
English Version – Ytali Global
Il 22 febbraio 2024, il governo italiano ha ratificato il “Protocollo tra il governo della Repubblica italiana e il Consiglio dei ministri della Repubblica d’Albania per il rafforzamento della cooperazione in materia migratoria”, comunemente noto come Accordo Italia-Albania o Memorandum d’Intesa, consentendo la costruzione di controversi centri di detenzione amministrativa nel nord dell’Albania e promuovendo ulteriormente, in tal modo, le pratiche di esternalizzazione della gestione delle migrazioni al di fuori del Paese e della stessa Unione europea. Firmato ufficialmente a Roma il 6 novembre 2023 da Giorgia Meloni e dal Primo Ministro albanese Edi Rama, l’accordo ha sin da allora suscitato forti critiche da parte di esperti legali, accademici e organizzazioni per i diritti umani che hanno costantemente segnalato la mancanza di trasparenza, l’assenza di consultazione pubblica, la violazione della sovranità dell’Albania e le potenziali violazioni dei principi fondamentali dell’UE e del diritto internazionale. Nel frattempo, il trasferimento forzato dei richiedenti asilo sotto un regime extraterritoriale è stato elogiato a fasi alterne dalle istituzioni dell’UE e dai governi nazionali di vari paesi, riflettendo un più ampio interesse nei confronti dell’esternalizzazione delle responsabilità, come testimoniato dall’accordo della Danimarca per l’invio in Kosovo prigionieri condannati o dai piani del governo olandese di deportare i richiedenti asilo in Uganda.
Nonostante l’opposizione da parte di decine di organizzazioni della società civile e le petizioni che chiedevano al governo albanese di ritirarsi dall’accordo, a Tirana la Corte costituzionale ha confermato la validità del Protocollo il 29 gennaio 2024, a seguito di due ricorsi presentati dai parlamentari dell’opposizione. Nel corso del 2024, le strutture previste dal Protocollo sono state rapidamente costruite nelle aree designate situate a Gjadër, un ex sito militare, e nel porto costiero di Shëngjin. Quest’ultimo ospita un centro di identificazione e di prima accoglienza delle domande di asilo sotto la giurisdizione italiana, che riproduce il controverso modello italiano di ‘hotspot’, già condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel marzo 2023 per violazioni dei diritti umani, tra cui pessime condizioni e le espulsioni illegali a Lampedusa.
Nei mesi successivi, le proteste si sono intensificate su entrambe le sponde dell’Adriatico, culminando in manifestazioni al grido di “Il sogno europeo finisce qui” in concomitanza con il primo sbarco della nave militare italiana Libra al porto di Shëngjin il 16 ottobre 2024 con 16 richiedenti asilo a bordo provenienti dal Bangladesh e dall’Egitto. Un ritrovo di carattere transnazionale per denunciare i rischi dell’accordo e per esprimere il dissenso su più ampia scala è stato, inoltre, promosso dalla rete “Network Against Migrant Detention” nei pressi dei centri e a Tirana all’inizio del mese di dicembre 2024.
Fin dall’inizio, l’accordo è stato segnato anche da fallimenti legali e operativi, con tre tentativi costosi e infruttuosi di trasferimento di richiedenti asilo in Albania, l’ultimo dei quali risalente alla fine del mese di gennaio, e ritorno in Italia a distanza di pochissime ore. Il Tribunale di Roma ha bloccato il trasferimento e rifiutando la convalida dei trattenimenti, e la Corte di giustizia europea (CGUE) è pronta a pronunciarsi sulla sua conformità al diritto unionale. In vista della prima udienza del 25 febbraio, abbiamo discusso con Damian Boeselager, membro del Parlamento europeo eletto in Germania alcune questioni chiave relative all’esternalizzazione del diritto di asilo, alla libertà di stampa e alle campagne di sensibilizzazione guidate dalle organizzazioni della società civile. Insieme agli altri tre eurodeputati Anna Strolenberg, Reinier Van Lanschot e Kai Tegethoff, nonché ad altri quattro rappresentanti del partito transnazionale VOLT Europe di cui è co-fondatore, alla fine del mese di novembre Boeselager ha fatto parte della delegazione internazionale che si è data la missione di ispezionare i centri di detenzione dei migranti a Shëngjin e Gjadër. Tala visita si è svolta successivamente ai primi monitoraggi condotti dal un gruppo trasversale di parlamentari italiani dei partiti di opposizione, nonché dopo il fallimento dei primi due tentativi da parte del governo italiano di trasferire richiedenti asilo in Albania ed è stata spinta anche dalle crescenti preoccupazioni relative ai rischi che il modello, pur inefficace, possa essere replicato a livello europeo.
Gli eurodeputati hanno avuto accesso alle strutture sulla base della legislazione italiana, in particolare la cosiddetta “Legge Minniti”, che equipara i centri di detenzione per migranti agli istituti penitenziari, consentendo le ispezioni da parte dei/lle parlamentari italiani/e ed europei/e anche in contesti extraterritoriali come nel caso dell’Albania.
Sulla base della sua esperienza diretta come membro della prima delegazione di europarlamentari che ha avuto accesso ai centri costruiti dal governo italiano sul suolo albanese nell’ambito di un accordo bilaterale, pensa che un singolo governo di uno Stato membro dell’UE sia ancora autorizzato a perseguire tali politiche in un settore in cui le competenze sono in via di consolidamento da decenni, come in questo caso specifico della gestione dei migranti vulnerabili e dei richiedenti asilo?
Penso che sia necessaria una maggiore pressione per porre fine alle politiche inefficaci, disumane e costose perseguite dagli Stati membri. L’accordo Italia-Albania mette a serio rischio il diritto di chiedere asilo, sancito dal diritto internazionale e dell’UE, e lede il diritto all’asilo territoriale. Esternalizzando l’elaborazione delle domande di asilo e la detenzione amministrativa al di fuori dei confini dell’Unione europea, l’accordo potrebbe consentire all’Italia di eludere potenzialmente il diritto internazionale e dell’UE, aggravando ulteriormente le preoccupazioni umanitarie e di protezione dei richiedenti asilo. L’accordo Italia-Albania non dovrebbe diventare un modello per le future politiche di asilo in Europa o per gli “hub di rimpatrio” nel contesto della Direttiva Rimpatri, come rivista, poiché i precedenti tentativi di esternalizzare le politiche migratorie hanno lasciato migliaia di persone a rischio, dimostrando al contempo quanto l’Europa sia vulnerabile alle manipolazioni dei dittatori. Guardando al futuro, i nostri capi di Stato dovrebbero concentrarsi su soluzioni che funzionino davvero, tra cui: (1) la corretta attuazione dell’acquis in materia di asilo e del nuovo Patto sull’asilo e le migrazioni; (2) maggiori investimenti in sistemi nazionali di asilo efficienti, misure di integrazione e meccanismi di regolarizzazione; e (3) anche il corretto funzionamento dei rimpatri.
Perché crede che l’accesso della stampa a questi centri di detenzione sia così limitato? È a conoscenza di iniziative attualmente in corso per replicare, o rafforzare, i precedenti sforzi della società civile per garantire l’accesso a giornalisti e rappresentanti dei media, sulla scia di campagne come quella italiana “LasciateCIEntrare”, la spagnola “CIEs NO” o la campagna europea “Open Access Now”?
Quando abbiamo visitato i centri di Gjadër e Shëngjin con la nostra delegazione VOLT del Parlamento europeo, non abbiamo potuto far entrare insieme a noi nessun giornalista. Siamo stati persino avvicinati da giornalisti albanesi locali che cercavano disperatamente di capire cosa stesse succedendo lì dentro, ma per loro non c’era modo neanche per potersi affacciare. Sembra che il governo italiano preferisca tenere la stampa lontana dai centri. Innanzitutto, questi centri sono stati duramente e giustamente attaccati dall’opposizione in Italia, poiché si sono rivelati uno spreco di denaro, quindi una maggiore attenzione da parte della stampa sarebbe alquanto problematica.
In secondo luogo, c’è stata molta ambiguità riguardo alla costruzione di questi centri. I giornalisti albanesi ci hanno chiesto di aggiornarli sullo stato dei lavori all’interno. Infatti, durante la nostra visita, i lavori erano ancora in corso. Ma nessuno all’esterno sapeva esattamente cosa stesse succedendo. La strategia del governo Meloni è stata proprio quella di evadere la chiarezza. In questo modo, ci saranno meno dubbi quando le cose non andranno in maniera così liscia come vorrebbero far credere agli elettori. Senza sapere se ci siano iniziative attualmente in corso, sostengo l’idea di una campagna a livello europeo per garantire che i media liberi e indipendenti abbiano accesso alle frontiere e ai centri di detenzione.
Da un punto di vista politico, giuridico e istituzionale, quali sono le vostre aspettative in merito alla tanto attesa sentenza della Corte di giustizia dell’Unione europea in seguito ai rinvii del tribunale di Roma?
Mi aspetto che la Corte di giustizia europea confermi la decisione del Tribunale di Roma, pronunciandosi contro un’interpretazione più larga della lista dei ‘paesi terzi sicuri’. Qualsiasi altra decisione della Corte costituirebbe un precedente negativo e indebolirebbe i diritti delle persone richiedenti asilo. Questa decisione in un certo senso “tecnica” potrebbe avere un enorme effetto politico non solo in funzione dell’accordo Italia-Albania, ma anche per l’UE nel suo complesso, evidenziando che se i singoli Stati membri perseguono l’esternalizzazione delle domande di asilo, incontreranno molti ostacoli legali lungo il percorso.
Per il momento, infatti, la futura attuazione del protocollo dipende dalla giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE), organo presso il quale è attualmente in corso lo scrutinio della conformità alle norme e ai principi dell’Unione della prassi italiana che prevede di trasferire i richiedenti asilo nei centri di accoglienza in Albania e l’interpretazione del concetto di “paese terzo sicuro”. Nel turbine delle crescenti tensioni legali e politiche, tra cui l’intenzione del governo italiano di riconvertire i centri in Albania in CPR (Centri di Permanenza per il Rimpatrio), l’Avvocato generale della più alta corte dell’UE in materia di diritto dell’Unione, ovvero la figura di magistrato che assiste tale autorità giudiziaria nello svolgimento delle funzioni previste dai Trattati, sarà chiamato a fornire il proprio parere giuridico non vincolante, ma comunque orientativo, il prossimo 10 aprile, prima della sentenza definitiva prevista tra fine maggio e inizio giugno. La situazione diventa sempre più complicata anche in vista delle elezioni parlamentari che si terranno in Albania il prossimo 11 maggio 2025 e dal futuro allineamento con il nuovo Patto europeo sull’asilo e la migrazione, che entrerà in vigore nel 2026 e potrebbe riconfigurare in maniera significativa le politiche migratorie. Nel frattempo, i centri costruiti dal governo italiano in Albania, nonostante gli ingenti investimenti per lo più a spese dei contribuenti italiani, rimangono in gran parte inattivi, alimentando controversie sul loro potenziale utilizzo alternativo, mentre persistono preoccupazioni sulla loro conformità con il diritto dell’UE e con gli standard internazionali in materia di diritti umani, in particolare per quanto riguarda la detenzione pre-rimpatrio e l’esame tumultuoso relativo alle situazioni di vulnerabilità.
Foto: © Nicolas Lesenfants Ramos, novembre 2024
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