
Abitare a Venezia. Da Marco Polo a Carpaccio, A cura di Paola Piacentino, Testi di Michela Agazzi, Ester Brunet, Stefania Coccato, Marina Niero, Paola Piacentino, 2025, Gambier&Keller, Venezia
Un libro a cinque voci (Michela Agazzi; Paola Placentino; Marina Niero; Stefania Coccato; Esther Brunet), destinato a diventare un classico tra le pubblicazioni di storia urbana medievale veneziana, per l’alto profilo scientifico. Pensato e scritto sulla preziosa scia dei contributi di quel profondo studioso che è stato Wladimiro Dorigo.
Apre il volume Michela Agazzi, VeneVenezia tra Duecento e Trecento. Una città in crescita. Contributo che ripercorre, fonti alla mano, la storia della crescita della civitas Veneciarum. Niente è tralasciato e l’autrice in circa trenta pagine riesce a dar ragione della materia con una precisione encomiabile.
Non c’è ambito che venga trascurato, e si assiste alla crescita dell’assetto urbano, tanto sul versante pubblico quanto su quello privato.
Un paio di esempi per tutti è la costruzione della casa della famiglia di Marco Polo a San Giovanni Crisostomo e l’edificazione del palazzo del doge Francesco Foscari sul Canal Grande tra Rialto e San Marco.
Con successive delibere dello Stato, assistiamo anche alla progressiva trasformazione del bacino di San Marco a massima area portuale della città con l’allestimento della zona della Punta della Dogana e all’ampliamento dell’Arsenale.
Chiude il saggio una interessante disamina delle fonti sulla costruzione di Palazzo Ducale.
Il saggio della Agazzi si presenta come cornice a tutta la pubblicazione, entro cui inserire i contributi seguenti, come quello di Paola Placentino Dalla casa veneziana al palazzo, che, partendo dall’inizio del Duecento, attraverso il Trecento, percorre le modalità costruttive della casa veneziana, da domus a statio a palazzo.
In un contrappunto con il saggio precedente l’autrice parte dalla Venezia arcipelago dell’inizio del Duecento e via via si addentra in un interessante percorso che la scrittura riesce a rendere vivo, soprattutto nelle parti dedicate agli spogli in seguito all’assedio di Costantinopoli (1204), che tra le altre cose portano in città la quadriga coi cavalli che viene collocata sulla facciata della basilica di San Marco e la valutazione del Palazzo ducale che diventa paradigmatico del costruire in città.
Terzo contributo La casa popolare di Marina Niero: interessante apporto che apre la pubblicazione all’abitare nelle domus a segentibus (in affitto, anche se è traduzione limitativa).
Sono spazi che nelle domus sono assegnati a lavoranti (forse all’inizio anche a elementi servili), ma anche affittate. Quindi non solo i proprietari delle domus a stacio, ad esempio artigiani o mercanti, ma anche quel mondo che ruota attorno alle attività economiche e che, nella descrizione di Marina Niero, passa davanti ai nostri occhi e si fa immagine vivida che culmina in due disegni d’epoca su un paio di proprietà alla Giudecca.
L’autrice spazia nelle fonti e ricostruisce una sfaccettata realtà sociale ed economica che rende la Venezia medievale non scontata con una edilizia minore che si aggiunge alle case e ai palazzi signorili, dove il termine domus magna a statio è minimo comun denominatore, tanto delle case patrizie quanto delle case popolari, come la presenza di casae a segentibus.
Queste realtà edilizie si insediano prevalentemente nelle macroaree della Giudecca, Cannaregio e Castello, ma possono sorgere in altri punti della città. Solo verso la fine del Medioevo si sentirà il bisogno di allontanare dall’abitato attività rumorose o inquinanti. E la Niero chiude ricordando come negli anni Trenta del Novecento l’operazione del conte Giuseppe Volpi di Misurata con la costruzione di Marghera sia stato un esempio di spostamento di segentes per alleggerire la pressione demografica sulla città storica e risanare zone degradate.
Quarto contributo Interni veneziani: la casa di Marco degli Inzegneri di Stefania Coccato. L’autrice presenta una analisi sincronica, diversamente dagli studi precedenti che sono diacronici e spaziano nei secoli e entra a piè pari nella casa di un cittadino particolarmente benestante, Marco degli Inzegneri. Probabilmente un terrazziere, se non un imprenditore edile.
Le fonti scelte sono gli inventari dei Procuratori di San Marco che avevano competenza sui lasciti testamentari e compilavano gli inventari con i quali si confronta Stefania Coccato.
Una fonte affascinante nella quale l’attenzione si sposta più sugli oggetti preziosi e d’uso comune che sulla struttura della casa.
Ma con la perizia della studiosa abbiamo l’abitare del 1367 ed è emozionante. Si contano 19 ambienti, vani e pertinenze e gli oggetti raccontano la storia di Marco e le sue abitudini.
Ma nell’inventario di Marco degli Inzegneri non appaiono libri per cui la studiosa supplisce tale assenza grazie alla conoscenza di altri inventari, per dimostrare l’alto livello culturale dell’epoca.
In particolare nell’inventario del doge Lorenzo Celsi (1366) che possedeva una copia della Divina Commedia di Dante con tutte tre le cantiche, o in quello del doge Francesco Dandolo (1341) dove compaiono libri di storia di Venezia, il Digesto e un quaternus statuti navium, ma soprattutto nell’inventario di un artigiano Pietro di Bernadigio (1397) dove tra gli altri si trovano le Epistole e il Vangelo, il libro di Nicodemo, un testo di Catone e i detti dei filosofi.
Si allaccia a questo tipo di studio il contributo che chiude la pubblicazione: Sacro domestico: gli spazi della religione nella casa veneziana del Trecento di Ester Brunet.
La studiosa ricorda che, dal Medioevo all’età moderna, nelle case gli oggetti d’uso, tra cui quelli a carattere devozionale, proliferano.
Dopo aver accennato alla presenza di cappelle private presso gli Este e i Gonzaga in epoca più tarda, in Veneto ricorda la cappella degli Scrovegni a Padova.
E per le pratiche religiose casalinghe, la Brunet cita la Coccato (contributo precedente) e rileva che tra gli inventari non è stato incontrato che un solo caso di altare: quod est in domo mea, dotato di vasi sacri per la messa e appartenuto a Bertuccio da Pesaro.
Ma, se mancano veri e propri altari, dagli inventari emerge la presenza di altari portatili, talvolta veri oggetti di pregio e di valore artistico.
E dopo la presa di Costantinopoli (1204) aumenta la presenza di oggetti devozionali particolarmente preziosi, come i paternostri, collane di materiali preziosi per segnare le preghiere, antesignani dei rosari, che solo in seguito saranno composti di Avemaria.
Ancora di interesse le icone e le ancone che vengono appese anche all’esterno della casa del proprietario, e i libri di preghiere e quelli più in generale di devozione.
Si arriva quindi alla fine del testo dal ricco apparato iconografico con molte cose nuove che, come si diceva all’inizio, arricchiscono il lettore e ancor più lo studioso.
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