
Dipinto straordinario, la “copertina” di questa nostra conversazione con Paolo del Giudice*, grande pittore dei luoghi della vita, dell’arte e della memoria.
Perché questi paesaggi urbani, infrastrutture contemporanee già sciupate dal tempo, sono tra i temi centrali del tuo lavoro?
Perché li amo e li trovo autentici e veri, in altre parole perché sono belli.
Questo è il vecchio cavalcavia di Treviso, un luogo poetico già di suo. Una volta avevo scritto che andrebbe tutelato e vincolato…
Era un paradosso ma solo in parte: è una struttura povera ma anche complessa per come si snoda nelle varie direzioni, quasi un essere vivente o animale preistorico. Gettata in opera, credo a fine anni Quaranta, senza elementi prefabbricati. E forse è questo che fa la differenza. Sta di fatto che mi ha ispirato decine di quadri in quasi quarant’anni senza mai ripetermi.
E ne farei altrettanti se potessi.
Lo stessa poesia che trovo nelle case popolari, nei camion di ferro arrugginito con ancora tracce di vernice, che è scomparsa dai cassoni di alluminio rivettato che vediamo sfrecciare adesso.
Nelle automobili fino agli anni Settanta e potrei continuare fino alla noia…
Mi diverte constatare quanto alla fine i collezionisti siano calamitati da questi soggetti, tanto quanto le mie amate architetture barocche, romane e veneziane.
E molti amici mi dicono che questi miei dipinti hanno cambiato il loro sguardo sulla realtà…
Cosa volere di più dalla vita?
Scaffali. Librerie. Libri. Ordine e disordine. Spartiti. Archivi…
Relitti
Dipinto di getto una mattina di settembre del 1990. A mezzogiorno l’avevo già fotografato per inserirlo nel catalogo della mia prima grande personale milanese, che doveva inaugurare il 15 del mese successivo.
Senza nessuno studio preparatorio, solo lo stimolo forte che covavo da anni, suggerito da ricordi di archivi cartacei e da un dipinto settecentesco del bolognese Giuseppe Maria Crespi.
Gli scaffali di una libreria con i volumi ordinati e assiepati su quello superiore e, scendendo, sempre più disposti a caso, creando quasi una danza di chiaroscuri e linee diagonali.
In basso zone più luminose con gli spartiti musicali che emergono dal fondo scuro, assieme a un calamaio e a un fascio di penne d’oca.
Non ricordo nemmeno se avevo già visto il quadro originale in qualche mostra a Bologna o solo una riproduzione in bianco e nero, sicuramente quel giorno avevo davanti una fotocopia che ancora conservo.
Non so dire l’emozione che si prova quando un’idea si concretizza sotto i tuoi occhi quasi da sola e senza sforzo, solo concentrazione. Come se non fosse opera tua!
È uno di quei lavori da cui non ho mai voluto e potuto separarmi.
Posso dire che la mia ricerca sul tema della memoria, delle librerie e delle biblioteche, che mi avrebbe lievemente ossessionato nei decenni successivi, fosse già tutta pienamente espressa in questo quadro.
E gli spartiti sparsi disordinatamente vicino a un pianoforte?
Doveva essere un omaggio a Mozart, una mostra collettiva allo Studio Gastaldelli di Milano, in cui ogni artista presentava un nuovo dipinto a luI ispirato.
Mi avevano sempre attratto le varie forme di pianoforte, e i rifessi del nero lucido, ma lo strumento nel Settecento ancora non esisteva.
In compenso ho sentito la leggerezza e la freschezza di mozart in quei toni pastello, in quelle carte leggere e quasi trasparenti.
Fai anche disegni? Acquerelli?
Disegnavo con china e pennino su fogli anche grandi negli anni Settanta, ma erano di studio e supporto per la pittura.
L’acquerello e la tempera solo alle elementari, a dieci anni mi son fatto regalare i colori a olio e a dodici ho iniziato a dipingere dal vero girando con la bici e il cavalletto. Fino ai diciassette anni, al 1969.
Il disegno? In sé non è una necessità, è già intrinseco alla pittura. I disegni a china sono spesso colorati con colori acrilici e ce ne sono tanti di belli e assolutamente inediti perché non li ho mai pubblicati o esposti.
Puoi dirci dei quadri che ritraggono camion, tir, autocisterne, con il loro carico di un’intensa vita vissuta sulla strada?
Artefiera di Bologna è stata la prima del genere in Italia. Ci si andava ancora con la voglia di trovare qualche sorpresa. Era gennaio del 1994 e partii in auto con un amico allergico ai treni, a differenza di me, ostinato e convinto ecologista ante litteram.
Pioveva in autostrada e, in quanto passeggero, estrassi meccanicamente dalla borsa la fotocamera, come facevo da vent’anni. Superando una vecchia autocisterna fui folgorato come sulla via di Damasco, sentii che quello era l’archetipo di un’epoca, la nostra , che ormai aveva fatto il suo tempo ed era il relitto di se stessa.
Fu un viaggio emozionante, come un film e anche più.
Pochi giorni dopo, quella intuizione si era già materializzata in una prima teletta 40×70 e, un mese dopo, su un fondo grigio che attendeva da anni, ecco il quadro che avevo immaginato. Anzi ancora più potente nonostante le medie dimensioni, una tela 100×160, e la magrezza della materia.
Fu naturale da quel momento allargare la ricerca a tutto un mondo legato al petrolio e ai mezzi di traporto pesante, dalle prue delle navi, ai camion, ai tir…
Col passare degli anni sono sempre piu numerosi quelli che mi confidano che i miei dipinti hanno aperto i loro occhi sulla realtà, che adesso vedono con sguardi nuovi
Ogni tema che ti ha ispirato ha un quid particolare, direi unico, nella tua traduzione pittorica. Penso appunto ai quadri con i camion… la littorina… Quando li vedi dal vivo, questi tuoi dipinti, nel tuo studio o in una galleria, hanno un impatto incredibile, che perfino nella loro riproduzione in catalogo mantengono. Penso anche ai ritratti. Adoro quello di Franz Kafka.
Io li chiamo volti e non ritratti, il termine lo riservo a quelli realizzati dal vivo davanti al soggetto, in un confronto / dialogo serrato con lui…
Nel 1971, finito il liceo scientifico mi sono concesso un anno sabbatico da dedicare, oltre che alla pittura, ai viaggi, ai musei e a divorare i giganti della letteratura che nei programmi autarchici della scuola non erano nemmeno accennati. I primi furono Joyce e Kafka. Il secondo aveva già un cognome da brivido e da mistero che ritrovavo nelle rare foto del volto scarno accentuato dalle orecchie larghe.
E furono entrambi tra i primi soggetti che mi stimolarono quando, dal 1988, iniziai a immergermi nel tema dei volti. Di Kafka feci una piccola tavoletta quadrata, talmente intensa che mi parve impossibile fare di meglio. E presto la regalai a Carmen, anche perché restasse in famiglia. Un secondo tentativo, una tela alta e stretta, anche troppo grande, non mi convinse e rimase per anni ad attendere nelle mie rastrelliere, come molte altre. Ma in quel magico inverno del 1994, cercando dei formati allungati per i mezzi di trasporto che mi avevano folgorato, la ritrovai e, posata in orizzontale, intravidi la motrice arrotondata di una vecchia littorina nella sagoma della testa sacra dello scrittore…
La si scorge ancora ruotando il quadro di novanta gradi.
La pittura vive anche di queste sorprese. Pare che Kandinskij si sia immerso nell’astrazione da quando, nella luce del crepuscolo, scoperse nuovi mondi in suo dipinto, ancora con echi di paesaggio, posato capovolto sul pavimento dello studio.
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1. La Salute oltremare, 2021, olio su tavola, 50×50; 2. La Salute, 1993, olio su tela, 200×145; 3. La Salute nera, I997, olio su tavola, 50×40
Hai lavorato molto a Venezia, che figura in tanti tuoi quadri. Penso alle varie volte in cui hai dipinto la Basilica della Salute.
Dico spesso, con una delle mie uscite paradossali, che potrei dipingere la Basilica della Salute per il resto della vita, senza sentirmi limitato o ingabbiato. Come gli artisti fino al Quattrocento e oltre, che dovevano sentirsi assolutamente liberi dipingendo quasi solo Madonne con Bambino e santi, creando nondimeno capolavori sempre nuovi anche all’interno di schemi obbligati.
Il primo quadro ispirato alla Salute, che resta uno dei più interessanti, lo dipinsi a vent’anni, basandomi solo sul ricordo. Un grande notturno, quasi un archetipo, testimone di un precoce amore per il Barocco e mai esposto da allora.
Mi ci vollero più di due decenni per tornare sul tema e mi fu di stimolo il mio gallerista milanese Pino Gastaldelli, anzi quasi mi costrinse: “ma come fa un veneto, con la tua mano felice, a non dipingere Venezia?” Che fino ad allora per me era rimasta un tabù, convinto che non ci fosse niente da aggiungere all’iconografia della città più rappresentata al mondo.
Mi sembrava che perfino Monet non avesse dato il meglio, poi c’era quel gotico fiorito troppo esotico e che sapeva di oriente e di orientalismo, di pittoresco, cioè il contrario di quello che volevo trasmettere.
I primi risultati, e i più sorprendenti, li vidi proprio nei dipinti della Madonna della Salute, tanto da farmi scrivere nell’introduzione al catalogo: “…Ho intravisto un primo risultato nel quadro chiarissimo con l’immagine larvata e quasi trasparente della Chiesa della Salute. Questa montagna dolomitica sull’acqua, la creazione più straordinaria del Barocco, la più complessa e la più leggera, meritava un intero ciclo…”. Non sapevo quanto sarebbero state profetiche queste parole.
Ma perché tornare periodicamente su un tema già sviscerato decine e decine di volte e con lo stesso o maggiore entusiasmo della prima? In questo caso si può dire che il soggetto è talmente magico e mutevole, basta pensare a come la cupola s’innalza in modo incredibile man mano che ci si allontana, un’architettura che sembra disfarsi nella luce e nell’aria, pronta a trasformarsi in pittura.
Ma, in generale, la vera risposta credo sia tutta nell’idea forte che ho in mente, al limite dell’ossessione, a cui il dipinto realizzato può solo tentare di avvicinarsi. E quello migliore resta quasi sempre nella mia testa…
Anni fa ho provato una insolita emozione entrando, in una mattinata tersa, nella chiesa degli Scalzi a Venezia.
Il primo impatto è stato il buio, poi, un po’ alla volta, mi è apparso un mondo di altari, nicchie e colonne tortili assolutamente magico, forse più magico che sacro.
Ho sentito una totale e immediata sintonia con quei chiaroscuri.
Qualche tempo dopo ho avuto una sorpresa maggiore quando, dopo avervi più volte gironzolato attorno, ho trovato un varco nella recinzione delle dismesse fonderie Zamberlan.
(Le ricordavo bene perchè, pochi anni prima, avevo tentato di fotografare quel centinaio di operai che, neri come minatori, a fine giornata attraversavano la strada per andare nei bagni e negli spogliatoi).
Fuori continuava la vita normale della prima periferia, dentro scoprivo un mondo nuovo, intenso, grondante decenni di vissuto, ormai in via di disfacimento.
Non avevo mai visto niente di cosi forte, di cosi sacro, forse di cosi bello. Infinitamente più bello dell’ambiente esterno.
Ci sono tornato ancora e ho scoperto nuovi microcosmi nei macchinari obsoleti, nelle buche, nei mucchi di detriti, negli spogliatoi, negli armadietti, nei bagni, negli archivi cartacei.Come un ladro ho rubato immagini, come un tombarolo ho frugato negli angoli nascosti.In una pozzanghera nero azzurrognola di nafta o catrame, scorie di fusione, pietre refrattarie e una scatola bordata di rosso formavano un arcipelago o un guado.
Ho visto nuove archeologie, nature morte rigorose come dipinti di Morandi, che chiedevano sottovoce di continuare a vivere.
Adesso che le ruspe hanno spazzato via tutto e stanno scavando nuove fondamenta, la pittura fa rivivere le immagini che il tombarolo aveva carpito…
Da allora, rischiando spesso brutti incontri, ho cercato luoghi simili esplorando in bicicletta le periferie di città come Roma, Milano, Torino o Berlino. Ma quelle prime tracce fotografiche, a distanza di decenni, continuano a emozionarmi e restano uno degli stimoli più forti e necessari al mio lavoro.
[Dal testo introduttivo del catalogo della mostra “Archeologie”, galleria Avida Dollars, Milano, autunno 1990]
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1. La fonte, 1988, olio su tela, 115×115; 2. La mensola, 1988, olio su tavola, 70×50; 3. Il guado,
1990, olio su tela, 200×120
Hai mai ritratto te stesso?
Nel 1968.
A Paolo del Giudice dedichiamo una poesia di Jorge Luis Borges,
Le cose:
Le monete, il bastone, il portachiavi,
la pronta serratura, i tardi appunti
che non potranno leggere i miei scarsi
giorni, le carte da gioco e la scacchiera,
un libro e tra le pagine appassita
la viola, monumento d’una sera
di certo inobliabile e obliata,
il rosso specchio a occidente in cui arde
illusoria un’aurora. Quante cose,
atlanti, lime, soglie, coppe, chiodi,
ci servono come taciti schiavi,
senza sguardo, stranamente segrete!
Dureranno piú in là del nostro oblio;
non sapran mai che ce ne siamo andati.
*PAOLO DEL GIUDICE
Nato a Treviso nel 1952, vive e lavora tra la casa in città e lo studio ai piedi del vicino Montello. Il suo apprendistato si è svolto tra i dieci e i sedici anni dipingendo dal vero nel paesaggio.
Dal 1968 inizia a lavorare in studio, spostando il suo interesse sulla figura umana affrontata in chiave espressionista. Elabora in pochi anni un linguaggio già autonomo, tanto da conseguire, nel 1970, il primo premio alla X edizione della prestigiosa Biennale Triveneta d’Arte di Cittadella.
Nel ’71 si diploma al Liceo Scientifico e, dopo un anno di transizione alla facoltà di Lettere e Filosofia, si iscrive senza entusiasmo all’Accademia di Belle Arti di Venezia. Vi incontra artisti come Viani, Bacci, Vedova e partecipa alle iniziative della Fondazione Bevilacqua la Masa, che lo vedranno coinvolto nel decennio seguente con esposizioni personali e di gruppo in Italia e all’estero, col conseguimento di vari premi acquisto nelle rassegne annuali della Fondazione.
Il clima socio culturale del momento lo porta ad accantonare la pura pittura per una autonoma ricerca multimediale (assemblaggio di reperti fotografici della vita quotidiana manipolati con il mezzo serigrafico e il successivo intervento pittorico) che lascerà una traccia profonda nel rapporto, d’ora in poi ineludibile, tra il suo linguaggio e la fotografia. Il ritorno alla libertà della pittura è segnato dalla realizzazione di due grandi dipinti murali sulle facciate esterne di edifici pubblici a Venezia e Marghera nel biennio 1982/83.
Espone a Venezia con continuità alla Galleria Santo Stefano e alla Galleria La Fenice.
Negli anni successivi tralascia gradualmente il tema della figura umana, divenuto ormai ossessivo, iniziando quell’indagine sui luoghi della vita, dell’arte e della memoria che lo vede coinvolto tuttora. Se ne vedono i primi risultati nella rassegna di Oggetti alla Galleria Avida Dollars di Milano nel 1985 e nei grandi altari veneziani esposti l’anno successivo all’Attico di Roma nella rassegna Tre su mille: tre artisti scelti da Sargentini. Nella stessa sede è presente nel ’90 con un’ampia personale di Ritratti dove il tema dell’uomo riaffiora nei volti “sacri” di artisti e poeti. Sempre nel ’90 presenta a Milano, nei nuovi spazi alla Galleria Avida Dollars, una scelta di lavori del quinquennio precedente dal ciclo Archeologie, dove, accanto ai fantasmi dell’arte passata, soprattutto barocca, rivivono le tracce e i relitti della realtà umana e urbana contemporanea.
Nel 1991 inizia la collaborazione con lo Studio Gastaldelli di Milano. Tra le varie personali Interni (1992) e Venezia: tentativi di immersione (1993) primo confronto organico con la città lagunare; d’apres (1999), esplicito affondo nella storia dell’arte con la rivisitazione di un’ideale galleria di dipinti. Negli stessi anni è presente nell’ambito regionale del Nord est con varie personali a tema, sino all’ampia retrospettiva Dieci anni di pittura nelle sale di Villa Brandolini a Pieve di Soligo (2000).
Nel 2002 realizza la spettacolare esposizione Biblion nel Salone Abbaziale di Sesto al Reghena: un omaggio al libro, alla carta e alla parola scritta, un’apparizione a brandelli di antiche biblioteche. Seguono le personali milanesi Elogio della pittura (2002) ancora allo Studio Gastaldelli e, l’anno successivo, Architetture dell’anima nello Spazio Ta Matete; Pagine Nere (2003) all’Attico di Roma; Il sentimento dell’arte (2004) a Palazzo Isolani a Bologna; Paesaggi urbani (2005) nella sala Claudia Augusta dei Palazzetti Cingolani, Feltre; Percezioni di paesaggio presso Ghiggini Arte Contemporanea, Varese (2005); Forza motrice (2005) nell’Hangar ATAC di Piazzale Prenestino, Roma.
Nel 2006 presenta Pier Paolo Pasolini: volti 1988 – 2005, nel Palazzo Ducale di Mantova, un ventennale ciclo di dipinti ispirati all’icona del poeta.
Nel biennio 2006-2007 realizza un importante ciclo espositivo dal titolo Viaggio in Italia corredato da un ampio catalogo che sintetizza vent’anni di ricerca e ripercorre visivamente aspetti contrapposti della cultura e della vita del Paese, con tre grandi rassegne nella Galleria Civica d’Arte Moderna di Palazzo Collicola a Spoleto e nella Torre Massimiliana dell’Isola di Sant’Erasmo a Venezia nel 2006; nelle sale di Palazzo Agostinelli a Bassano del Grappa nel 2007, con la retrospettiva I luoghi del sacro.
Sempre nel 2007 tiene una importante mostra antologica dal titolo Pietas Mundi alla Galleria Sagittaria nell’ambito del Centro di Iniziative Culturali di Pordenone.
Nella primavera del 2008 riprende il Viaggio in Italia con una vasta esposizione nella Galleria di Palazzo Dolmabahçe, a Istanbul, nel complesso dell’ultima residenza dei sultani sulle rive del Bosforo.
Nel 2008 realizza per il Comune di Feltre due grandi dipinti da inserire nel rinnovato complesso turistico museale della Galleria Romita.
Da settembre 2008 inizia Memorie di carta, un altro percorso biennale con sei appuntamenti in ambito nazionale su una vasta tematica dalla carta, al libro, alle biblioteche, ai volti di scrittori e poeti da lui amati. Le sedi delle mostre, nel 2008, sono: la Biblioteca Statale Isontina di Gorizia, la casa Colussi, sede del Centro Studi Pier Paolo Pasolini, a Casarsa della Delizia e la Biblioteca Angelica di Roma. Nel 2009 la rassegna prosegue nella Chiesa di Sant’Antonio Abate presso l’Arcivescovado di Udine, nella Sacrestia della S.S. Trinità, nel complesso dell’Archivio di Stato di Mantova e presso la Galleria Libreria Einaudi della stessa città, con cui inizia un’intensa collaborazione, e termina nel Museo della Carale Accattino di Ivrea. Nello stesso anno partecipa alla rassegna Italia dipinta nell’ambito dell’attività dell’università IULM a Milano.
Nel 2010 inaugura lo spazio espositivo della nuova biblioteca civica di Pordenone con la mostra Post scripta, scrittori e poeti tra Veneto e Friuli. È presente nella rassegna itinerante Collezione 7×11, la poesia degli artisti e realizza la grande esposizione Verde rame nell’edificio dei forni fusori delle miniere di rame di Valle Imperina (BL).
Nel 2011 è invitato alla sezione veneta del Padiglione Italia della Biennale di Venezia, nella sede di Villa Contarini a Piazzola sul Brenta. Dedica l’intero anno alla realizzazione dell’evento Percorsi dipinti – sguardi quotidiani su Treviso, un omaggio alla sua città in nove sedi del centro storico, tra chiese, musei e spazi pubblici.
Nel 2012 partecipa, a Roma, alla mostra Montaggio delle attrazioni all’Attico di Fabio Sargentini. Realizza Sfogliare volti, in più sedi nel centro storico di Feltre, per l’apertura del nuovo polo bibliotecario della città. Organizza una memorabile esposizione tra le nude strutture metalliche dell’ex Macello di Padova, un’immersione totale nel lavoro degli ultimi tre decenni.
Nel 2013 Poeti e romanzieri al Quartiere Latino Libri di Conegliano.
Nel 2015 Incontro ad arte nel complesso dell’ex convento di San Francesco a Pordenone.
Nel 2016 la rassegna Angeli e rovine, che conclude la quarantennale attività della Galleria Einaudi di Mantova.
Nell’estate del 2017 con la mostra Inseguire Venezia – dipinti 1969-2017, al Centro Culturale Bafile di Caorle, riunisce il meglio di quanto realizzato nel confronto con la città e ancor più con la sua immagine stratificata nei secoli.
Nell’autunno dello stesso anno Angeli e camion, ampia retrospettiva negli spazi di Villa Brandolini a Pieve di Soligo.
Nel 2018 la grande rassegna “Grande Guerra – volti, momenti, relitti” nel Forte Mezzacapo di Zelarino, nell’entroterra veneziano, e nel Museo della Battaglia a Vittorio Veneto. Ripresa nel 2021 alla Galleria Sagittaria di Pordenone.
Sempre nel 2021 “Terre d’acqua” al Museo del Paesaggio di Torre di Mosto (Ve) e “Per grazia ricevuta” alla Galleria dell’Eremo di Rua di Feletto (Tv)
Nel 2022 ” Nello specchio dei volti, dipinti dal 1986 al 2022 “, alla Galleria Sagittaria di Pordenone e nell’Abbazia di Sesto al Reghena (Pn)
DAL SITO WEB DI PAOLO DEL GIUDICE
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