Giovanni Innamorati, puntuale come è sempre, ha messo in chiaro quante aspettative diverse si addensano sulla riunione del 18 gennaio a Milano di Comunità democratica. Che non è la Fondazione Popolari di Castagnetti (ma è come se lo fosse) e non sembra più essere la corrente di Bonaccini, ormai disperso tra le nebbie di Bruxelles e lieto di non rischiare ciò che toccò a Bersani in cerca, anche lui dall’Emilia Romagna, di una “ditta “ che ovviamente aveva già chiuso i battenti nel secolo scorso. La presenza di Ernesto Ruffini, che da poco è libero da impegni formali dello Stato e può abbracciare una riflessione da cattolico democratico schierato (ma con il centrosinistra, non solo con una corrente interna al Pd, pena la prematura fine del suo tentativo…), e di Romano Prodi in video , che negli ultimi tempi si è concesso a riflessioni sull’alternativa politica a questo Governo Meloni, nobilita e rende interessante il momento.
Il fatto che in molti cerchino risposte diverse, un nuovo centro senza Calenda e Renzi; un centro con Calenda, Renzi e Gentiloni; un federatore del centrosinistra; un federatore del centro; perfino una nobiltà democristiana perduta (ma Follini è stato definitivo su questo), non è detto che offuschi le riflessioni sul Paese, oltretutto affiancate dalla novità di una sorta di rete di collegamento degli amministratori cattolici democratici raggruppati da Francesco Russo, consigliere regionale Friuli, qualche mese fa, nell’ambito della Settimana Sociale dei cattolici svoltasi a Trieste e che ha già qualche riunione in giro per l’Italia al suo attivo.
Dipanare le ambiguità e distinguere la realtà dall’irrealtà, sarà comunque un esercizio utile di chiarezza politica considerando la pochezza operativa e sostanziale del Governo Meloni, che comunque dimostra di volersi muovere pochissimo proprio per non dispiacere il Paese (e per ora ci riesce…).
E però, i temi reali vanno affrontati e sono il cuore della politica, non i vezzeggiamenti sui valori o le riserve indiane che solitamente toccano negli ultimi anni ai cattolici democratici.
In primo luogo c’è un’ ambiguità che ha alimentato anche Romano Prodi: posta l’insufficienza con questa legge elettorale e con questi sondaggi da parte del Pd a vincere le elezioni da solo e col 51 per cento delle Camere, la necessità di una coalizione che abbia un perno centrale (il Pd) al trenta per cento (non solo dei voti validi in regime forte di astensionismo come alle regionali), una sinistra che viaggi al dieci per cento e un centro che faccia lo stesso, rubando voti al centrodestra, indica la necessità di un federatore della coalizione ma anche di leader della sinistra e del centro del centrosinistra.
Prodi aderisce all’idea che dopo il convegno di Comunità democratica si lanci un “concorso” per il federatore del centro oppure parlando anche di questo non intende piuttosto spiegare che serve una candidatura credibile alla Presidenza del Consiglio? Ovviamente non è un compito da “padre nobile” imporre soluzioni ma credo che la domanda nell’aria sia esattamente questa (confronta video con Formigli e poi con Damilano).
A sinistra ce la si può cavare garantendo come al solito Fratoianni, Bonelli o chi per loro, anche se c’è anche la mina vagante Giuseppe Conte. Ma al centro come rimuovere Calenda o Renzi? Risucchiandoli nel Pd? Dandogli incarichi alle Nazioni Unite (Renzi)? Facendo nominare Carlo Calenda Presidente di Stellantis? E una volta risolto il difficile rebus dei leader di centro, e della sinistra che non ama essere al Governo, ma “lo fa solo per affetto per noi”, siamo sicuri che la questione vera non sia esattamente chi verrà proposto come leader della coalizione?
Il Pd nascente di Veltroni, nell’ immaginare un confronto nel maggioritario aveva puntato sulla naturale conclusione di tutti i sistemi maggioritari: i leader dei partiti, oppure nel caso italiano quantomeno i leader coalizionali. Anzi Veltroni, a essere giusti, aveva fatto il passo finale immaginando di mettere quasi tutta, se non tutta, la coalizione ex Ulivo, nel Pd, e per questo il ruolo di segretario del Pd coincideva con quello di candidato Presidente del Consiglio in pectore. I fatti non hanno dato ragione né al maggioritario (che si è trasformato negli anni in un maggioritario che incatena per necessità un proporzionale interno alle coalizioni, in cui vince il calcolo marginale, chiedere a Salvini per informazioni oppure a Mastella…), né a questo tentativo di semplificare la vita politica italiana.
Ma ora?
Fare una coalizione presuppone una volontà di vincere le elezioni. Scontato?
Non molto quando un “acconciarsi” alle condizioni date permette comunque di usare la politica come uno dei pochi ascensori sociale ,generazionale o per citare la Meloni che lo conosce bene il fenomeno … di garanzia dell’ “amichettismo”,in un Paese che stenta a modernizzarsi davvero (che vuol dire anche leggere le tradizioni politiche come il parlamentarismo, nella versione giusta e non macchiettistica).
Mi spiego meglio. Vincere con una coalizione ampia, che per natura del centrosinistra è sempre molto eterogenea, abbisogna di un/una leader duttile, disponibile al dialogo con tutte le anime; una leadership disponibile a costruire un programma di governo che nell’esercizio democratico del confronto ha la molla di un processo democratico in sé.
Serve un programma politico che parli al Paese e non solo alla propria “tenda”. Serve un programma che dia speranze agli ultimi e ai diversi. E tra i diversi, ”diversi” per la sinistra rientrano per esempio liberi professionisti, partite Iva, dirigenti statali e manager, imprenditori piccoli e grandi, a cui offrire oltre che un posto alle manifestazioni sacrosante per i diritti o le libertà a rischio ( vedi ddl sicurezza) una visione dei settori del lavoro da incentivare nei prossimi venti anni (sviluppo energia, ambiente, innovazione). Una riforma del welfare: per la previdenza, che tenga conto dei numeri reali (minori occupati, minor gettito Inps, carriere a pezzetti, lavori a tempo determinato ,a progetto, a singhiozzo etc..); della sanità, per cui non basta nemmeno la richiesta di sei miliardi in più, ma serve una riorganizzazione sull’arco dei prossimi venti anni della presenza sul territorio dei medici di base e degli ospedali come degli ambulatori e delle rsa-case famiglia; della scuola e della università, che incentivi i giovani italiani a ricercare e realizzare qui, nel nostro Paese. Anzi, a favorire la presenza di hub scientifici che tengano conto della nostra presenza geopolitica nel Mediterraneo e nel mezzo dell’Europa.
Questi temi, del welfare, intersecano quelli del lavoro (dove è la posizione Pd su Stellantis o la Beko ex Whirlpool o sui rinnovati problemi dell’Ilva per esempio, che sono tarantini, europei e perfino mondiali ?), quelli della tassazione giusta ed efficace in relazione con il cittadino /utente (qui Ernesto Ruffini può certamente dare ottimi suggerimenti) e ovviamente una presa in carico del tema delle migrazioni che sia un piano ventennale di integrazione, costruzione di relazioni con gli Stati di provenienza, accesso al lavoro ed integrazione previdenziale cominciando a non farfugliare più cose come Ius Scholae o ius cultura ma proponendo l’abolizione della legge Bossi Fini e ripartire da zero.
Un programma del genere, da costruire integralmente, presuppone una leadership conscia di dover sopportare scaramucce, integrazioni, postille, confronti, ironia di media compiacenti al potere, ma anche di farla finita col giochino a chi è più di sinistra o progressista o popolare sui social networks.
Molto più comodo alzare le bandiere al vento, predicare slogan conosciuti e risaputi, perdere “con dignità”, e portare a casa una quota di parlamentari amici che garantisce due-tre anni sui giornali di veline benevole e passeggiate nei talk show televisivi, facendo propria la parte che meglio aggrada a una destra che ha imparato a usare le leve di potere mediatico. Non solo, così si contribuisce a quella che Giovanni Bianchi definiva la “democrazia discutidora”: difendiamo il parlamentarismo a parole ma eleggendo solo amici e amiche senza territorio, senza voti personali, senza associazioni, sindacati o gruppi di interesse, accettiamo che solo il dieci per cento della produzione legislativa sia parlamentare, che la legge di bilancio la si discuta in una sola Camera e la si approva con un emendamento unico di Governo con il voto di fiducia nella seconda. Vale per la maggioranza ma vale anche per una opposizione assuefatta…
In fondo in questa “comfort zone” si fa battaglia politica tutti – sinistra e destra, e centro tollerato – nella stessa Ztl e il Paese finisce nelle paludi, ma cantando ognuno la propria messa per i propri sostenitori: Cuius regio eius religio! Solo che alla fine il Papa rischia di farlo Elon Musk…
Allora, tornando alla origine del discorso, siamo proprio certi che la bonomia Prodiana non nasconda davvero la domanda inconfessabile che tutti dovrebbero farsi nel centrosinistra e che lui suggerisce a Comunità democratica sperando che la capisca e abbia il coraggio di discuterne al di fuori della riserva indiana dei cattolici democratici : con quale programma e con quale leadership (anche collettiva) sfidare una destra inguardabile e soprattutto incapace, che solo l’ assenza di una opposizione reale e di una proposta al Paese rende al momento maggioranza ?
Il confronto, anche il sano conflitto se necessario, su questa domanda non lo si può rimandare di molto o sarà la dura realtà a dare le risposte.
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