Nel cuore del Salento, dove la Xylella fastidiosa ha devastato milioni di ulivi, si registra un primo barlume di speranza. “In alcune aree del Salento meridionale si osserva un’attenuazione della virulenza del batterio, che sembra consentire una parziale ripresa di oliveti”, spiega il dottor Gianluca Nardone, direttore del Dipartimento Agricoltura della Regione Puglia.
A indirizzarci a lui è stato il presidente della Regione, Michele Emiliano, per chiarire i recenti sviluppi. Questi segnali di rinascita, raccontati anche da agricoltori e imprenditori locali in un recente articolo di TPI, hanno acceso il dibattito sulle prospettive del territorio. Tuttavia, mentre la natura tenta di resistere, anche le dinamiche economiche influenzano il futuro degli ulivi.
“Le decisioni degli agricoltori si basano su analisi economiche. I segnali di ripresa osservati non sempre giustificano il mantenimento di piante non produttive”, sottolinea Nardone, evidenziando come la sostenibilità economica resti centrale per il settore.
Per tali ragioni prende piede l’olivicoltura intensiva e super-intensiva, definita dagli esperti “una grande opportunità” per modernizzare il settore, un modello che solleva interrogativi sul futuro del paesaggio e delle tradizioni locali.
Il Salento è a un bivio tra memoria e innovazione, resilienza e pragmatismo. Nessun accenno al superamento della monocoltura, né sulla tutela e il rilancio di uno dei paesaggi più belli d’Italia. La rinascita degli ulivi sarà solo produttiva o potrà rappresentare anche una rinascita culturale e paesaggistica?
Dottor Nardone, diverse segnalazioni da agricoltori, associazioni e imprenditori del territorio indicano una rinascita generalizzata degli ulivi in molte zone del Salento. Tale ripresa è attribuita non a cure specifiche, ma alla resilienza naturale delle piante, dopo la riduzione della carica batterica del batterio che si è spostato più a nord. La Regione ha riscontrato lo stesso fenomeno? Se sì, quali sono le cause di questa ripresa?
“‘Rinascita generalizzata’ è una parola grossa e, purtroppo, non riguarda tutto il territorio. Non è un mistero che, contestualmente, stiamo assistendo anche a un’allarmante recrudescenza nell’Alto Salento, inclusa la piana degli ulivi monumentali, di particolare pregio paesaggistico. Diciamo che in alcune aree del Salento meridionale si osserva un’attenuazione della virulenza del batterio, che sembra consentire una parziale ripresa di oliveti non secolari, lasciando intravedere la possibilità di convivenza con il batterio per piante di valore affettivo, estetico e paesaggistico, come quelle nelle pertinenze di strutture turistiche o abitazioni. Tuttavia, da quanto rilevano i nostri tecnici, siamo ben lontani dal considerarle competitive dal punto di vista produttivo. Secondo i dati acquisiti dai ricercatori del Cnr, tra le principali cause di questo fenomeno ci sarebbe il passaggio dallo stadio di infezione acuta a quello di infezione cronica e il drastico calo degli individui infetti nella popolazione degli insetti vettori, le sputacchine. Questo calo è a sua volta legato alla riduzione del serbatoio d’inoculo provocata dal batterio, con una conseguente forte diminuzione delle reinfezioni operate dagli stessi insetti”.
Esiste una strategia di difesa del patrimonio naturalistico che la Regione intende promuovere per il territorio salentino, in particolare per la tutela degli ulivi secolari?
“La bellezza dei paesaggi pugliesi è un valore inestimabile e un fattore determinante per lo sviluppo regionale. Tuttavia, non si può ignorare che, in molte aree, il paesaggio è stato irreversibilmente compromesso dalla Xylella, lasciando il posto a scenari desolanti. Difendere un paesaggio che non esiste più non ha senso; dobbiamo guardare avanti. Xylella fastidiosa è uno dei batteri delle piante più pericolosi al mondo, e la Commissione europea lo ha classificato come il primo organismo nocivo per impatto economico, sociale e ambientale. Nel Salento, il batterio ha colpito oltre 10 milioni di piante, causando danni per oltre 2 miliardi di euro. La Regione Puglia ha investito risorse significative per rilanciare le aree colpite. Il Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia sta procedendo con performance coerenti con le aspettative, affrontando temi come la rigenerazione del patrimonio olivicolo, la ricerca di varietà resistenti e l’individuazione di una cura, che però al momento non è disponibile”.
Quali studi sono stati promossi in ambito scientifico per affrontare un fenomeno che ormai lambisce la provincia di Bari?
“Sono in corso numerosi progetti di ricerca, con il coinvolgimento di centri di ricerca nazionali, regionali e stranieri, sostenuti da un supporto finanziario senza precedenti per un patogeno delle piante. Ad esempio, 11 consorzi di ricerca sono stati finanziati con 20 milioni di euro dal MASAF, oltre a progetti europei e del MEF. Questo impegno dimostra la complessità e la difficoltà di trovare una soluzione definitiva”.
Le politiche regionali si basano principalmente su monitoraggio e contenimento. Ci sono studi che monitorano lo stato delle piante colpite, mostrando segnali di ripresa?
“Come accennato, il fenomeno della parziale ripresa è oggetto di studio. Il Salento, essendo stato gravemente colpito, è monitorato attentamente, ma è importante ricordare che tutto il restante territorio regionale e nazionale necessita di salvaguardia. Il rallentamento significativo della diffusione del batterio conferma l’efficacia della strategia adottata”.
La Comunità europea e il Governo stanno promuovendo la riforestazione per superare le monocolture olivicole? Quali fondi e progetti sono stati attivati?
“La strategia regionale prevede investimenti per la rigenerazione del paesaggio. Il Piano straordinario per la rigenerazione olivicola della Puglia ha una dotazione complessiva di 300 milioni di euro, di cui la Puglia gestisce 237,5. Oltre 12.000 beneficiari hanno ricevuto finanziamenti per un totale di 185,6 milioni di euro. In parallelo, sono stati stanziati 50 milioni di euro per il reimpianto di varietà resistenti e 80 milioni per progetti di rigenerazione del Distretto Salentino”.
Alcuni agricoltori espiantano piante in fase di ripresa per accedere ai fondi. È vero? Esiste un protocollo che definisce quando una pianta è biologicamente morta?
“Le decisioni degli agricoltori si basano su analisi economiche. I segnali di ripresa osservati non sempre giustificano il mantenimento di piante non produttive. Non esiste un protocollo specifico per stabilire quando una pianta è biologicamente morta, ma si possono eseguire analisi molecolari per verificare la presenza del batterio”.
Le nuove coltivazioni seguono modelli intensivi o tradizionali? Qual è l’impatto ambientale?
“Le cultivar resistenti disponibili sono adatte sia a impianti intensivi che tradizionali. L’olivicoltura intensiva e super-intensiva è una grande opportunità, con sistemi ad alta densità che riducono i tempi di lavorazione e migliorano la sostenibilità ambientale, inclusi il risparmio idrico e la riduzione dell’impronta carbonica”.
Le nuove coltivazioni richiedono più risorse idriche?
“È un falso mito. Studi scientifici dimostrano che gli impianti intensivi o super-intensivi hanno esigenze idriche minori rispetto agli oliveti tradizionali. Ad esempio, la cultivar Lecciana è particolarmente adatta a condizioni di aridocoltura”.
Le strategie regionali considerano anche parametri ambientali, turistici e culturali oltre alla produttività?
“Certamente. Le strategie regionali sono condivise con gli attori del territorio, includendo interessi ambientali, paesaggistici, turistici e culturali”.