.
Parla con instancabile entusiasmo e con profondo fervore civile il decano della politica veneziana. Senza che i suoi ottantanove anni compiuti possano in qualche modo appannarne curiosità, lucidità e memoria. Cittadino della Giudecca, da decenni è l’anima della sua isola, alla quale ha dedicato e continua a dedicare la sua vita.
In primo luogo come uomo di partito, il PSI, presente dall’immediato dopo guerra in isola con una sua sede diventata un punto di riferimento, intestata a Riccardo Lombardi. Poi come animatore del Circolo Gianni Nardi, che, con mostre e dibattiti, si è saputo ricavare uno spazio indiscusso e di tutto rispetto nella vita culturale veneziana.
Come sei arrivato a diventare socialista?
Da ragazzo conoscevo dei compagni anziani che mi hanno insegnato i primi passi della libertà democratica in un’isola rossa come la Giudecca. All’età di quattordici anni, ho cominciato ad affiggere i manifesti. Da allora mi sono appassionato al partito e sono stato delegato dal 1952 a Firenze con Rodolfo Morandi, con Lelio Basso, con i grandi, gloriosi compagni della sinistra di allora. Mi sono sempre collocato nella sinistra nazionale, vicino a Morandi che possedeva una grande capacità organizzativa. Quando Morandi è stato leggermente messo da parte, ed è emersa la figura di Riccardo Lombardi, un grande uomo politico di cultura elevata, ex prefetto di Milano, con lui abbiamo cominciato a mettere assieme un pacchetto di idee e di proposte. Sua spalla era allora Claudio Signorile, che è diventato mio amico personale, e con il quale ci sentiamo tutti i giorni per discutere la strategia politica del partito.
All’inizio degli anni Sessanta, è arrivato Gianni de Michelis, scoperto da me e da altri due compagni, uno dei quali era Renato Nardi. Gianni giocava al biliardo nell’allora sede del Partito liberale in Campo Manin. Gli abbiamo dato dei volantini socialisti che l’hanno interessato, tento è vero che, dopo averli letti, ci ha chiesto dove poteva trovarci e ci siamo scambiati i numeri di telefono. E dopo parecchio tempo Gianni si è iscritto al partito nella nostra sede di San Barnaba, dove attualmente c’è la sezione del PD. Ha cominciato a portare con lui altri studenti universitari, in modo tale che si è creato un gruppo molto preparato sul piano culturale e anche di estrazione sociale benestante, per dire la verità. Lui ci seguiva dappertutto, voleva venire la mattina alle sei a fare volantinaggio a Marghera, voleva capire l’orientamento degli operai, cosa dicevano, le loro esperienze. Dopo un paio di anni, ha voluto candidarsi in consiglio comunale ed è stato eletto. Ha saputo scavalcare tutti i nostri capi, perché allora noi della sinistra eravamo minoranza nel partito a livello locale, dove predominavano i demartiniani e gli autonomisti.
Come erano i rapporti con il PCI nella tua Giudecca rossa?
Terribili, e neppure adesso sono molto buoni con gli eredi di quel partito. Con i comunisti allora era tutto un battibecco. Erano forti numericamente, però noi avevamo la testa, volevamo i piani particolareggiati che ho fatto io quando ero presidente del quartiere negli anni Settanta. Gianni mi voleva solo a Venezia, guardiano del Comune perché il territorio è molto importante. In tal modo, sono stato dodici anni a Veritas, vent’anni consigliere comunale, dodici in ACTV, sono stato in Vela e in Alilaguna. Quando sono stato eletto per la prima volta, alla Giudecca abbiamo ottenuto il 25 per cento, mentre in città avevamo il 18/19 per cento.
Eravate un grosso partito.
Negli anni Novanta avevamo undici consiglieri con Gianni vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri. Avevamo cinque assessori ed io ero capogruppo. Poi sono stato segretario comunale per vent’anni, quindi segretario metropolitano fino all’anno scorso. Ora sono nella segreteria nazionale del partito. Quest’anno ricorre il venticinquennale della morte di Bettino Craxi, del quale cerchiamo di recuperare l’immagine di dirigente politico efficiente ed efficace. Speriamo che il Paese e la classe politica nazionale riescano a capire che dopo tutto questo tempo la figura di Bettino possa essere valutata, non solo per gli sbagli enormi commessi, ma anche per quello che di buono ha fatto.
Quali sono stati i grandi meriti e i grandi demeriti di Bettino Craxi?
Tra i suoi meriti c’è indubbiamente quello di aver rinnovato il partito. Lo ha rilanciato. Ha creato uno strumento efficace sul piano organizzativo in maniera tempestiva. Siamo tutti rimasti sbalorditi dall’esser passati dal partito di De Martino a quello plasmato da quest’uomo che avevamo eletto a Roma al Midas, e che avevamo scelto perché aveva poche idee e poco seguito. Per noi, allora, Craxi rappresentava una soluzione transitoria, dato che il nostro uomo era Claudio Signorile, che negli accordi sarebbe poi diventato vice segretario. Nonostante Riccardo Lombardi fosse allora contrario, alla fine Bettino è passato con ventidue voti e le cinque nostre astensioni.
E i demeriti?
Quello che è successo negli ultimi anni. Tutti sapevamo che arrivavano dei contributi da qualche parte sulle cose meno importanti. Ma di una strategia così forte eravamo all’oscuro. Quando ho visto che qualcuno veniva in aereo privato per fare una riunione a Venezia…
Ti sei chiesto da dove venivano i soldi.
Hai capito il discorso?
Senti, perché la destra ultimamente si è impossessata della figura di Craxi? Vuole collocare la figura di Bettino nella sua tradizione?
È una cosa strumentale. La Russa e Tajani sono andati ad Hammamet cercando di recuperare la figura di Craxi alla loro parte. Ma in una settimana siamo riusciti a smontare questa costruzione, perché Bettino era sì anticomunista, ma era di sinistra. La sua linea politica non era quella massimalista, era quella socialista.”
E il recupero di Proudhon in chiave antimarxista e anti leninista fatto da Craxi nel famoso articolo per “L’Espresso”?
È stato un salto di qualità culturale, con cui Craxi ha rimescolato la politica a livello nazionale con idee nuove, mentre prima era tutto fermo.
Come ti spieghi che i vostri deputati, in origine lombardiani, dopo “Mani pulite” sono finiti tutti a destra? Ti faccio alcuni nomi: Brunetta, Sacconi, De Michelis.
Siamo stati tutti invitati a Milano per un incontro importante con Berlusconi e company per verificare la nostra disponibilità a passare dall’altra parte, visto che di qua cominciava a mancare la terra sotto i piedi. Io e altri abbiamo deciso di rimanere nel centrosinistra. Pochi ma sani.
È vero che hai sospeso dal partito De Michelis nel 2009 perché appoggiava una lista di destra?
Sì è vero. Ed ho dovuto farlo perché aveva presentato una lista in Comune che come segretario metropolitano non potevo accettare.
Dopo le scelte politiche fatte da De Michelis e dopo questo episodio, i tuoi rapporti con lui come sono stati?
Sono stati buoni, anche se ha fatto un sacco di sbagli, voleva per forza un altro partito. L’ultima volta che l’ho visto è stato durante una cena a Mira, quando già stava male. Allora gli ho portato un libro sulla storia del Partito socialista. E quando gliel’ho consegnato gli ho detto ‘Bocia, alza la testa, so ancora qua’. Poi, quando è morto, ho organizzato i funerali. Anche con Renato Brunetta, abbiamo mantenuto i rapporti di amicizia, ma politicamente siamo lontani, abbiamo una visione della città e del Paese che è completamente diversa.
Come è cambiata la Giudecca nel corso degli anni?
È cambiata profondamente. Assieme a Sacca Fisola, venticinque anni fa, eravamo quattordicimila, mentre ora siamo cinquemila trecento, con una popolazione che è in gran parte anagraficamente anziana. È una situazione che ci provoca molta amarezza, tenuto conto del grande impegno che assieme ad altri dedichiamo alla nostra comunità, e alla scarsa risposta che riceviamo in cambio. Quel che manca è proprio il ricambio umano, mentre da tempo registriamo la presenza di numerosi turisti. Sappiamo che ora sono duecentoventi gli appartamenti trasformati in affittanze turistiche, un patrimonio che è stato conseguentemente sottratto alla residenza. In compenso abbiamo assistito alla nascita di tanti bar, ristoranti e osterie e, tranne che in estate, dopo le cinque sei di sera non c’è più nessuno. Manca il tessuto, mancano i giovani. Prima esistevano altri circoli, e ora siamo rimasti noi soli. Il Pd ha la sua sede chiusa da anni. La conseguenza è che è dura mantenere in piedi la nostra attività, anche se, grazie all’attività culturale del Circolo Nardi, qui vengono tutti.
E il PSI come sta a Venezia?
Alla federazione provinciale siamo duecentocinquanta iscritti mentre a livello regionale siamo circa cinquecento. Tuttavia il partito non si è rinnovato, manca la gente nuova. Ma è cambiata anche la disponibilità da parte della gente a dedicare ore della propria giornata al partito. Ed è un fenomeno che non colpisce solo noi, ovviamente. Una volta facevamo riunioni alle otto di sera, ora sono anni che non lo facciamo più. Anche le riunioni che da tempo organizziamo con le altre formazioni del centro sinistra cittadino nella sede del Pd di San Barnaba le organizziamo alle sei di sera.
E il futuro prossimo venturo per la nostra città, come lo vedi?
Come centro sinistra pensiamo al 2026 e stiamo discutendo dei vari aspetti programmatici, e speriamo di trovare un candidato sindaco entro il prossimo luglio.”
Ti faccio un’ultima domanda: sempre Avanti! Gigi?
Sempre. Ma la sinistra ha bisogno di essere rigenerata, dobbiamo riuscire a proporre una nuova socialdemocrazia, perché non c’è più niente. Alle ultime elezioni europee, qui alla Giudecca, ad ottenere più voti è stata la Meloni. Ma ti rendi conto? Con tutto quello che abbiamo sofferto noi per quest’isola.
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