
Dal 2 al 5 aprile si apre la 18esima rassegna del Festival Internazionale di letteratura a Venezia Incroci di civiltà, appuntamento annuale di letteratura dal mondo organizzato da Ca’ Foscari con la collaborazione della Fondazione di Venezia aperta quest’anno da un’anteapertura affidata a Noa, pseudonimo di Achinoam Nini, artista israeliana cosmopolita, origini yemenite, vissuta a New York fino ai 17 anni e da allora israeliana. Sabato scorso un concerto al teatro Goldoni sold out, accompagnata dal suo maestro di sempre Gil Dor (chitarra) e poi da Ruslan Sirota (piano), Omri Abramov (sax ed EWI) e Daniel Dor (batteria). Il mattino successivo si è presentata invece da sola a Palazzo Flangini nuova sede della Fondazione inaugurata in questa occasione, per un intervista/dialogo con il direttore generale della Fondazione di Venezia, Giovanni Dell’Olivo, aperta al pubblico.
Noa si è fatta preludio d’incrocio e ponte. Anzi, si è fatta incrocio a ponte, due figure semanticamente significative che difficilmente stanno insieme. Non a Venezia, città del mondo e dei ponti, che accorpano in un’unità plurale isole non più isolate. Viene in mente il ponte dei tre ponti, cui poi se n’è aggiunto un quarto. Noa si fa ponte tra arti (letteratura, musica, danza), ponte tra popoli e culture e storie, ponte tra palco e platea di spetta(t)tori perché coinvolti sia in teatro (chiedendo loro di cantare, poi dare il ritmo battendo le mani, infine di ballare), che poi a palazzo Flangini dove l’incontro si è fatto veramente pubblico sul finire, quando è stata Noa a dare la parola al pubblico presente. Dopo un primo momento di sorpresa per l’inaspettata occasione offerta sono arrivate domande, anche impegnative a cui non si è sottratta.
“Qual è il suo rapporto con la religione?” le ha dato modo di raccontare di non essere nata in una famiglia di religiosi, ciononostante i suoi le hanno fatto frequentare scuole religiose affinché, pur vivendo negli Stati Uniti, non perdesse l’identità ebraica:
per rispetto del senso identitario sono cresciuta ebrea, leggendo letteratura ebraica (non solo), oggi mi considero intimamente ebrea dal punto di vista culturale. Tornando alla religione, nel Talmud si legge di due saggi, (i rabbini Shammai e Hillel, vissuti nel I sec. a.C.) a cui si presenta un pagano che si voleva convertire: “Vi fu un altro fatto, che ebbe per protagonista un pagano, il quale si presentò dal maestro Shammai e gli disse: «Fa’ in modo che io possa entrare nella fede ebraica, a condizione però che tu mi insegni l’intera Torah mentre io sto su una gamba sola». Shammai lo cacciò via con lo strumento da misura dei costruttori, che aveva in mano (il cubito, lo stesso degli antichi egizi NdR). Quello allora andò da Hillel, che invece lo fece entrare nella fede ebraica dicendogli: «Ciò che su di te è odioso, al tuo prossimo non farlo. Questa è tutta la Torah, il resto è interpretazione. Ora va’ e completane lo studio». Rappresentano due orientamenti delle rispettive scuole e mi sento vicina alla seconda, che dice in sostanza di amare tuo fratello come ami te stesso.
A chi scrive, ignorante di ebraismo, colpisce l’attualità di questa storia dove il pagano sembra avere poco tempo da dedicare allo studio (come avviene oggi), quel tanto in cui può resistere su una gamba sola, ciononostante ha la pretesa di impararla per intero. Per questo Shammal – più rigoroso – lo respinge sdegnato, Himmel invece non rinuncia a in-segnare e cerca di segnare dentro il pagano condensando la Torah nel comandamento che ritiene essenziale, mette cioè a dimora dentro all’uomo un seme potente confidando che darà i suoi frutti nelle stagioni a venire.
Non poteva mancare la questione (molto più di una semplice domanda) di una signora che le ha chiesto come si sentisse davanti ai tanti, troppi morti di Gaza, ormai più di cinquantamila, morti ingombranti che non si cancellano e resteranno a pesare come macigni.
È un incubo a cui dobbiamo mettere fine, l’unica cosa che possiamo fare è protestare. Non sono solo conseguenza del 7 ottobre, ma di decenni di conflitto israelopalestinese, questione irrisolta, un vuoto che si continua a riempire di morte.
Ha detto proprio così Noa, non ha detto “un incubo a cui si deve…” ma “un incubo a cui dobbiamo metter fine”, e mentre lo diceva mostrava la maglietta dell’associazione delle famiglie degli ostaggi dov’è scritto in ebraico, arabo e inglese “È giunto il momento…”, che si riferisce alla liberazione degli ostaggi e da Netanyahu.
Si dice orgogliosa di far parte di un movimento di popolo che muove grandi masse.
Considerate che in Israele ci sono nove milioni di abitanti, quindi vedere centomila persone in piazza equivale a una manifestazione in Italia con seicentomila persone. A maggio si farà a Gerusalemme una grande conferenza organizzata dalla società civile per discutere insieme delle possibili soluzioni. Bello vedere quante realtà diverse collaborano, piangono, mangiano, dormono e vivono insieme. Questo dà speranza e dimostra che è giunto il momento.
La musica non può da sola cambiare il mondo, ma aiuta e sarà la colonna sonora del movimento aiutandolo a volare come wind under wings (vento sotto le ali). Una volta Shimon Peres disse a proposito di ottimisti e pessimisti che muoiono allo stesso modo… ma che vivono in modo profondamente diverso. Per questo ho cantato a Sanremo Imagine di John Lennon, una canzone ottimista che ha le parole giuste come orizzonte a cui puntare. Certo, bisogna stare attenti a non fare dei sogni proiezioni pericolose che degenerino, ma immaginazione e realtà si influenzano reciprocamente.
Ha poi messo in guardia dalle trappole dei social media, strumento utile ma anche pericoloso perché prediligono il sensazionalismo e selezionano destinatari di una data informazione a utenti uniformi, che non vedono i punti di vista diversi, più che ad aiutare a comprendere la complessità del reale indugiano morbosamente sul sangue, la sofferenza, la morte, guidati algoritmi che propagano odio e violenza tra chi sanno ne resterà più colpito.
Gli israeliani non sanno cosa pensano gli europei, come questi non sanno cosa pensano gli israeliani. Lo stesso vale con i cinesi, i russi o gli arabi. Vogliono metterci i paraocchi, restringere il campo visivo e farci ragionare in bianco e nero: se non sei con me sei contro di me. Ci vogliono disinformati, spaventati e confusi, ma le popolazioni si sono stancate e scendono in strada a protestare sconfiggendo il senso di solitudine. Si parlano, si ascoltano e specialmente si chiedono. Serious deep questioning! L’interrogazione è un antidoto contro le semplificazioni dell’estremismo che saltano alle conclusioni banalizzando la complessità.
Alla domanda su quali fossero i suoi musicisti preferiti risponde che “essendo cresciuta a NY ho amato da bambina successi di Broadway come West Side Story con le musiche di Leonard Bernstein. Il massimo è stata però la musica degli anni Sessanta, con Paul Simon (di cui amo dalla prima all’ultima canzone), Joni Mitchell e Leonard Cohen. Apprezzo anche Sting, musicista pop con cui ho suonato. Poi il jazz con Miles Davis, Ella Fitzgerald e Nina Simone. In sostanza, come diceva Duke Ellington, ci sono due tipi di musica: la buona musica e il resto. Il numero uno è comunque Bach.
Appena entrata in scena Noa ha fatto un discorso che vogliamo pubblicare per intero.
È davvero difficile trovare le parole per descrivere ciò che sta accadendo oggi nelle nostre vite. Sebbene la situazione a Gaza, in Cisgiordania, in Israele sia un vero incubo noi non siamo soli. Gli israeliani vedono gli abitanti di Gaza che manifestano contro Hamas, contro la guerra e per la pace. Gli abitanti di Gaza vedono gli israeliani che manifestano contro il nostro governo, contro la guerra e per la pace. Siamo gli uni i salvatori degli altri, solo quando lavoriamo insieme possiamo sperare di cambiare la amara realtà. Allo stesso tempo se ci guardiamo intorno l’intera famiglia umana sembra essere in una missione suicida dove la verità, la corruzione, il crimine, la violenza, l’odio, le continue menzogne e soprattutto la paura che è alla radice di tutto dominano ogni cosa, dalla politica ai media, dagli affari alle relazioni personali, dalle religioni agli eserciti, dalla cultura pop alle decisioni che prendiamo in ogni momento della nostra vita. Ma di fronte a tale follia, a tale oscurità viene data a ciascuno di noi la più grande opportunità della nostra vita quella di scegliere e di vivere in base alla nostra scelta. Siamo tenuti a chiederci chi siamo noi? che cosa definisce la nostra identità? la nostra famiglia, la nostra società, il nostro popolo, il nostro paese, che cosa è importante per noi? che tipo di compromessi siano disposti a fare? in che genere di mondo vogliamo vivere? possiamo vivere più semplicemente in modo che gli altri possano semplicemente vivere? siamo disposti a condividere? ci importa davvero? quanto comprendiamo nel profondo l’interconnessione di tutti gli esseri viventi qual è il nostro rapporto con il divino? Che cosa significa davvero per noi la parola pace, e cosa siamo disposti a fare per trovare la pace in noi stessi e negli altri? Sono grandi domande, ma vi dico amici miei che porle è un primo passo importante, il passo successivo è camminare sulla strada che avrebbe spianato il vostro cuore, camminato con coraggio, anche se all’inizio camminerete da soli siate certi che troverebbe compagni e amici lungo il cammino, a volte i più improbabili compagni di viaggio possono diventare la vostra nuova famiglia. Ogni giorno dico Achinoam tieni gli occhi alla mente aperti, ma segui il tuo cuore lascia che l’amore nel senso più profondo della parola guidi le tue azioni, le tue scelte, la tua voce. Non abbiate paura dell’oscurità siate la luce. Grazie.
Questo inno alla pace, alla convivenza, alla vita, si è poi dipanato nel concerto in una girandola di registri linguistici, poetici, sonori e musicali, che hanno spaziato dall’omaggio alla polifonia di Bach ai pezzi con sonorità fusion di medioriente e Napoli, fino successi planetari come La vita è bella di Nicola Piovani. Noa è cresciuta progressivamente fino a raggiungere l’attuale maturità di artista completa, ne ha dato prova cantasuonando in anteprima alcuni inediti, tutti scritti dopo il 7 ottobre, che usciranno a breve con il nuovo album The Giver (il donatore, che è colui che si dona donando) in cui per la prima volta firma le musiche insieme a Gil Dor e a Ruslan Sirota che ne anche il produttore. Molti dei pezzi prendono spunto e sono variazioni sul tema dello slogan che sentiamo urlare in piazza che presuppone l’eliminazione di Israele: from the river to the sea, palestina will be free. Un di queste è The fear (La paura) ma prima di cantare legge il testo in italiano della poesia di Kahlil Gibran, il grande poeta libanese da cui è tratto il testo. Il titolo in italiano è Il fiume e l’oceano e racconta della paura del cambiamento.
IL FIUME E L’OCEANO (The fear)
Dicono che prima di entrare in mare
il fiume tremi di paura.
A guardare indietro
tutto il cammino che ha percorso,
i vertici, le montagne,
il lungo e tortuoso cammino
che ha aperto attraverso giungle e villaggi.
E vede di fronte a sé un oceano così grande
che a entrare in lui può solo
sparire per sempre.
Ma non c’è altro modo:
Il fiume non può tornare indietro.
Nessuno può tornare indietro.
Tornare indietro è impossibile nell’esistenza e entrare nell’oceano.
Solo entrando nell’oceano
la paura diminuirà,
perché solo allora il fiume saprà
che non si tratta di scomparire nell’oceano
ma di diventare oceano.
Khalil Gibran
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