
Il 21 marzo con l’esordio di primavera siamo entrati nella buona stagione e il giorno dopo al Teatro del Parco Albanese di Mestre si è aperta La Stagione Buona. Così ha deciso di chiamarsi la compagine che si è andata formando dentro e fuori dalle aule del comune di Venezia, con una convergenza politica che si è fatta alleanza di scopo, dove lo scopo non è in negativo contro Brugnaro, ma in positivo a favore di una nuova idea di città. Quale? Non lo hanno ancora detto in dettaglio, al contrario dei due esponenti della via editoriale Alessio Vianello e Nicola Pellicani, – candidati in pectore rispettivamente dall’associazione I futuri di Venezia e dalla Fondazione Gianni Pellicani – che hanno messo nero su bianco la loro idea di città di cui nella stagione buona si dovrà tener conto.
In effetti il percorso avviato dal centrosinistra sembra procedere in modo politicamente non innovativo, invertendo la sequenza che di consueto antepone la scelta del capo a tutto il resto. Qui si è invece deciso di partire dalla coda, l’ascolto della cittadinanza e la partecipazione come metodo, da questo verrà il programma, solo dopo il capitano e la squadra, facendo tesoro dell’esperienza della scorsa campagna elettorale in cui ci si è avvitati sulla scelta del candidato.
In effetti il percorso avviato dal centrosinistra sembra procedere in modo inconsueto, invertendo la consueta sequenza che antepone la scelta del capo a tutto il resto, si è deciso di partire dall’ascolto della cittadinanza senza proiettare la partecipazione come traguardo ma assumendola come metodo per sviluppare in dettaglio il programma. Solo dopo verranno la scelta del capitano e della squadra, facendo tesoro dell’esperienza della scorsa campagna elettorale in cui ci si è avvitati sulla scelta del candidato. Si è preferito dare voce a chi in questi anni non l’ha avuta. Non perché afono o silente, ma perché inascoltato. Il decentramento amministrativo è stato vanificato, privando le municipalità delle deleghe e di una reale funzione amministrativa decentrata, riducendo la loro funzione da rappresentanza a rappresentazione di subordine. Decentramento amministrativo e partecipazione erano stati il fulcro dell’esperienza politica di Un’altra città possibile straordinaria esperienza che ha animato la scorsa campagna elettorale, movimento innovativo naufragato infine per il prevalere dei protagonismi e dello spirito divisivo per cui tutti erano pronti a unirsi accogliendo gli altri in casa propria, ma non a costruire una casa comune altra.
Un’altra città È possibile
Venezia è una città con pochi abitanti e una moltitudine di residenti/resistenti in agguerrita difesa della sopravvivenza della comunità e del suo tessuto sociale. Sbaglia chi li definisce un manipolo di agitatori di professione composto da giovani scalmanati e pensionati. I primi hanno dato vita ai Centro Sociali Autogestiti, che non sono covi di terroristi da contrastare con misure legislative come il liberticida decreto sicurezza, ma presidio di aggregazione sociale e vivaio di avanguardia politica; i secondi non sono vecchi fuori gioco da rottamare, hanno spalle forti per l’esperienza professionale maturata e messa a disposizione alla comunità. Insieme sono retaggio della sana attitudine all’impegno civico e alla mobilitazione civile, fiorita negli anni Sessanta/Settanta e poi evolutasi con progressiva crescente maturità fino a emanciparsi dalla (sola) protesta fino a farsi proposta e istituto civico di vigilanza sugli atti delle amministrazioni di destra e di sinistra, già perché di sconti non se ne fanno. A differenza dei partiti lo schieramento civico è libero da vincoli di appartenenza, è incontrollabile e la sua forza deriva dall’assenza di interessi diversi dal bene comune. Insieme alle strutture del decentramento amministrativo sono rimasti vittime dell’accentramento del potere anche gli istituti di partecipazione come consulte, forum, osservatori, conquiste politiche a cui la cittadinanza non intende rinunciare e mantiene in vita seppur private di una veste istituzionale riconosciuta.
Il tessuto di partecipazione all’interno della città è cresciuto in modo virtuoso con aggregazioni tematiche, radicate in parti di città (Piraghetto o Castello, quartiere San Marco o Dorsoduro, Altobello o via Piave…), espressione di comunità (bengalese e moldava, cingalese o cinese…) o su temi monografici (i diritto alla casa, alla città, alla sanità…). Sembra di avere imparato dalla pesca, dove per dipanare la lenza annodata bisogna allascare, allentare, e tirar fuori un filo per volta, altrimenti il nodo si stringe inestricabilmente fino a rendere necessario il taglio netto.
Delle associazioni fanno parte cittadini di grande esperienza con competenze specialistiche in ambiti disciplinari diversi, il che ha consentito di alzare il livello qualitativo dell’attività spesso sfociata in proposte legislative, ricorsi giudiziari, interrogazioni e azioni politiche a tutte le scale, da comuni e regioni fino ai parlamenti italiano ed europeo. I cittadini attivi sono sopportati malvolentieri e non vengono considerati portatori d’interesse degni di attenzione, a meno che le loro battaglie possano essere strumentalizzate e piegate agli interessi privati… in atti d’ufficio.
Basti pensare a OCIO (Osservatorio CIvicO sulla casa e la residenza, che porta l’attenzione diritto alla casa e monitora l’emergenza abitativa, scendendo in fisicamente in campo con passeggiate di informazione e denuncia, ma al tempo stesso produce importanti studi e analisi così colmando il vuoto lasciato dalla chiusura dell’osservatorio comunale della casa) o alla Consulta Civica per la Casa (che da voce ai disagi dei residenti nelle case ERP, in condizioni di abbandono, quasi una dismissione della missione pubblica), o ancora al comitato No Grandi Navi (in cui spesso si discuteva del complesso delle problematiche cittadine ma tenendo sempre la barra dritta su quel tema sull’incompatibilità della navigazione laguna delle navi di grandi stazza come quelle da crociera ma anche come le petroliere, un comitato che ha vinto importanti battaglie ma non ancora la guerra per la salvaguardia dell’integrità di Venezia e della sua laguna) o ad Alta Tensione Abitativa (che è una campagna, cioè l’insieme di operazioni organizzate per una determinata finalità che in questo caso è la regolamentazione delle Locazioni Turistiche, si è deciso di emanciparsi dalla protesta a vantaggio della proposta, elaborando sul tema una proposta di legge dello stato offerta alla politica che lo ha presentato in parlamento e i cui contenuti hanno ispirato leggi regionali e misure comunali per i contenimento del fenomeno che è ormai unanimemente riconosciuto come emergenza europea e internazionale). Questi sono solo alcuni degli esempi di un attivismo civico virtuoso anche quando si concentra su aspetti che si cerca di far apparire come marginali, iscrivendo d’ufficio gli aderenti al partito del non fare, della opposizione pregiudiziale a prescindere, mentre con la loro azione danno quotidianamente voce al partito del fare… ma del fare bene.
Sarà la volta buona?
Undici i simboli delle forze politiche cittadine rappresentate e non nell’attuale consiglio comunale. Un numero che può essere segno di debolezza se si riduce a una coalizione elettorale, o di forza se si fa processo di costruzione di un progetto di governo della città con obiettivi a breve, medio e lungo termine. Tanti? avrebbero potuto essere di più, se avessero aderito al percorso anche Azione, che non si è ancora ufficialmente schierata, e Tutta la città insieme che ha invece deciso di distinguersi correndo in proprio con altre realtà civiche come ABC (Ambiente Bene Comune).
Il sindaco, sprezzante e con la consueta sicumera, ha stigmatizzato la discesa in campo di una coalizione affollata di simboli definendola in sostanza come un’accozzaglia incapace di indicare un programma, i soliti quattro gatti che danno vita a una miriade di associazioni per sembrare più di quel che sono, sempre gli stessi, un manipolo di contestatori per partito preso che non rappresentano della cittadinanza che una sparuta minoranza. D’altronde il sindaco, con la sua postura padronale, ha dimostrato di ignorare che la mediazione, non è sconfitta e rinuncia ma è il sale della politica, è proprio da qui che bisogna partire per rilanciare la cultura politica contro l’analfabetismo e la riduzione della politica a transazione commerciale.
Dopo la presentazione al centro Candiani dello scorso dicembre, questo è stato il primo appuntamento, pubblico, non solo nel senso che era aperto a tutti i cittadini invitati ad ascoltare da spettatori in una sala teatrale. A loro si è data la parola… e se la son presa per farsi protagonisti del processo di costruzione di una proposta per il governo per la città. Proposta politica alternativa a chi oggi è al governo della città a cominciare dal metodo, opposto a quello di chi rivendica il diritto a governare a muso duro perché ha vinto le elezioni e si considera per questo un “eletto” che può fare ciò che crede grazie all’investitura ricevuta. Al centro c’è piuttosto la consapevolezza del dovere di offrire una prestazione di servizio alla città e per farlo bisogna innanzitutto formare la squadra, che potrà poi indicare il proprio capitano. Far squadra non è individuare i componenti di una possibile giunta comunale, ripartendo le cariche tra chi sostiene la coalizione a seconda del peso elettorale conquistato, è piuttosto coinvolgere quanti sono disposti a spendersi in prima persona per dare un’alternativa civica e politica al governo della città, e poi attingere tra questi figure autorevoli valorizzando le migliore risorse a disposizione per il bene della città.
Nella sala gremita del Teatro Del Parco, con i 260 posti a sedere tutti occupati, si sono susseguiti gli interventi delle undici forze politiche che aderiscono alla coalizione denominata, appunto, La stagione Buona, ma anche di cittadini e rappresentanti di associazioni e comitati intervenuti per portare il proprio punto di vista più che per una formale “dichiarazione di voto”. Lo confesso, ho temuto il consueto evento elettorale con interventi di testimonianza generale e generica venati da tentazioni egoiche individuali o collettive, in cui ciascuno racconta sé stesso, ribadendo le proprie frustrazioni, spesso legittime ma note perché ribadite ad ogni occasione.
Si è invece rivelato un pomeriggio di lavoro costruttivo, focalizzato su un unico tema preciso: la partecipazione, esercizio essenziale, significativo e di portata dirompente, di cui si ab-usa l’utilizzo per annacquarne il senso e neutralizzarlo, come si fa con altri termini significativi e ormai inutilizzabili come sostenibilità.
Ma torniamo alla partecipazione che s’intende adottare come metodo.
Partecipazione è azione partecipata, coinvolgimento, interazione, ascolto, dialogo, confronto e infine sintesi. Non è buona intenzione in teoria, ma una pratica da declinare a diverse scale e con modalità chiare e rigorose, da affinarsi progressivamente con l’applicazione e l’esperienza per avere ricadute incisive sui processi decisionali.
In questo caso non se n’è parlato solo come impegno politico a venire, ma si è voluto metterla subito in pratica già in questa fase. Come? Il tavolo del centrosinistra ha prima elaborato un proprio documento interno, poi ha avviato una fase di ascolto senza imporre le proprie posizioni, ora si aprirà una fase di approfondimento e affinamento della materia con il contributo di chi vuole darne per formalizzare questo che sarà uno dei punti del programma elettorale. Questa modalità è un investimento in termini di efficacia del cambiamento grazie alla metabolizzazione, che fa sentire il processo come naturale e proprio.
Nel corso della giornata non ci si è lasciati distrarre dalle legittime contestazioni al sindaco e a un’amministrazione dimostratasi incapace di contenere il suo piglio decisionista. È inutile indugiare su Brugnaro che è ormai politicamente irrilevante. Più utile è partire invece dai propri errori vicini e lontani, senza imporre a nessuno di presentarsi col capo cosparso di cenere, ma tenendo a mente gli errori commessi per evitare di ripeterli. La crisi della città ha radici ben più lontane delle ultime due sindacature.
La discontinuità è una indispensabile pregiudiziale politica, ma non basta. Non c’è solo bisogno di novità (le ultime sindacature lo sono state), ora serve quell’innovazione che è possibile se il NOI si farà l’elemento distintivo del processo di aggregazione, che non è scontato e su cui non si devono far sconti, partiti e movimenti possono convergere in una prospettiva di rispetto reciproco delle proprie identità e peculiarità, basta con le liste civiche civetta, specchietto per le allodole, anzi per gli allocchi.
Bisogna mettere al centro la dimensione di vicinato, come nucleo generatore di una città policentrica, non più unico centro e periferie ai margini, che si faccia una città di città, partendo da municipalità con rinnovata dignità e rafforzata funzione amministrativa per finire fino alla città metropolitana che non può restare una sorta di conferenza di servizi in cui ciascun comune porta le proprie richieste ma vero organo politico di scala intermedia.
C’è tanta la strada ancora da fare e sarebbe esagerato ricorrere al detto di Orazio dimidium facti, qui coepit, habet (“chi comincia è a metà del lavoro”, Epist., I, 2, 40), resta da verificare la capacità di dar gambe alle intenzioni e di aggregare consensi aprendosi ai bisogni e alle richieste della cittadinanza.
A sinistra il manifesto dell’incontro del 12.12.2024 e a destra quello del 22.3.2025 al Centro Culturale Candiani di Mestre.
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