
C’è un filo che collega quest’anno i tre festival di performance dal vivo della Biennale di Venezia. Un filo che diventa filigrana e disegna un percorso che si proietta tra ieri e domani, tra filosofia e mistica. Una traccia che annulla e stempera i confini tra teatro, danza e musica “settori” sospinti, al di là di un orizzonte internazionale, verso una dimensione che ambisce a definirsi universale. Un disegno, che interpreta un pensiero, che affiora dai differenti cartelloni preparati da personalità diverse, con competenze dissimili, con storie e formazioni distinte. Eppure – assistendo alla conferenza stampa che a Ca’ Giustinian ha presentato i programmi che per cinque mesi, da fine maggio a fine ottobre, animeranno i palcoscenici della Biennale in Arsenale e numerosi altri spazi della città lagunare e di quella di terraferma – si percepisce il fluire di una sorta di stream of consciousness che scorre da uno all’altro dei tre direttori come una scia che modella i progetti, le parole. E le rispettive visioni della dimensione generativa dell’arte, per usare una definizione del presidente della Biennale, Pietrangelo Buttafuoco.
Proveniente dal mondo del giornalismo, Buttafuoco, scrittore e uomo di cultura con formazione filosofica, guida dallo scorso anno la prestigiosa istituzione veneziana e, fin di primi passi mossi all’interno dell’organismo, si è smarcato nettamente dai suoi predecessori, ritagliandosi un ruolo, in sintonia con la sua storia, di indirizzo contenutistico.
Lo si è intuito già lo scorso anno con la creazione di una corposa rivista fitta di contributi; lo si è capito con la recente invenzione di una “Biennale della parola” inaugurata da una sorta di sacra rappresentazione incentrata sul commento al Vangelo di Giovanni del teologo medioevale Meister Eckhart, e che avrà una importante coda al Salone del libro. Lo si è percepito nitidamente ora con la presentazione dei tre festival.
Rispondendo a una domanda – di Elisa Vaccarino, storica della danza e critica del Quotidiano Nazionale, incuriosita da una certa coincidenza di espressioni e di temi emersa durante la presentazione – la neoresponsabile del settore musica, Caterina Barbieri ha raccontato che non si erano “messi d’accordo” i tre direttori. E che, anzi, aveva appena conosciuto Willem Dafoe (teatro) e Wayne McGregor (danza).
Piuttosto, ha spiegato Barbieri, illuminanti erano stati per lei spunti e suggestioni di Pietrangelo Buttafuoco. Che, verosimilmente, deve aver manifestato la propria profondità visuale anche agli altri direttori artistici.
Un universo interiore, quello del presidente della Biennale, attento alla musica cosmica, sensibile all’ascesi contemporanea, permeato dai legami tra scienza e natura, ma pure tra filosofia e le sconfinate derive dello spirito.
E sono proprio queste le trame che traspaiono, in controluce, nei cartelloni dei festival. A partire da Theatre in Body-Body in Poetry come Willem Dafoe ha intitolato il cinquantatreesimo Festival internazionale di teatro (dal 31 maggio al 15 giugno).
La gente mi conosce come attore cinematografico – ha detto – ma forse non sa che lavoro in teatro da cinquant’anni.
Un festival, il suo, che ruota intorno al corpo, alla poesia e soprattutto al rituale “che non è solo la genesi del teatro, ma anche il suo potere curativo”.
Ho deciso che il programma di quest’anno sarà personale e cercherò di riflettere l’unicità, il potere e l’essenza di ciò che il teatro è per me. Ho deciso espressamente di non andare a cercare spettacoli da presentare, ma piuttosto di esprimere quello che so. Ho voluto invitare persone con cui ho lavorato, che ho ammirato e di cui ho apprezzato il lavoro.
Ed infatti, Dafoe ha indicato per il leone d’oro alla carriera Elizabeth LeCompte, la regista con cui fondò a New York la compagnia Wooster Group che è anche madre di suo figlio. Quello pensato da Dafoe è un viaggio nel teatro tra passato prossimo, presente e futuro; tra personalità e temi di grande spessore, che sconfina nella complessità della mistica. Ed ecco, dunque, apparire nel programma di Dafoe i dervisci che danzeranno verso l’estasi accompagnati dall’Istanbul Historical Turkish Music Ensemble.
Ma la mistica riappare anche nel programma del 19. festival di danza in Songs of the bulbul, che narra un mito della cultura sufi: uno spettacolo ritmico su versi islamici veicolati dalla tradizione Kathak. É un festival particolarmente potente e articolato, forse il cartellone più denso e importante tra quelli del 2025, quello battezzato” Myths Makers da Wayne McGregor. Un festival che comprenderà anche una tappa di The Herds, l’azione di arte pubblica per il clima che tra aprile e agosto porterà dei giganteschi pupazzi di animali in una processione di ventimila chilometri dal bacino del Congo al Circolo polare artico. Il celebre e versatile coreografo, alla Biennale dal 2020, parla di creazione come genesi e come via d’accesso alla trascendenza ma, nel suo programma, si racconta anche il misticismo delle macchine, in una performance sul futuro speculativo di Antony Hamilton. Una performance che affronterà la persistenza della spiritualità, in un’era digitale post-industriale, con sei danzatori armati di esoscheletri robotici.
La mistica sufi emerge anche nel festival di musica (11-25 ottobre) che renderà omaggio a Catherine Christer Hennix (1948-2023) poliedrica compositrice, musicista, matematica svedese – fu tra le altre cose docente di logica al Mit – morta a Istanbul, città che aveva scelto per vivere, dopo essersi convertita all’Islam.
Il festival pensato da Barbieri – La stella dentro è il titolo – si muove tra minimalismo e musica elettronica, con tuffi nella musica antica. Guarda però dritto verso la musica cosmica – che non è un genere o uno stile, ha sottolineato Barbieri – e alla musica come organismo vivente che:
Rispecchia e manifesta la natura nel suo divenire rendendone percettibili i processi di creazione e trasmutazione.
Barbieri, a trentaquattro anni, esordisce come direttore del settore musica, ma non è alla prima Biennale. Sue composizioni sono state presentate in passato all’interno del padiglione francese dei Giardini e lo scorso anno al Padiglione Italia, in cui era ospitata una installazione di Massimo Bartolini.
Il titolo da lei scelto per il 69. Festival di musica contemporanea è una citazione di Clarice Lispector, scrittrice ucraina naturalizzata brasiliana. Ma – e lo ha ricordato Buttafuoco – quel La stella dentro evoca altri astri interiori: quelli dei filosofi Martin Heidegger e Friedrich Nietzsche. E sale subito alla mente una frase del prologo di Così parlò Zarathustra:
Bisogna avere un caos dentro di sé per partorire una stella danzante.
Immagine di copertina: Da X (@la_Biennale): foto della conferenza stampa di Ca’ Giustinian.
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