
Com’è noto, fu Bach a rivoluzionare la musica classica introducendo elementi strutturali, come il contrappunto o il basso continuo, che avrebbero modificato completamente l’organizzazione del fraseggio musicale. Il contrappunto fu un’evoluzione del canone che prevedeva la semplice ripresa, in un momento successivo, della melodia iniziale di un brano. Bach moltiplicò le possibilità di suonare più melodie diverse (come tutti possono rendersi conto, ad esempio, con il semplice ascolto di uno dei sei concerti Brandeburghesi) arricchendo questo suo contributo con la messa a punto del basso continuo, vale a dire una base armonica capace di fornire ulteriore spessore, ritmo e colore all’intreccio melodico.
Il basso continuo, che potremmo anche definire accompagnamento. era in genere affidato ai fiati (legni come i fagotti ma soprattutto ottoni) e a strumenti a corda come contrabbassi e violoncelli. L’importanza di un impianto armonico che sostenga le varie linee melodiche è ancor più evidente nei compositori tedeschi delle successive generazioni, in Brahms in particolare ma anche in Schumann, in Wagner e in molte opere beethoveniane e in molte opere beethoveniane.
Non certo nella prima sinfonia in do maggiore del grande compositore di Bonn, che risente ancora molto del clima musicale heydniano e mozartiano. Quanto a Mozart, occorre notare come una delle particolarità delle sue partiture ci sia sempre sembrata quella di non avere rigide regole di grammatica musicale o particolari percorsi compositivi da seguire se non, ovviamente, l’indicazione non della tonalità ma del ‘colore’ dei movimenti; allegro ma non troppo, andante con moto, menuetto grazioso e via dicendo. Nell’anno in cui Beethoven compose la sua prima sinfonia (1799-1800) perdurava ancora a Vienna il successo della sua sinfonia numero 40 in si minore. In assoluto la più travolgente ed appassionata mai scritta, a nostro avviso, dal grande salisburghese.
In essa ritroviamo a tratti il suo amore per la melodia che aveva dato luce e splendore alle sue tre opere italiane (su libretti di Lorenzo da Ponte: Così fan tutte, Don Giovanni e Le nozze di Figaro). Arie come Voi che sapete che cosa è amor… o la celeberrima Vorrei e non vorrei… sono sicuramente influenzate dalla vicina Italia dove, dopo il gran successo dell’Opera Buffa, si sarebbe presto affermato il ‘Belcanto’ dell’opera drammatica, grazie soprattutto a Donizetti, Bellini, Verdi e Puccini. Abbiamo spesso pensato che Mozart, nato e vissuto in Austria (stretta tra Germania e Italia), possa essere considerato un musicista il cui genio si sia nutrito anche delle tradizioni musicali dei due Paesi confinanti.
In Italia dunque fu il trionfo della melodia, sottolineato da ‘arie’ che attiravano folle di melomani più o meno istruiti. Da Casta Diva… (Norma) al Caro nome (Rigoletto), dalla Celeste Aida…alle commoventi E lucean le stelle… (Tosca) o È il sol dell’anima, la vita è amore… (Rigoletto). Melodie che entusiasmavano le folle non solo in Italia ma in tutta Europa, anche in Germania dove l’unica eccezione di rilievo fu il perfido giudizio di un astioso Richard Wagner sulla musica di Verdi che insultò definendolo ‘compositore di musica zum-pa-pa. Le melodie degli operisti italiani, va ricordato, accompagnarono le stagioni dei moti per l’indipendenza, del nascente patriottismo e perfino il nome Verdi diventò per molti italiani una sorta di sigla patriottica che stava, com’è noto, per Vittorio Emanuele Re D’Italia. Ma in quell’epoca di fervore patriottico, quando l’Unità del Paese era ormai un traguardo raggiunto, Gioachino Rossini compose la Petite messe solennelle (1863), una commovente opera di musica sacra dove il coro segue in maniera rigorosa la struttura del contrappunto, con le voci dei coristi che si alternano e si sovrappongono secondo linee musicali che si intrecciano per la gioia dello spirito di chi l’ascolta.
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