![Medea e io. Essere ispirate da rabbia, madri e miti](https://ytali.com/wp-content/uploads/2025/02/Medea-main-artwork-with-TT-646x1024-1.jpg)
Medea è la diavolessa per eccellenza: donna disprezzata, è talmente diabolica da uccidere i propri figli per ripicca con Giasone, il marito adultero.
Potrà sembrare strano, ma è stata mia madre a farmi conoscere Medea. Appassionata di teatro, fin da piccola mi portava a vedere le tragedie classiche. Nel corso dei decenni ho visto Medea, nella versione della tragedia di Euripide, interpretata da grandi attrici come Diana Rigg, Fiona Shaw, Helen McCrory e Sophie Okonedo.
Medea ha finito per affascinarmi. La donna peggiore del mondo, al tempo stesso, un colosso: dominava la scena teatrale di ogni produzione della tragedia con una furia incandescente che sembrava esultante, seducente e vitale. “Soddisfacentemente muscolare” è la descrizione che ne fa di McCrory un critico; “ardente, senza pelle, vivida, straziante”, dice di Okonedo. Per di più, come sottolinea ancora il recensore della Okonedo, Medea possiede il dono del “pensiero critico”.
Spesso le donne abbandonate dagli uomini sono ritratte come vittime: disperate, nevrotiche, impazzite dal dolore, inclini ad atti di autodistruzione. Pensate a Glenn Close che se la prende con il coniglio in Attrazione fatale o ad Antoinette Cosway che dà fuoco alla sua prigione in soffitta mentre il signor Rochester trova l’amore con la mite Jane Eyre.
Ma la furia di Medea, nonostante il suo esito immorale, sembra una risposta razionale all’enormità del tradimento di Giasone.
Parliamo di una donna che ha sacrificato tutto per amore. Sebbene l’opera di Euripide sia ambientata a Corinto, Giasone e Medea si incontrano nella Colchide, un regno sul Mar Nero governato dal padre di Medea, il re Ete. Quando Giasone arriva con il suo equipaggio di Argonauti per rubare il vello d’oro di Ete, è la magia di Medea, si dice che sia una strega, a far sì che ciò accada. Dopo essersi innamorati, i due fuggono insieme a Corinto. Per distrarre il padre dal suo inseguimento, Medea arrivaa a uccidere il fratello.
A Corinto, si stabiliscono e hanno figli. Ma Giasone prende una seconda moglie, la figlia del re di Corinto, Creonte. Per aggiungere al danno la beffa, dice a Medea di averla tradita per il suo bene, poiché questo matrimonio garantirà la sicurezza dell’intera famiglia nella loro nuova terra.
Medea è sconvolta da quello che, in termini moderni, definiremmmo gaslighting. A rendere ancora più penosa la sua condizione, Creonte la bandisce. Teme che userà la sua “oscura conoscenza” per vendicarsi.
Mentre il dramma si sviluppa verso il suo agghiacciante finale, è impossibile non immedesimarsi nell’indignazione di Medea, anche mentre commette il suo crimine atroce. Alla fine, Medea lascia il pubblico diviso, che la trova allo stesso tempo irresistibilmente avvincente e irrimediabilmente malvagia.
La nostra ambivalenza nei confronti di Medea riflette un dilemma più universale sulla rabbia femminile. Ancora oggi, le donne arrabbiate sono demonizzate e punite. Thelma e Louise erano accattivanti, ma ciò non ha impedito loro, alla fine, di morire. Di recente sono rimasta sbalordita dal coraggio e dalla dignità di Gisèle Pelicot, eppure non ho potuto fare a meno di chiedermi se sarebbe stata salutata come un modello femminile se avesse risposto alla violenza inflittale con una risposta altrettanto feroce.
Già, quale donna non ha sperimentato in vita sua momenti di rabbia violenta? Il mio punto di svolta è arrivato un paio di decenni fa. Come Medea, che a Corinto è derisa come una “barbara” perché non è greca, ero una straniera che viveva in una cultura che non era la mia perché avevo seguito il mio compagno lì. Era l’uomo, pensavo, che avrebbe generato i miei figli e mi avrebbe accompagnata nella vecchiaia.
Quando mi ha lasciata, ero stordita dal dolore. Poi la pena ha lasciato il posto alla rabbia; una rabbia ribollente e luminosa che ha invaso la mente e il corpo, annodandomi ossa e tendini, causandomi dolori immaginari e mal di testa paralizzanti.
Notte dopo notte, ho martellato il tapis roulant nella palestra locale nel tentativo di esorcizzare i miei demoni. Ho urlato insulti al mio ex, gli ho scritto e-mail volgari, gli ho urlato contro al telefono.
Erano monologhi, quelle diatribe, che si svolgevano nella mia testa. A dire la verità, ero spaventata dai miei sentimenti: dove mi avrebbero portata se li avessi scatenati? Se confessavo la mia rabbia agli amici, molti si ritraevano imbarazzati. Se piangevo, erano tutti compassionevoli. Perfino mia madre, con cui avevo una relazione complessa ma amorevole, smise di chiamarmi in quel periodo.
Chiaramente, non era giusto ci fosse tanta crudezza in una donna, una tale onestà riguardo alla sua rabbia. Ho imparato a seppellire i miei sentimenti, a sorridere e a dire a tutti che stavo meglio senza di lui.
Alla fine, è diventato vero. Grazie a un bravo terapeuta, a una manciata di amici fantastici che hanno sopportato i miei “anni folli” e alla mia acquisizione, alla fine, di una nuova lingua, è arrivato il momento in cui non mi sono più sentita una zitella sterile in esilio.
Quegli ultimi anni all’estero sono stati tra i miei più felici. Alla soglia dei quarant’anni, ho fatto una scelta consapevole di non avere figli. Il mio stato di solitudine forzata aveva rivelato che la solitudine mi si addiceva. Mi dava tempo: per leggere, scrivere, sognare.
Un bambino, lo sapevo, avrebbe inghiottito quelle preziose ore incustodite. Quando amiche scrittrici sono diventate madri, ho visto con quanta ingegnosità hanno negoziato le richieste del loro tempo. Spesso ci sono riuscite magnificamente, sfornando poesie, articoli e romanzi anche con “la carrozzina in corridoio”. Ma sentivo che mi mancava l’equipaggiamento psichico extra che mi avrebbe permesso di avere tutto. Quando ho deciso di rimanere senza figli, mi sono liberata dal fardello di lunga data delle mie aspettative e di quelle degli altri.
Quando ho visto di nuovo una rappresentazione della Medea, il suo personaggio ha risuonato più forte che mai. Ormai riunita con la mamma, che non aveva mai contestato la mia decisione di non avere figli, abbiamo assistito a uno spettacolo al Rose Theatre di Kingston degli Actors of Dionysus, che hanno usato abilità aeree per dare alla pièce una prospettiva inedita. Mentre Tamsin Shasha, che interpretava Medea, si librava sul palco su sete scarlatte, la furia di Medea le dava letteralmente le ali.
La mia rabbia la sentivo come fallimento, debolezza, una macchia indelebile sulla mia identità di donna civilizzata. L’emozione di Medea era piena d’orgoglio, catartica, trascendente. Le metteva le ali.
A quel punto, ero tornata nel Regno Unito, sistemata con un nuovo compagno con cui condividevo la vita ma non il tetto, facendo tesoro della solitudine che avevo imparato ad amare.
Eppure Medea continuava a perseguitarmi. Dopo aver visto la performance di Shasha, mi sono messa a leggere, per la prima volta, l’opera. Sono rimasta particolarmente colpita da una didascalia. Nella scena finale, Medea appare sul palco su un carro trainato da draghi come fosse un’eroina vittoriosa.
Curiosa del destino di Medea dopo il suo crimine, ho scoperto alcuni miti nati sulla scia del suo trionfante lascito. In uno, è riconosciuta come una dea e trascorre la sua vita ultraterrena nei Campi Elisi dove sposa Achille, l’eroe della guerra di Troia. Narrazione sbalorditiva. Come se il Principe Azzurro fosse finito con la Sorella Brutta. Eppure questi happy ending erano stati cancellati dall’archivio mainstream.
Mentre riflettevo su Medea, mi sono imbattuta in Sette brevi lezioni di fisica, un libro snello del fisico quantistico Carlo Rovelli. A scuola, sbadigliavo alle lezioni di scienze. Ma Rovelli scrive come un poeta, paragonando lo spaziotempo al pizzo veneziano ed evocando Beethoven, Dante e Sant’Agostino per esprimere la strana bellezza del mondo quantistico.
Rovelli mi ha mostrato che sotto la superficie del mio habitat quotidiano si cela una regione nascosta dove tempo e spazio si comportano contro la logica newtoniana, dove tutto è intrecciato con tutto il resto e nulla è fisso o certo.
Rovelli schiva la religione, eppure non è immune dal ricorso al soprannaturale come metafora. Descrive l’entanglement quantistico, ad esempio, come “incantato e sognante”. Arriva a citare la descrizione di Einstein della fisica quantistica come “vera stregoneria”.
Il flirt di Rovelli con la metafora occulta mi ha fornito la chiave per la mia poesia su Medea, in cui cerco di esprimere la sua rabbia come una forma più di liberazione che di cattiveria o disperazione.
Cosa, mi sono detta, se non fosse stata affatto una strega? E se fosse stata una scienziata quantistica ante litteram? Se trascorreva le sue giornate a piegare il tempo e lo spazio nel suo laboratorio, non c’è da stupirsi che fosse temuta come una strega da persone come Creonte.
Ma come giustificare l’omicidio dei suoi stessi figli? Medea, ho ricordato ame stessa, era una figura del mito. É mai esistita una vera Medea?
Di sicuro era da rilevare che i creatori dei suoi miti fossero tutti uomini. A parte Euripide, l’altro testo chiave su di lei è Giasone e gli Argonauti. Il prequel dell’opera di Euripide fu scritto in seguito, nel III secolo a.C., da Apollonio Rodio.
Sia Apollonio sia Euripide sottolineano i poteri di intelligenza di Medea. Apollonio la descrive come “quella furba” e “ragazza [che] sa fermare le stelle”, una descrizione che si accorda meravigliosamente con la mia teoria quantistica. Nell’opera di Euripide, Creonte osserva, a proposito di Medea, che è una donna “irascibile… da cui è più facile guardarsi che da una che è furba e che controlla la lingua”, suggerendo che Medea è in effetti molto più razionale di quanto la faccia apparire la sua rabbia.
E se i miti su Medea funzionassero come racconti di ammonimento? Modi per dissuadere le donne intelligenti dall’affidarsi alla propria capacità e al proprio potere. Le streghe sono state demonizzate nel corso della storia. Donne sagge, con poteri curativi, che spesso vivevano da sole, rappresentavano una minaccia per la società che richiedeva alle donne di essere mogli e madri, sottomesse agli uomini.
Forse la vera Medea non ha mai avuto figli. E se fosse stata una scienziata migrante senza figli? Quanto la renderebbe terrificante?
Guarda cosa succede, sussurrano i narratori maschi, alle donne straniere, intelligenti e indipendenti, passerete alla storia come streghe barbare, assassine e assassine di bambini.
Se gli uomini possono scrivere miti sulle donne, possono anche le donne. Ho deciso di scrivere una versione di Medea in cui ho messo la sua maternità tra parentesi metaforiche. Forse, come le streghe di una volta, come me, la mia Medea ha scelto di non avere figli come via verso la libertà.
Forse la sua rabbia, come la mia, era una specie di prova di ira che le permetteva di trascendere la perdita e, d’altra parte, scoprire modi di vivere più sostanziosi.
La rabbia di Medea, qualunque ne sia stato l’esito, era onesta e vera. In un saggio sulle donne e l’onestà, la poetessa statunitense Adrienne Rich, cantrice di una resistenza femminile radicale, parla del “vuoto” nel ventre psichico di ogni donna.
Il bugiardo teme il vuoto”, scrive Rich. Invece, spiega la poetessa, il vuoto “è creazione, è matrice. Non è solo vacuità e anarchia. Ma nelle donne è stato identificato con mancanza di amore, aridità, sterilità. Siamo spinte a riempire il nostro “vuoto” con i bambini. Non ci è consentito di scendere nell’oscurità del nucleo.
Eppure, se possiamo rischiare, quel qualcosa nato da quel nulla è l’inizio della nostra verità.
Di questi tempi, si parla molto di verità. Quanto è fragile; quanto è messa alla prova ed è precaria. Mentre i nostri politici cercano di convincerci a sostenere il genocidio a Gaza, mentre assistiamo allo smembramento di Roe v Wade, mentre gli imprenditori continuano a trarre profitto dal nostro mondo catastroficamente surriscaldato, milioni di noi sanno che le nostre verità sono cancellate da politiche pubbliche che plasmano il nostro mondo. Intere popolazioni vengono gaslightate. Non c’è da stupirsi che ci sia una nuova furia civica; un concentrato di rabbia, pragmatica e non violenta che sta alimentando la resistenza popolare (manifestazioni, scioperi, boicottaggi) ai sistemi di potere che minacciano il nostro benessere collettivo.
Quando Medea resiste alle bugie degli uomini che desiderano emarginarla e rinnegarla, dice la verità al potere con un’intrepidezza che potrebbe essere un modello per i nostri tempi.
Il mio poema sulla donna peggiore del mondo è scritto dalla mia verità, dal mio vuoto, dalla mia oscurità, la cui misteriosa fecondità capisco a malapena, eppure sto imparando a fidarmi in tempi in cui mi fido di poche di quelle istituzioni in cui un tempo avevo fiducia.
Il poema è per metà una nuova raccolta intitolata Daughter of the Sun. L’altra metà è composta da sonetti scritti su mia madre mentre lottava – ferocemente ma con coraggio, arguzia e amore – contro il cancro che alla fine ce l’avrebbe portata via.
Non so che significhi dire che senza mia madre non avrei mai scoperto Medea né trovato la mia strada verso la libertà, sia come poetessa sia come donna che ha capito che la maternità non faceva per lei. Ma so che la mamma sarebbe divertita e incuriosita dal fatto che le poesie su di lei siano affiancate a quelle sulla non-madre per eccellenza.
L’ultima notte della mamma, ho visto la sua anima volare libera. È stato un momento di catarsi e liberazione. È come passare attraverso il fuoco, ho sussurrato al mio compagno, come se avessi percepito il respiro dei draghi mentre la portavano via.
Emma Press pubblicherà Daughter of the Sun, la seconda raccolta di poesie di Rachel Spence, il 13 febbraio 2025.
Il lancio online di Daughter of the Sun avverrà il 27 febbraio, dalle 19 alle 20, orario inglese. Per prenotarsi cliccare
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Il 13 marzo, alle 19.30, presso la Ludlow Assembly Rooms, in Ludlow, Shropshire, Rachel Spence terrà reading da Daughter of the Sun e una conversazione con il poeta Pele Cox
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