
Nel Libro dell’ansia (Book Editore, 2024) Alberto Bertoni coniuga la sua scrittura poetica – Ricordi di Alzheimer (quarta e ultima edizione) – a un’opera di traduzione del poema di Auden – L’epoca dell’ansia in una Libera versione e adattamento dell’«ecloga barocca» The Age of Anxiety. A Baroque Eclogue di Wystan H. Auden.
Nel volume, l’ansia è la forza propulsiva e impulsiva che spinge l’uomo a sperimentare il viaggio verso l’altrove. In Ricordi di Alzheimer, l’autore attua tale transizione attraverso la poesia, recuperando una dimensione spirituale, metafisica e di contatto col padre deceduto. «La poesia ha per me una funzione di percezione molto alta e molto altra […] mi porta nella dimensione metafisica. Io credo che ogni vera poesia sia anche un piccolo trasferimento, una piccola trasformazione da ciò che è molto fisico, concreto, quasi cronistico, ad una dimensione metafisica che sta al di là di ciò che si vede, come diceva Montale», scrive Bertoni in un’intervista rilasciata a “Il Cubo”, rivista on line del Circolo Università di Bologna.
All‘ansia da impotenza e disperazione a fronte della malattia del padre, si accoda quella percepita nei dialoghi tra i personaggi di L’epoca dell’ansia, come incertezza circa il destino del mondo, tradotta in alienazione e disillusione esistenziale, prima che sociale. «Il poema […] è davvero un’ecloga barocca composta nel cuore del Novecento, vale a dire un poema strutturato drammaticamente, fra dialoghi e soliloqui, la cui declinazione pastorale […] rimanda di volta in volta a effetti metapoetici e/o a interrogativi pressanti sulle cose ultime della nostra esistenza umana e terrena» (p. 90). La sua dimensione dialogica riassume la poliedrica visione dell’uomo-poeta che, attraverso la narrazione delle diverse esperienze, realizza che il sogno di salvezza, imprescindibile peculiarità dell’ecloga, è una condizione inafferrabile. I quattro protagonisti – Quant, Malin, Emble e Rosetta – si ritrovano, in tempo di guerra, in un bar di Manhattan. I soliloqui davanti al bicchiere – complice la mediazione della radio, dei messaggi pubblicitari, del juke box – lasciano il posto a un’interazione dialogica: decidono di appartarsi per conversare meglio, trasformando le solitudini nell’esperienza visionaria e corale del viaggio delle sette età. Cercando altrove «lo stato di preistorica felicità», si crea tra i quattro una «comunicazione di pensieri e sentimenti tanto accurata e istantanea» che pare agiscano come un singolo organismo (p. 147). Durante il viaggio verso la settima tappa «il mondo al quale si sono sottratti mettendosi in viaggio si erge davanti a loro, come se per tutto quel tempo fosse rimasto lì in agguato, aspettando solo il momento peggiore per riapparire ai fuggitivi in tutta la maestà della sua furia ininterrotta» (p. 186).
Anche l’idea di tradurre l’opera di Auden nasce in un tempo di forte ansia sociale: nel 2020 durante il primo lockdown, a seguito di pandemia di CoViD-19,Bertoni decide di rileggere «il poema noto in italiano come L’età dell’ansia (The Age of Anxiety. A Baroque Eclogue) e di tradurlo partendo dall’edizione critica curata e introdotta da Alan Jacobs».
Ricordi di Alzheimer, invece, con un testo di Francesco Guccini, è pubblicato per la prima volta nel 2008 (Book Editore). Integrato nel 2012, riproposto nel 2016 con una nota di Milo De Angelis, si arricchisce nel Libro dell’ansia (sezione Post Scriptum), di un nuovo testo scritto a Varsavia nel 2023 a chiudere il travagliato capitolo umano e poetico di Alberto, figlio di Gilberto Bertoni: una vita da operaio nella Ferrari di Maranello, la passione per le auto e il calcio, una diagnosi di Alzheimer nel 1997 e un infarto che gli fu fatale nel 2006.
di Alberto Bertoni
Book Editore, 2024
Prezzo: Euro 20,00
A Varsavia il cerchio si chiude: è «placata finalmente l’ansia / che da tempo attanaglia / ogni movenza» del corpo, che non dà tregua (p. 82). L’ansia che ha provato l’autore quando, nel 1997, riaccompagnando per un tratto suo padre verso casa, si sente da lui chiedere: «per andare a casa, giro di qua e poi di là?», che lo soffoca durante la malattia del genitore – dal quale, a un certo punto, non viene più riconosciuto –, ma che si attenua a passeggio di domenica «soli dopo anni / a fare due chiacchiere coi cani, / gli uccellini, gli infanti» (p.56).
Ricordi di Alzheimer si apre con Il commiato, che funge da spartiacque tra l‘occasione poetica e la sua traduzione in versi: il poeta inizia a scrivere poesia sulla malattia del padre, dopo la sua scomparsa. Diciotto piccole quartine che, come schegge, feriscono il lettore nel racconto dei momenti che precedono e che seguono il commiato alla vita di Gilberto. L’addio, tuttavia, non arriva all’improvviso quel cinque gennaio 2006, ma avviene per sfilacciamento della memoria. Il padre non riconoscerà più suo figlio: affacciandosi ogni tanto dove dorme, piegandosi sul suo sogno, scorgerà nel suo volto «Il vicino, suo cugino, un amico» (p. 63).
Se il poema di Auden evoca le atmosfere introspettive di Nighthawks di E. Hopper, la storia di Gilberto è narrabile simbolicamente attraverso il dipinto La persistenza della memoria di S. Dalí, che estrinseca la contrapposizione tra persistenza, durezza del paesaggio, che resta lo stesso, e mollezza degli orologi, come perdita di stabilità temporale e cognitiva. Gilberto è l’occhio che si chiude al mondo, incapace di avere piena percezione del tempo e della sua esistenza.
In Ricordi di Alzheimer, nel transito verso un altro e un altrove, l’ansia dialoga con la metamorfosi, ordito su cui si intesse anche la trama di L’epoca dell’ansia,un’opera «ambiziosa sul piano filosofico e argomentativo, quanto sofisticata sotto il profilo metrico» (così asseriva Magrelli nell’introduzione al volume edito da “Il melangolo”, Camaleauden,riconfermando il concetto, espresso da Montale, di camaleontismo della scrittura audeniana). La metamorfosi interessa anche la poetica di Bertoni, precedentemente disancorata forse da una precisa occasione: la malattia di suo padre diventa la molla inspiegabile, il clic esistenziale che, non solo lo spingerà a un’opera monografica, ma gli permetterà di maturare l’esperienza letteraria e umana necessaria per scrivere davvero poesia. Le riflessioni su metamorfosi e altrove si esprimono sul piano metapoetico, potendo riconoscere alla parola poetica la capacità di guidare, come scrive P. Florenskij in Il valore magico della parola, «lo spirito al di là dei confini della soggettività», mettendolo in contatto «con il mondo che si trova oltre i nostri stati psichici».
Il profondo cambiamento a cui è esposto il malato coinvolge anche chi se ne prende cura. Nelle patologie mentali, il familiare coinvolto subisce l’impotenza di fronte all’invisibile, un altrove che irrompe nel reale e con cui occorre imparare a dialogare. L’Alzheimer inevitabilmente trasforma anche il rapporto tra Gilberto e suo figlio che, come Gregor in La metamorfosi di Kafka, si sveglia di colpo «scarafaggio – nero, schiacciato, la corazza acerba al posto delle ali»,.
Kafka, eponimo della seconda sezione, s’insinua nella stessa con due testi d’indubbia originalità. Il primo introduce un elemento nuovo nella poetica di Alberto Bertoni: il dialetto modenese, che egli considera da sempre «come una lingua straniera». Dai racconti dell’autore, la mamma, insegnante, ne impediva a chiunque l’utilizzo tra le mura domestiche, tant’è che Gilberto aveva una doppia vita linguistica: a casa l’italiano, il dialetto con i suoi amici della pallavolo e alla Ferrari. Con la malattia, Gilberto dimentica anche la regola di casa e, non riconoscendo l’interlocutore, si lascia andare anche con suo figlio alla lingua primordiale dell’infanzia e della passione sportiva del Fúdbal. Bertoni non elide questo cambiamento e inserisce interi testi o inserti dialogici in dialetto modenese.
Nel ricostruire qualche passaggio della vita del padre e renderne testimonianza, Alberto torna «ai dettagli, allora / ai nomi delle strade / che uno a uno fin da piccolino» era costretto a sillabare (p. 28), nomina e riporta alla luce il vecchio gioco del frullo (p. 25), inizia a costruire una relazione con lui, partendo dalla memoria e dagli interessi comuni. Fúdbal è il titolo della terza sezione che racchiude testimonianze poetiche della passione calcistica di Gilberto in una Modena descritta anche attraverso elementi architettonici e sociali di fascistizzazione dei luoghi. Attingendo dalla riserva di ricordi accumulati grazie alla condivisione della passione con il padre, srotola versi sul calcio (p. 43), costruendo un dialogo col genitore che, con discreta disinvoltura chiacchiera chiacchiera e càpita che segua «con vero trasporto l’azione / e senza perdono […] / accoglie il giocatore nuovo» (p. 36).
La metamorfosi kafkiana si riaffaccia spudoratamente nella quarta sezione intitolata Larve. In Ricordi di Alzheimer la larva è l’Alzheimer – una malombra che irrompe nella vita di Gilberto e la cui metamorfosi lo porterà «entro Natale […] a perdere senz’altro / la competenza dei gesti / e subito, velocemente / ogni controllo di funzione» (p. 51) –, ma simboleggia anche la condizione di alienazione, da un mondo che non si comprende, fatta di «insonnia, solitudine, silenzio / e tutto l’invisibile mondo / che riabitiamo dentro» (p. 61).
L’Alzheimer porta scompiglio psicofisico anche nel figlio quando, sui varchi aperti dai deliri del padre, si confronta con visioni spettrali: «una mummia che singhiozza» (p. 48), «la visione del tiglio / popolato di zombie» (p. 47), «una faccia / tutta rigata di pioggia». I morti con cui chiacchiera Gilberto, «Fisionomie schizzate in poche / macchie di colore» che diventano nella notte lucide visioni, si manifestano anche all’autore come «voci che tornano ogni tanto […] / mentre scricchiola l’aria» (p. 46). Il ventaglio linguistico di Bertoni viene così arricchito di nuovi ingredienti metafisici, sublimi in senso kantiano, fino a fargli partorire «una larva / dal polso […] / chissà dove incubata, chissà quando» della quale si prende cura, fino a desiderarne e provocarne la morte con la pressione di due dita».
Gisberto è l’inciampo linguistico dell’autore che dà il titolo alla penultima sezione e il cui testo di chiusura svela il lapsus di Dio: il sacerdote, per tutto il sermone, chiama Gilberto con un nome non suo: e «se in principio era il Verbo / oggi mio padre non è / morto davvero», scrive l’autore (p. 73). Non vi sono ancoraggi religiosi, nemmeno nei versi di forte disperazione; anzi, nell’ultimo testo a p. 82, l’autore esprime quasi un fastidio nel constatare che a Varsavia ci sono «Troppe chiese». Esplorando la malattia nella sua concretezza e nelle sue difficoltà quotidiane, Bertoni pratica una poesia laica, trovando, tuttavia, conforto spirituale nel suo esercizio, negli «occhi / sciolti d’amore, acquosi» di suo padre (p. 56), e riconoscendo nell‘amore e nel «modo che abbiamo di guardarlo / l’unica strada per la verità» (p. 76).
In Post Scriptum la dimensione diviene sociale: le singole esperienze, ripetute su larga scala, si traducono, di fatto, in un fenomeno collettivo. Malattia (in Ricordi di Alzheimer) e disturbo dell’ansia (in L’epoca dell’ansia), inizialmente connotate come esperienze private e individuali, si traducono così anche in un fenomeno letterario. Etichettare Ricordi di Alzheimer come un libro che narra l’esperienza della malattia, non ne esaurisce le potenzialità, perché tutte le esperienze di vita dolorose acquisiscono significato nell‘amore, una chiave interpretativa importante nella poetica di Bertoni. L’amore uccide ciò che siamo stati affinché si possa diventare altro. Il concetto di rinascita passa attraverso la morte simbolica della larva, evocando la forza metamorfica dell’amore, capace di resistere e rinnovarsi dopo il lutto o l’evento di rottura. Bertoni uccide la sua incapacità di relazionarsi con il padre e si trasmuta umanamente e poeticamente: l’amore effuso nella costruzione del dialogo con Gilberto diviene l’unica strada per la verità.
Se in Ricordi di Alzheimer l’amore è il distillato che dà significato alla fatica della metamorfosi, in L’epoca dell’ansia, il sentimento amoroso che affiora dalle parole di Rosetta è uno degli approcci scelti da Auden per intraprendere il viaggio delle sette età, assieme alle altre tre personalità junghiane: intuizione (Quant), fisicità (Emble), pensiero (Malin).
Tutto il viaggio di L’epoca dell’ansia, è attraversato dall’amore tra Rosetta ed Emble, seppure, corrotto dalla disillusione condivisa, sia destinato a spegnersi. Invocata Venere celeste (p. 201), i due si abbandonano ad abbracci, baci e voti pronunciati reciprocamente. Accompagnati Malin e Quant all’ascensore, Rosetta torna in camera, ma «Cieco sul letto nuziale, lo sposo russa, / troppo fuori per l’amore» (p. 212). Intanto, sulla strada Malin e Quant si salutano, consapevoli che non si vedranno più. Così, l‘amore oggettivo di Auden non vince nel senso tradizionale del termine – il poema finisce con un anticlimax – ma, nel contrapporsi al disagio del vivere quotidiano, è l’anelito che tiene in vita l’uomo, spingendolo verso il sogno di salvezza, pur senza mai raggiungerlo.
Immagine di copertina: Foto di Taylor Deas-Melesh su Unsplash
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