![Cittadini e turisti. Di chi è la città?](https://ytali.com/wp-content/uploads/2025/02/DSC04001-1024x683.jpg)
Non è un paradosso se oggi il turismo ci costringe a riprendere in mano il tema dell’abitare in città nel momento in cui il disagio abitativo si manifesta pesantemente. In Italia come in Europa.
In Italia la questione plana su di un ventennio di bassa inflazione in cui pareva che il problema abitativo fosse stato risolto dalle dinamiche del mercato e che le amministrazioni urbane avrebbero potuto focalizzarsi su altro.
Di fatto un grande abbaglio. La politica della casa è intrinsecamente legata alla normale amministrazione urbana perché il mercato abitativo è una fattispecie tipicamente locale radicata nella politica dei suoli. Per questa ragione non contendibile come invece il mercato dell’auto, prodotta ovunque e vendibile ovunque. L’auto è aperta alla concorrenza, la casa invece no! La sua regolazione non è affidata alla concorrenza ma a forme localmente ristrette di organizzazione del mercato abitativo. Spesso assai poco trasparente.
Paradossale che, dopo più di un secolo di esperienze europee del grande inurbamento, l’argomento si ripresenti come una novità.
Oggi la popolazione invecchia. La dimensione media delle famiglie diminuisce mentre cresce la domanda di alloggi di taglie diverse dal passato. Nella domanda di affitto si esprime soprattutto l’esigenza di mobilità del lavoro, principalmente nel campo dei servizi. Mentre anche la nuova immigrazione contribuisce alle dinamiche del mercato abitativo urbano.
Il mercato abitativo e l’Europa
Il tema è ormai arrivato anche sui tavoli europei che lo stanno giustamente trasferendo dal settore del mercato a quello del sociale.
In Italia il mercato è ingessato dentro una percentuale della piccola proprietà privata dell’alloggio che sfiora i tre quarti dell’intero patrimonio nazionale. Questa la differenza con i paesi del Centro Nord Europa. Là la segmentazione dello stock abitativo prodotto nell’ultimo secolo ha sempre mantenuto un equilibrio trai tre segmenti: proprietà privata, affitto pubblico sovvenzionato e alloggi alla portata del vasto ceto medio urbano, sia proprietà sia affitto.
Questo il frutto di una produzione edilizia affidata a istituzioni serie ed efficienti. Da Amsterdam a Berlino, da Stoccolma a Vienna, e oltre, gli esempi non si contano, mentre oggi conta la reattività che quelle amministrazioni sanno mettere in campo per frenare l’ondata del turismo urbano.
Dai materassini gonfiabili, nati a San Francisco, al fitto breve di interi alloggi e caseggiati non c’è voluto molto. Questa forma dirompente di nuova ricettività ha intercettato la crescita economica del PIL mondiale prodotto dalla globalizzazione. Quote crescenti di reddito disponibile per consumi voluttuari. A cominciare dal turismo.
Da un lato le piattaforme di prenotazione on line, dall’altro i voli low cost e il nuovo crocierismo dei giganti del mare hanno provveduto a espandere l’industria internazionale della mobilità turistica in quantità finora sconosciute.
La dinamica prodotta dalla nuova domanda ricreativa ha investito le città più famose di un continente, quello europeo, ricco di storia, arte e cultura. E la ricettività on line ha rapidamente saturato la capacità di offerta dalla tradizionale struttura alberghiera.
Di qui la rincorsa a nuove formule ricettive concentrate sul patrimonio residenziale urbano, quello storico prima e quello recente poi. La fisiologia del mercato abitativo è risultata stravolta da forme nuove, striscianti e capillari, di conversione d’uso degli alloggi e di facile guadagno.
Il turismo come regolatore
Il turismo si è imposto come nuovo regolatore del mercato edilizio urbano. La tradizionale domanda del medio ceto oggi si ritrova spiazzata dai prezzi, sospinta verso le periferie e le cinture suburbane. Che a loro volta registrano la crescita dei prezzi della domanda delocalizzata.
Come un sasso nell’acqua, che per cerchi concentrici produce onde successive a partire dal centro, lo scossone turistico si propaga.
Non è solo questione di prezzi divenuti inaccessibili. La struttura stessa dei servizi urbani registra il repentino cambiamento che la popolazione turistica ha impresso al mercato dei prodotti tradizionali. E per questo la qualità stessa della vita urbana ne risente pesantemente.
Da un lato è l’impossibile coesistenza, dentro uno stesso stabile, degli storici inquilini con il frenetico andirivieni del turn over turistico che stravolge la vita diurna e notturne dei condomini.
Dall’altro la domanda turistica produce un generale abbassamento della qualità dei beni disponibili.
Pensiamo ai casi di Firenze e Venezia. Entrambe città Unesco. Tessuti storici preziosi, densi e compatti, racchiusi nei cinque e sei chilometri quadrati delle loro rispettive estensioni. Firenze registra un pubblico esercizio di bar o ristorante ogni trentuno abitanti. Venezia, nel sestiere di San Marco, offre un pubblico esercizio ogni venti abitanti. Non è più di città!
La similitudine stessa dei numeri dimostra come questo turismo riproduca ovunque la medesima impronta che stravolge e omologa al ribasso tanto la qualità dei prodotti offerti quanto l’immagine stessa delle città. Il cliché unico commerciale del “mangificio”turistico diffuso che impatta sui plateatici dilagando nello spazio pubblico sottratto all’uso civico.
I protagonisti e la politica
La neonata compagine dei gestori dei fitti brevi, come quella della ristorazione veloce dei daily tripper, accoglie con entusiasmo il cambiamento in nome del liberismo imprenditivo espresso da un’offerta generata dalla domanda. Gli alloggi, presenti a migliaia sulle piattaforme, adottano come gli alberghi i prezzi dinamici per spremere il massimo dalla domanda. La ristorazione assume invece la forma standard dello street food di giornata. Caro prezzo e bassa qualità come regola.
Prende forma l’idea che grazie a questa imprenditiva spontaneità le città divengano il fulcro di una nuova economia che si dichiara trainare un paese in difficoltà. I suoi interpreti come salvatori della patria. In realtà la “produzione” turistica mostra invece l’enorme divaricazione esistente tra l’elevata remunerazione delle rendite immobiliari – di chi possiede o gestisce alloggi o esercizi – e la precarietà dei lavori senza qualifica sottopagati. Soprattuttoextracomunitari.
Qui si inserisce il ruolo della politica, quella degli elettori e degli amministratori.
Ai primi fa gioco richiedere protezione di un liberismo senza regole in nome della piccola impresa individuale che ricorda da vicino la assoluta tutela pretesa dagli storici concessionari delle spiagge demaniali.
Si vorrebbero le città come una ampia prateria di affari immobiliari. La pressione turistica altera i valori residenziali attraendo ogni sorta di investitori. Locali e stranieri. I centri storici visti come redditizi beni rifugio da piazzare sul mercato dell’overturismo privo di limiti. Sullo sfondo l’idea di città come albergo diffuso.
Alle amministrazioni urbane si impone la scelta di una strada. Liberalismo di mercato ad oltranza o tutela della storica identità? Le traiettorie di Firenze e Venezia qui si divaricano.
Firenze e la Toscana provano ad aggredire il monopolio normativo della legislazione turistica nazionale per introdurre forme nuove di regolazione del turismo urbano.
Venezia, e il Veneto, disdegnano invece l’uso delle norme speciali di cui solo Venezia dispone. Il disegno è consolidare un mega distretto turistico costiero al centro nel quale giocare il valore aggiunto del brand Venezia per tutto l’anno. Vero legante di un sistema turistico industrializzato che respinge ogni forma regolazione.
Il servizio fotografico che illustra l’articolo è un reportage di © Andrea Merola sulla pericolosa diffusione, estesa, incontrollata e dissennata, nei plateatici di Venezia, di stufe e di altri mezzi di riscaldamento, col contorno di decorazioni che sono un pugno nell’occhio. Il tutto è un’oltraggiosa offesa alla città più elegante del mondo (g. m.)
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