![Libia. L‘italica furbizia](https://ytali.com/wp-content/uploads/2025/02/1F6C6FF3-157B-49ED-BACF-219DD7C2D9DC.jpeg)
La polvere sta rapidamente posandosi sul caso del generale libico Almasri, fermato brevemente in Italia e poi riportato in gloria a Tripoli. Fra poco ricorderemo a malapena il suo nome o forse ci resterà impressa nella mente qualche battuta del dibattito parlamentare trasmesso in diretta dalla televisione. Dibattito, sia detto per inciso, che ha visto la presenza dei leader di tutti i partiti e dei ministri competenti, ma non quella del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Il Parlamento italiano, in effetti, è stato spettatore di un dibattito intenso, quale non si vedeva da tempo, con interventi oratori di notevole livello che hanno toccato tutte le corde possibili della classica retorica politica, a volte anche con spunti umoristici di grande effetto.
Ma quando il dibattito si è concluso, mi è rimasta una sgradevolissima sensazione e cioè quella di aver visto l’immagine di un paese che conosco bene e che non mi piace. Un paese che evita sempre di affrontare i veri problemi che ha di fronte e che trova più comodo duellare formalmente su aspetti che non ne sono il cuore, ma semmai le conseguenze. Sapendo che tutto passa, tutto sarà dimenticato e che di fatto nulla cambierà: insomma quella che chiamiamo “l’italica furbizia”.
Perché tra le tante cose dette vi è anche quella che il rimpatrio del generale libico è stata una inammissibile incoerenza del nostro paese nei confronti del diritto internazionale e in particolare nei confronti dello statuto della Corte penale internazionale. Ma le cose non stanno così e la verità è sempre scomoda. Lungi dall’essere una prova di incoerenza, il comportamento tenuto dal nostro governo in questa occasione è stata una prova di assoluta coerenza con la politica che senza interruzione perseguiamo nei confronti della Libia da oltre vent’anni.
Una politica che si caratterizza per nostri costanti cedimenti alla controparte libica allo scopo di ottenere benefici di varia natura, in campo politico ed economico e da ultimo sul tema migratorio, che in genere sistematicamente non si verificano.
Nel 1998 l’allora Ministro degli Esteri Lamberto Dini negoziò un accordo – noto come Comunicato congiunto Dini-Mountasser – che stabilizzava i rapporti bilaterali italo-libici e impegnava l’Italia a risarcire alla controparte libica tutti danni causati dall’occupazione coloniale (1911-1943), senza quantificarli. Da notare che Stati colonialisti come Francia o Gran Bretagna non hanno mai accettato di includere nei loro accordi una clausola così formulata, perché foriera di aprire uno scenario di rivendicazioni pressoché infinite. Cosa che in effetti è poi avvenuta tra noi e la Libia.
Nel 2008 il Governo Berlusconi stipulò con il Leader Gheddafi il Trattato di Amicizia e Cooperazione (Trattato di Bengasi), ratificato dal Parlamento italiano il 6 febbraio 2009, con il quale venivano accolte praticamente tutte le richieste libiche, incluso il pagamento di cinque miliardi di dollari come compensazione per l’occupazione coloniale. Lo scopo dell’intesa, di fatto raggiunto, era quello di cedere praticamente su tutto per fare del nostro Paese il punto di riferimento fondamentale per la Libia in tutti i campi.
Non ci piace ricordarlo, ma all’art.4 era sancito il nostro impegno a non concedere in alcun caso l’uso del territorio italiano (leggi basi militari) per atti ostili contro la Libia. Impegno che noi abbiamo violato poco dopo nel marzo 2011 per consentire l’intervento franco-britannico a seguito di una Risoluzione ONU per abbattere Gheddafi.
Perché in effetti, poco dopo la firma dell’accordo, scoppiano le Primavere arabe e la Francia e la Gran Bretagna si accorgono che il leader libico, al potere dal 1969, è un sanguinario dittatore e che è necessario rimuoverlo. Cosa che avviene con un intervento militare, al quale noi veniamo spinti di malavoglia ad aderire perché senza le nostre basi la guerra contro la Libia è più difficile. Un collega diplomatico svedese una volta mi disse scherzando, forse non tanto, che il nostro ingresso nella coalizione anti-Gheddafi è l’unico caso a sua memoria di un Paese che partecipa a un’alleanza diretta contro i suoi stessi interessi.
Dopo la primavera araba e la scomparsa di Gheddafi, la Libia si spezza in due. Noi, se non altro per i nostri precedenti coloniali, dovremmo essere il Paese che meglio conosce la Libia, ma non capiamo bene cosa succede e continuiamo a pensare che sia ancora una sola con capitale Tripoli. Ignoriamo per lungo tempo la Libia di Haftar con capitale Bengasi e poi cerchiamo di rimediare in maniera piuttosto pasticciata. Di fatto la Libia resta divisa in due su una linea di frattura antichissima, la Libia che nell’antichità guardava alla Grecia (la pentapoli greca di cui Berenice, l’attuale Bengasi, era la località più importante) e quella invece che guardava a Occidente. In ogni caso il Trattato di Bengasi resta congelato e ad oggi non sappiamo che fine abbia fatto, certamente non è più applicato.
Ma la storia continua e in epoca più recente noi riduciamo le nostre ambizioni e riconduciamo il rapporto con la Libia ad un unico settore, quello del contrasto all’immigrazione. Il Governo Gentiloni, con Ministro dell’Intero Minniti, nel 2017 stipula un‘intesa con la Libia che a fronte di una serie di concessioni sul piano finanziario e su altri piani mira a limitare i flussi migratori. Risultato che, almeno stando ai numeri, non sembra sia stato raggiunto.
In quell’occasione ci furono anche avvenimenti abbastanza curiosi,se non comici, come la convocazione in Italia nell’aprile del 2017 di sessanta cosiddetti “capotribù” libici ai quali in grande pompa venne chiesta l’adesione all’accordo. Nessuno rilevò che quei “capotribù”libici erano personaggi sostanzialmente della stessa pasta del generale Almasri.
Tutto questo non è avvenuto su Marte, ma è avvenuto nel nostro Paese con il consenso o il silenzio di tutte le forze politiche. E il Parlamento italiano ha ratificato, quasi sempre senza discussione, tutti gli accordi sottoscritti negli anni con la Libia, anche quelli che solo oggi qualcuno inizia timidamente a definire “imbarazzanti”.
Ecco a fronte di tutto questo, io avrei auspicato una discussione parlamentare che chiarisse il ruolo dell’Italia verso la Libia e che dibattesse sull’opportunità di continuare o meno su di una linea di continui cedimenti a fronte di vantaggi che non arrivano mai. E che possibilmente si concludesse con l’approvazione di una Risoluzione parlamentare di indirizzo che impegnasse l’esecutivo sulla strada tracciata.
Insomma qualcosa che contraddicesse per una volta l’italica furbizia, perché come recita un proverbio arabo “la volpe è l’animale più furbo sulla faccia della terra, ma in tutti i mercati si possono trovare pelli di volpe”.
immagine di copertina: © UNICEF/Alessio Romenzi. Migranti in un centro di detenzione libico.
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