[Parigi]
All’annuale conferenza degli ambasciatori e delle ambasciatrici il 6 gennaio, il presidente francese Emmanuel Macron ha messo in discussione «l’onore» dell’Algeria riguardo alla vicenda dello scrittore franco-algerino Boualem Sansal, arrestato in Algeria a metà novembre. Secondo il presidente «l’Algeria, che amiamo tanto e con cui condividiamo tanti legami e storie, sta entrando in una vicenda che la disonora, impedendo a un uomo gravemente malato di ricevere le cure di cui ha bisogno”.
«Chiedo con urgenza al governo di liberare Boualem Sansal», ha aggiunto. Critico nei confronti del governo algerino, Sansal, 75 anni, è accusato di minaccia alla sicurezza dello stato, dopo essere stato arrestato al suo arrivo all’aeroporto di Algeri. Secondo il quotidiano francese Le Monde, le autorità algerine avrebbero mal digerito alcune dichiarazioni di Sansal al media francese Frontières, noto per le sue posizioni di estrema destra, che riprendono la posizione del Marocco secondo cui il territorio algerino sarebbe stato ridotto durante la colonizzazione francese a favore dell’Algeria. Secondo Boualem «quando la Francia ha colonizzato l’Algeria, tutta la parte ovest dell’Algeria faceva parte del Marocco: Tlemcem, Orano e persino Mascara. Tutta questa regione faceva parte del regno.» L’autore è stato quindi perseguito in base al codice penale algerino che punisce “come atto terroristico o sovversivo, qualsiasi atto che minacci la sicurezza dello stato, l’integrità del territorio, la stabilità e il normale funzionamento delle istituzioni”.
Dopo l’arresto di Sansal, la situazione tra i due paesi si è complicata ulteriormente e non facilitata dal sostegno francese alla caduta del regime siriano di Bashar al-Assad, una posizione mal vista dal governo algerino, timoroso di nuove proteste guidate dai giovani algerini, simili a quelle del 2019 che costrinsero l’ex presidente Bouteflika a non candidarsi.
Chawki Benzehra, un giovane oppositore algerino che vive a Lione, ha pubblicato sul suo account X, i video più violenti di alcuni influencer algerini che vivono in Francia, video nei quali si incitava a compiere attentati in Francia e violenze ad Algeri, il tutto accompagnato da discorsi antisemiti. Nei giorni successivi lo stesso Benzehra è diventato oggetto di altri video di minaccia di altri utenti social. Qual che giorno fa sono quindi stati arrestati i sei influenceurs, uno dei quali immediatamente espulso in Algeria e poi rispedito in Francia dalle stesse autorità algerine.
Il trentatreenne Benzehra è di origine cabila, vive in Francia dal 2012 ed è stato condannato in contumacia nel 2020 dal regime algerino. La sua colpa è di aver partecipato all’Hirak, l’ondata di manifestazioni del 2019 contro l’anziano presidente Abdelaziz Bouteflika che malgrado la cattiva salute e l’assenza dalla scena politica per molti anni, aveva deciso di ricandidarsi alle elezioni presidenziali. L’Hirak era riuscito a mobilitare milioni di manifestanti in tutto il paese chiedendo la fine del regime politico algerino – nel quale i militari svolgono ancora un ruolo rilevante – e della corruzione. In risposta alle manifestazioni Bouteflika aveva rinunciato a presentarsi alle presidenziali che, con una partecipazione ufficiale del 40 percento della popolazione, almeno secondo i dati del governo, sono state vinte poi da un ex primo ministro e ministro della difesa di Bouteflika: Abdelmadjid Tebboune. Tebboune è stato poi rieletto nel settembre del 2024.
Dopo la vittoria di Tebboune, Benzehra ha chiesto ed ottenuto l’asilo politico in Francia. Ma qui ha dovuto fa fronte a quella che, dice, è una vera e proprio rete con centinaia di migliaia di followers che prendono di mira e minacciano gli oppositori del regime algerino. Secondo Benzehra, questi militanti del web partecipano a “una campagna del terrore, di guerra ibrida attraverso i social, dove i followers condividono gli stessi elementi del linguaggio”. Una campagna coordinata da agenti del regime algerino, sostiene Benzehra.
Un’opinione in parte condivisa anche dallo specialista Vincent Geisser del CNRS e direttore dell’Institut de recherches et d’études sur les mondes arabo-musulmans:
Esistono delle reti politiche legate alla sicurezza che sono sempre esistite nella relazione franco-algerina. Si può pensare che una di queste reti di influenza abbia cercato di attivare un certo numero di individui attraverso i social media per partecipare a una critica dell’immagine della Francia. […] Potrebbe essere un’iniziativa legata al potere algerino, ma, per essere più precisi, si tratterebbe piuttosto di una rete o di un clan, e non necessariamente di una decisione al vertice. Credo che si debba fare molta attenzione, perché abbiamo pochissime prove.
Domenica scorsa, il ministro della giustizia Gérald Darmanin ha proposto poi di annullare la dispensa di visto per i membri della nomenklatura algerina, che dal 2013 sono autorizzati a entrare in Francia senza la necessità di un visto, grazie a un accordo che riguarda i titolari di passaporti diplomatici algerini. Dall’altra parte, l’ex primo ministro Gabriel Attal ha rilanciato la proposta di “denunciare” l’accordo franco-algerino del 1968, che garantisce uno status speciale ai cittadini algerini riguardo a circolazione, soggiorno e lavoro in Francia. A detta di Attal, questo trattato, che è stato rivisitato nel 1985, 1994 e 2001, è ormai obsoleto e “ha creato una via preferenziale per l’immigrazione”. Attal sottolinea che tale accordo “rende quasi impossibile ritirare permessi di soggiorno per i cittadini algerini, anche per motivi di ordine pubblico”, mentre invita la Francia a definire “i limiti” e ad “assumere il confronto con l’Algeria”.
Anche le relazioni economiche tra Francia e Algeria sono sempre più precarie, compromesse da una serie di misure ritorsive adottate da Algeri. Tra i progetti più emblematici colpiti da questa tensione c’è la fabbricaRenault a Orano, che avrebbe dovuto riprendere la produzione nel 2024 dopo anni di difficoltà. Oggi, tuttavia, il progetto sembra essere stato sospeso a tempo indeterminato. Ma non è solo Renault. Molte aziende francesi attive in Algeria si trovano a fare i conti con ostacoli amministrativi sempre più complessi, che impediscono l’importazione dei materiali necessari per le loro attività. Questa situazione ha generato un clima di crescente preoccupazione tra i dirigenti e i diplomatici francesi.
Ma perché questi attriti tra Francia e Algeria in questo momento? Dipende, in parte, dalla nuova relazione tra Parigi e il regno alawita del Marocco.
C’è un gioco di specchi nelle relazioni tra Francia, Algeria e Marocco: vecchie ferite coloniali, rivalità geopolitiche e nuovi assetti internazionali si intrecciano. Al centro di questo equilibrio instabile si trova il Sahara Occidentale, un territorio arido ma strategico, che da decenni alimenta scontri diplomatici e sogni d’indipendenza.
La disputa sul Sahara Occidentale risale al 1975, quando il Marocco annesse il territorio dopo il ritiro della Spagna. Il territorio è ricco di risorse come fosfati e pesci. Nonostante la Risoluzione 690 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU del 1991 avesse previsto un referendum per l’autodeterminazione, questo non si è mai concretizzato. Il Marocco propone oggi un’autonomia sotto la propria sovranità, sostenuto da alleati di peso come gli Stati Uniti e Israele. L’Algeria, invece, continua a battersi per l’indipendenza del Sahara Occidentale attraverso il Fronte Polisario, che controlla circa il 30 per cento del territorio.
Negli ultimi anni, Parigi ha stretto i legami con Rabat, alimentando l’irritazione algerina. Fino a quel momento, la Francia aveva mantenuto un difficile equilibrio tra Algeria e Marocco, specialmente al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottando una posizione che, come quella dell’Unione Europea, sosteneva la proposta dell’ONU per il Sahara Occidentale. Questa strategia permetteva a Parigi di evitare prese di posizione troppo nette su un tema così divisivo. Tuttavia, la situazione ha subito un cambiamento quando la Spagna, sotto pressione marocchina sulle questioni migratorie legate alle enclavi di Ceuta e Melilla, ha deciso di riconoscere la «maroccanità» del Sahara Occidentale. Furiosa per questa scelta, l’Algeria ha reagito congelando le relazioni diplomatiche con Madrid, interrompendo i voli tra le due capitali e imponendo sanzioni commerciali.
Questo contesto di crescente tensione ha spinto Rabat a tendere la mano a Parigi, ma a una condizione chiara: la Francia avrebbe dovuto abbandonare la sua ambiguità e riconoscere formalmente la sovranità marocchina sul Sahara. Spinta a prendere una posizione, la Francia ha iniziato un graduale riavvicinamento al Marocco. Il precedente ministro degli esteri francese, Stéphane Séjourné, oggi commissario europeo, ha pubblicamente riconosciuto l’importanza «esistenziale» della questione sahariana per Rabat, mentre Parigi autorizzava investimenti francesi nelle regioni del Sahara.
Un riavvicinamento che avviene malgrado i numerosi problemi aperti tra Marocco e Francia. Il regno alawita era stato infatti coinvolto nell’affaire Pegasus, il programma israeliano di spionaggio. Il Marocco avrebbe fatto spiare un migliaio di cittadini francesi, tra cui molte personalità politiche e uno dei telefoni dello stesso presidente Macron.
Nel luglio 2024, Emmanuel Macron ha quindi inviato una lettera al re del Marocco, Mohammed VI, definendo il piano di autonomia marocchino «l’unica base per una soluzione politica giusta, duratura e negoziata». Pur senza riconoscere ufficialmente la sovranità marocchina, questa dichiarazione ha segnato una svolta. La reazione algerina non si è fatta attendere: l’ambasciatore è stato immediatamente richiamato da Parigi.
La scelta francese non è casuale. Si inserisce in una più ampia ridefinizione delle alleanze nella regione. Gli Accordi di Abramo del 2020, mediati dagli Stati Uniti, hanno portato il Marocco a normalizzare le relazioni con Israele, ottenendo in cambio il riconoscimento americano della sovranità marocchina sul Sahara Occidentale, decisione sulla quale Joe Biden non ha mai voluto ritornare.
Israele, dal canto suo, ha intensificato la cooperazione con Rabat, inclusi accordi economici e militari, come la produzione di droni sul suolo marocchino, e ha anche offerto supporto nella valorizzazione economica del territorio. Due aziende israeliane, Ratio Petroleum e NewMed Energy, hanno infatti siglato accordi per l’esplorazione esclusiva di idrocarburi lungo le coste atlantiche di Dakhla, rispettivamente nel 2021 e nel 2022.
Se il Marocco si è avvicinato a Israele e agli Stati Uniti, l’Algeria ha rafforzato la propria storica relazione con la Russia. Le radici di questa alleanza risalgono al sostegno sovietico durante la guerra d’indipendenza algerina. Oggi, la cooperazione si estende ben oltre il settore militare. Nel 2021, Algeri ha firmato un accordo da 7 miliardi di dollari per l’acquisto di armi russe, malgrado le critiche di Unione Europea e Stati Uniti. E nel 2023 ha consolidato la collaborazione in agricoltura e commercio, nonostante le tensioni legate alla guerra in Ucraina.
Questa rivalità tra Marocco e Algeria non si limita alle dichiarazioni diplomatiche. Dal 2021, Algeri ha chiuso il proprio spazio aereo ai voli marocchini e sospeso il transito di gas attraverso il Marocco verso la Spagna. Più recentemente, ha reintrodotto l’obbligo di visto per i cittadini marocchini, accusandoli di traffico illecito e spionaggio.
Le crescenti spese militari delle due nazioni riflettono l’intensità della rivalità. Secondo la giornalista de L’Express Alexandra Saviana, nel suo libro “Les Scénarios noirs de l’armée française”:
Nel 2023, l’Algeria avrà stanziato più di 22 miliardi di dollari per la sua difesa, il doppio di quanto speso nel 2022. La difesa è ora la voce di bilancio più importante del Paese. Il bilancio più ridotto del Marocco – 12,2 miliardi di dollari – è tuttavia sostenuto dagli acquisti di equipaggiamento militare, in particolare dagli Stati Uniti. Nell’aprile 2023, Rabat ha chiesto di acquistare l’equivalente di 250 milioni di dollari di equipaggiamento militare americano, prima di condurre esercitazioni congiunte con quel Paese. Le somme spese per gli eserciti non sono gli unici indicatori dell’interesse militare mostrato dai due Paesi. Marocco e Algeria sono ora due forze militari con potenti alleati che si stanno mettendo alla prova.
Il contesto internazionale è infatti mutato, secondo Xavier Driencour, ex ambasciatore francese in Algeria, intervistato dalla giornalista:
Alcuni degli ingredienti presenti oggi non esistevano due anni fa. Il conflitto in Ucraina ha rafforzato le alleanze del Marocco con gli Stati Uniti e dell’Algeria con la Russia. Inoltre, gli accordi di Abramo firmati da Trump hanno portato gli Stati Uniti e Israele dalla parte del Marocco.
In questo contesto, la Francia si trova intrappolata in una posizione delicata. La sua storica influenza nel Nord Africa – e in Africa – è ora messa in discussione da dinamiche regionali che sfuggono al suo controllo. Le relazioni con l’Algeria, già segnate da periodi di alti e bassi, stanno attraversando una crisi senza precedenti. Secondo lo storico Benjamin Stora,
non esiste un equivalente di una tensione così alta nella storia recente. Il rapporto franco-algerino è strutturalmente difficile, con momenti di euforia seguiti da rotture profonde.
Questa difficoltà, amplificata dall’eredità coloniale, rischia ora di trasformarsi in un’escalation che potrebbe avere ripercussioni dirette anche sul suolo francese.
Eppure le relazioni tra la Francia di Macron e l’Algeria non erano cominciate male.
Durante la campagna elettorale per le presidenziali del 2017, Emmanuel Macron scelse infatti un gesto audace: recarsi in Algeria, un Paese dove il passato coloniale della Francia è una ferita mai del tutto rimarginata. Intervistato da una televisione algerina, non si limitò a condannare la colonizzazione, ma la definì esplicitamente «un crimine contro l’umanità»:
Penso che sia inaccettabile glorificare la colonizzazione. Alcuni, poco più di dieci anni fa, hanno provato a farlo in Francia. Non mi sentirete mai fare dichiarazioni simili. Ho sempre condannato la colonizzazione come un atto di barbarie. L’ho fatto in Francia e lo ribadisco qui.
Ma Macron non si fermò a una condanna generica e aggiunse:
La colonizzazione fa parte della storia francese. È un crimine, un crimine contro l’umanità, una vera barbarie. Ed è un passato che dobbiamo affrontare con onestà, presentando le nostre scuse a chi ha subito queste azioni.
Mai un leader politico francese aveva usato parole così forti. Nessun presidente della Repubblica, del resto, aveva mai preso in considerazione l’idea di presentare delle vere «scuse». Nel dicembre del 2007, Nicolas Sarkozy si era spinto a condannare il sistema coloniale definendolo «ingiusto per natura». «Quel sistema non poteva essere vissuto altrimenti se non come un’impresa di asservimento e sfruttamento», aveva dichiarato. «Le colpe e i crimini del passato furono imperdonabili.» Tuttavia, si era rifiutato di andare oltre. Cinque anni più tardi François Hollande aggiungeva davanti ai parlamentari algerini che
per centotrentadue anni, l’Algeria è stata sottoposta a un sistema profondamente ingiusto e brutale, e questo sistema ha un nome, si chiama colonizzazione, e riconosco qui le sofferenze che la colonizzazione ha inflitto al popolo algerino
Hollande rifiutava tuttavia di «fare penitenza» o di «presentare scuse».
Per Macron, la « riconciliazione delle memorie » era essenziale per ricostruire il futuro delle relazioni franco-algerine. Un atto simbolico di riconoscimento delle sofferenze del passato che, secondo lui, rappresentava una base fondamentale per superare le divisioni storiche tra i due paesi. Non si trattava solo di fare i conti con la memoria collettiva del conflitto e della colonizzazione, ma di offrire una piattaforma su cui costruire una nuova intesa.
Una convinzione che non sembrò abbandonare nemmeno al momento dell’elezione, anche se non affronterà mai la questione delle scuse ufficiali. Ma i gesti simbolici si moltiplicheranno, tra le critiche della destra e dell’estrema destra francesi. Nel 2018, Macron decise di riconoscere la responsabilità dello stato francese nella morte di Maurice Audin, un matematico comunista e militante dell’indipendenza in Algeria, torturato dall’esercito francese e sparito senza lasciare tracce. Per la prima volta, un presidente riconosceva ufficialmente che lo stato francese aveva sbagliato a fare ricorso alla tortura al tempo della guerra d’Algeria.
Al culmine dei gesti simbolici, nel 2020 il presidente incarica quindi lo storico Benjamin Stora, uno dei principali specialisti della storia dell’Algeria, di “definire un quadro chiaro e preciso” sulla memoria della colonizzazione e della guerra d’Algeria. Benjamin Stora propone un piano per affrontare la memoria storica della guerra d’Algeria, includendo la creazione di una “Commissione Memorie e Verità” per raccogliere i ricordi dei sopravvissuti algerini e francesi. Suggerisce la pubblicazione di un “Guida dei Dispersi” per identificare i luoghi di sepoltura dei condannati a morte e la trasformazione dei campi di internamento in Francia in luoghi di memoria. Propone anche di continuare il recupero dei corpi degli algerini morti in Francia, rafforzare la cooperazione tra i due paesi, e facilitare la ricerca storica con la declassificazione dei documenti archiviati. Per migliorare l’educazione, suggerisce di integrare la storia della guerra nei programmi scolastici e promuovere il dialogo culturale tra le nuove generazioni. Inoltre, consiglia di intitolare strade a personalità dell’immigrazione.
L’assenza di scuse ufficiali da parte di Parigi in seguito alla pubblicazione del rapporto, tuttavia, sarà all’origine di molte e dure critiche, soprattutto da parte algerina.
E nel frattempo anche Macron indurisce la propria posizione. Nel 2022, durante la campagna elettorale per le presidenziali, il presidente rilascia una serie di dichiarazioni inaspettate riguardo all’Algeria, sollevando un dibattito che avrebbe avuto ampie ripercussioni diplomatiche. In queste dichiarazioni, Macron descriveva il sistema politico algerino come “stanco” e “indebolito dall’Hirak”, il movimento di protesta che nel 2019 aveva scosso il paese. Il presidente francese sottolineava come il sistema politico-militare che guida l’Algeria fosse fondato su una “rendita memoriale”. Macron in sostanza riteneva che la gestione della memoria della guerra d’indipendenza fosse sfruttata dal governo algerino per rafforzare il proprio potere e legittimità, sulla base di una narrazione storica parzialmente manipolata o esagerata.
La riconciliazione delle memorie è quindi sospesa. E oggi le tensioni geopolitiche la rendono molto improbabile.
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