I nazisti non l’avrebbero mai immaginato.
Non avrebbero mai immaginato, i nazisti, che sarebbe sopravvisstua a loro. La quasi centenaria Philomena Franz, più volte scampata a sicura morte, in un campo di sterminio e a quattro campi di concentramento, consegna queste parole al regista, produttore e attore cinematografico Detlev Buck, che l’incontra nella sua casa berlinese per concordare un’intervista. Era il 2020, Buck aveva deciso di girare un documentario sull’Olocausto per la rete tv Arte. Fino ad allora non aveva mai osato realizzare una pellicola sulle persecuzioni dei nazisti. Furono i sopravvissuti a incoraggiarlo. Temevano che le generazioni future dimenticassero quanto accaduto. Tra loro Philomena Franz, sinta, nata nel 1922 e morta cent’anni dopo, il 28 dicembre 2022.
Sono parole pronunciate con tono scherzoso, ma di una profondità che trasmette brividi e intensa vitalità. A novantotto anni – davanti all’obiettivo di Buck – è capace di humor anche quando ricorda il progetto dei fascismi di sterminare le etnie romanì, il Porrajmos. Erano convinti, i nazisti, di riuscire ad annientare le persone e i popoli da loro tanto odiati. Discriminarono, deportarono, spersonalizzarono, disumanizzarono e sterminarono milioni di esseri umani. Prima li privarono della dignità, poi della vita.
Anche Philomena fu una loro vittima, subì le loro violenze, ma sopravvisse senza mai perdere la sua spinta vitale, la mantenne fino ai suoi ultimi anni di vita. Questo, i nazisti, non l’avevano previsto.
Philomena non ebbe una vita facile, così come non fu facile la vita della sua famiglia d’origine, musicisti come lei, una famiglia un tempo apprezzata. Il padre, Johann Köhler, era violoncellista, la madre cantante. Il nonno, Johannes Haag, suonava il violoncello a corte, in un quartetto d’archi che nel 1906 aveva vinto un concorso internazionale e ottenuto la “Goldene Rose”, la rosa d’oro, consegnata personalmente da Guglielmo II di Württenberg.
Johannes Haag, morto nel 1937, aveva capito che all’avvento del nazismo sarebbe seguito un periodo buio per chi non era in linea con il regime. Per i suoi famigliari fu proprio così. Fino al 1938, i musicisti si esibivano in famosi teatri di diverse città europee, come la Liederhalle Stuttgart di Stoccarda, il Lido di Parigi, il Wintergarten di Berlino. Poi le cose cambiarono. Persero tutto, l’imponente berlina Horch, i cavalli, gli strumenti musicali. Philomena dovette lasciare la scuola. Anche viaggiare fu loro vietato, non poterono più esercitare la propria professione. Furono obbligati ai lavori forzati.
Philomena andò a lavorare per la ditta Haga. Nel documentario di Detlev Buck racconta che il direttore la salvò dai nazisti, finché fu possibile. Ma un giorno la Gestapo andò lì a cercare proprio lei. Fu deportata ad Auschwitz-Birkenau. Le fu assegnato, e tatuato sul braccio, il numero Z-10550, un numero che non sarebbe più scomparso dalla sua pelle.
Un momento, quello in cui si viene a sapere di non avere scampo, in cui normalmente ci si sente crollare il mondo addosso. Philomena non perse la lucidità. I suoi pensieri andarono innanzitutto a sua madre. Era molto preoccupata per lei. A Buck racconta che aveva promesso al direttore che sarebbe andata a trovarlo, e dopo la guerra lo fece davvero.
Capitava, nel Lager, che le chiedevano di cantare. Dovette farlo anche nell’occasione di una visita di Himmler nel campo, per un’ispezione. Il gerarca fece esibire tutti i detenuti che sapevano suonare e cantare. “Das war eine total verrückte Regierung. Aber eine mörderische”, un governo completamente impazzito, ma assassino.
In una condizione così disperata non perse la consapevolezza. Due volte fuggì. Sapeva bene che sarebbe morta comunque, ma era determinata a evitare in tutti i modi che succedesse in un campo di sterminio. Voleva morire fuori di lì. La prima volta fu ritrovata, la seconda ebbe successo. Anche in quell’occasione ci fu un uomo che l’aiutò. L’accolse nella propria abitazione e la nascose finché non arrivarono gli alleati.
Molti suoi cari persero la vita. Di suo padre non rimase traccia.
Philomena fu più fortunata, continuò a vivere, ma esperienze come queste lasciano il segno. Soffrì di depressione, fu ricoverata per mesi. La superò, durante la guarigione cominciò a scrivere i suoi vissuti.
Nelle fasi difficili della sua vita non le mancò mai la forza di reagire. Come quando il figlio maggiore fu insultato a scuola all’inizio degli anni Sessanta. “Du dreckiger Zigeuner”, sporco zingaro, l’apostrafarono dei compagni. Un’esperienza che le mosse qualcosa dentro. Cominciò a dedicarsi al tema delle fiabe degli zingari, le “Zigeunermärchen”, di cui andò a parlare nelle scuole. E Zigeunermärchen fu il titolo del suo primo libro, pubblicato nel 1982. Un libro di fiabe per bambini, che Franz narra anche per far conoscere le usanze delle sue genti, per avvicinare il lettore a un’etnia percepita come estranea e favorire una maggiore comprensione nei suoi confronti.
Come sopravvissuta ai Lager, si sentiva chiamata a diffondere la sua testimonianza, Partecipò attivamente a iniziative di istituzioni per la formazione, a trasmissioni televisive e radiofoniche, andò nelle scuole e nelle università.
La sua positività risalta nel documentario Die Musik verteilt den Schmerz. Ein Besuch bei Philomena Franz di Detlev Buck. Philomena è messa a suo agio, il regista le porta i suoi fiori preferiti, lei racconta la sua atroce esperienza senza banalizzarla e allo stesso tempo senza perdere il senso dell’umorismo, e, sollecitata dall’intervistatore, fuori campo, canta canzoni del repertorio di quei tempi. Un’eredità di cui far tesoro quella di Philomena Franz. Due anni fa è mancata, ma il suo messaggio rimane intatto e limpido in Zigeunermärchen, Zwischen Liebe und Hass (pubblicato in italiano nel 2024 da Upre Roma con il titolo Z-10550. Tra amore e odio. Vita da zingara”), Tragen wir einen Blütenzweig im Herzen, so wird sich immer wieder ein Singvogel darauf niederlassen. E nelle trasmissioni radiofoniche e nei documentari. L’essere umano – è l’insegnamento delle sue opere – è dotato in una forza insospettabile, che gli può fargli superare le situazioni più disperate.
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