[TOKYO]
“Abbiamo varcato la frontiera. Siamo già in Francia. Sicuro che non dobbiamo fermarci?” così mi sussurra quasi ogni giapponese che ho portato in macchina oltre il confine di Ventimiglia, appena entrati a Mentone.
Per gli abitanti dell’arcipelago con una delle più lunghe e recenti isolazioni (trecento anni tra il 1600 ed il 1868) della Storia, il fatto di varcare un confine sia fisico che ideale rappresentra un gesto misto di coraggio e paura. Più o meno quello che provò Kapuściński quando uscì dalla la sua natia Polonia in piena Guerra Fredda.
Per molti anni chiuso in se stesso per proteggersi dal temuto colonialismo europeo il Paese del Sol Levante varca i confini a fine Ottocento inagurando una stagione di espansione in Asia la quale lo ha nuovamente, seppur in forma parziale, isolato dai suoi vicini prossimi, dopo il 1945 e la caduta del proprio impero coloniale.
Già perchè oggi in Giappone, Paese con il quale l’Europa ha in attivo il trattato di libero scambio piu grande del Mondo (EPA) inaugurato nel 2019, la ferite aperte con i propri vicini prima e durante il secondo conflitto mondiale non si sono ancora ricucite.
I Coreani come i Cinesi visitano il Giappone e ne vedono un modello spesso da cui trarre ispirazione ma su certe questioni storiche i nervi sono ancora scoperti. Come per il sacrario Yasukuni, la questione delle donne di conforto, o schiave sessuali secondo la controparte coreana, o l’incidente di Nanchino, chiamato invece in Cina massacro.
L’Europa per molti anni ha fatto guerre. Guerre di secessione, di conquista, quelle che hanno portato alla colonizzazione e alla creazioni di imperi in cui il Sole non tramontava mai. Eterne albe di cui l’antico Giappone, dopo alcuni contatti con i “Barbari del Sud” come venivamo chiamati noi Europei, a furia di decapitazioni e crocifissioni di missionari e convertiti cristiani non volle mai farne parte.
Tuttavia in Europa dopo il 1945, quel Sole che proprio a Hiroshima e Nagasaki “sorse due volte” aprì la strada a una nuova unione fatta di popoli oggi incredibilmente divisi soltanto più per gli eventi sportivi e la pizza con l’ananas o la carbonara con il bacon. Se si escludono mascherine e vaccini.
Il sogno di quasi ogni giapponese è fare un viaggio in Europa. Di solito l’unico della vita. Alla fine della vita accademica, fatta di libertà e sogni, e all’inizio di quella lavorativa, fatta di rassegnazione ma sempre, e forse ancora di più, di tanti, tantissimi sogni.
Viaggiare da una capitale all’altra, visitare città, musei, ristoranti e soprattutto non dover tirare fuori documenti, fare lunghe code, e in ultimo, cambiar valuta, sono un lusso che molti ci invidiano. Per non parlare dell’Erasmus, da molti di noi europei considerato uno Spring Break all’americana, ma che nasconde una grande differenza. Chi fa baldoria a Cancun ha molto probabilmente speso da singolo quello che forse venti famiglie europee hanno speso per l’educazione dei propri figli.
In Giappone funziona non molto diversamente. Si lavora tutti ma chi vuole fare un buon lavoro deve aver fatto una buona università, una buona scuola preparatoria (in Giappone le ripetizioni si danno in veri e propri istituti preparatori), e via a scendere fino all’asilo. Il tutto “ça va san dire” con relativi costi. Divario peraltro tra Europa continentale e ormai, già ex, Europa insulare o Regno Unito di chiara impronta anglosassone. Dove a Cambridge quasi certamente entrano i migliori però non necessariamente e potenzialmente tutti.
Idem con il tema pensioni dove un alloggio a Tenerife o in Algarve come le proteste per la pensione a meno di 62 anni in Francia, resta risibile. Per molti in Giappone anche solo una casa indipendente, da noi aspirazione ormai quasi scontata da suonare antiquata come la note di “Voglio vivere così”, senza mutui da estinguere rappresenta il traguardo di una vita fatta per quarant’anni su treni o mezzi pubblici senza nemmeno una macchina. Altro che ZTL!
Quindi l’Europa dove “anche l’operaio vuole il figlio dottore” e i pensionati parlano di andare a svernare nell’alloggio in Costa Azzura sembra un sogno. E forse in effetti lo è.
Un sogno nato su degli scogli amari a Ventotene nell’ora più buia per l’Europa. Un modello di convivenza che ha tolto persone dalle trincee e le ha messe su di un prato di musica rock, house, metal. Le ha fatte conoscere, innamorare. E poi studiare, scappare da guerre, dittature e sistemi esotici per molti di noi annoiati dal “logorio della vita moderna” ma terribili per tanti altri che li vivono sulla propria pelle. Un modello che ha aiutato altri a migliorare il welfare interno e a ripensarsi come Paesi, proprio come noi stessi abbiamo fatto vedendo gli altri, conoscendoli, conoscendoci. Riconoscendo i nostri errori e forse peccando ancora di eurocentrismo, addossandoceli a volte più del dovuto.
E infine un modello soprattutto basato su di un concetto che è la base del convivere. La Pace. Dove abbiamo fatto di tutto per “svuotare gli arsenali e riempire i granai”, per citare il quasi sconosciuto discorso di Pertini proprio qui a Tokyo di fronte la Camera giapponese durante la sua visita nel 1982 [immagine di copertina].
Basti ricordare che se cade un mattone da un muro ne cadranno altri. Ma se se si mette un mattone gli uni contro gli altri, col passare del tempo si resterà divisi da una parete. Ognuno con il suo orgoglio in salsa “lockdown” dove si faceva a gara a chi aveva la storia migliore, il cibo migliore, la gente migliore perché ne studiava, assaporava e incontrava sempre meno.
Quindi ogni volta che varco la frontiera a Ventimiglia con qualche giapponese sopreso la mia riposta è sempre:“Non c’è bisogno di fermarsi. Proprio come quando si sogna”.
Più si sogna meglio è. Per noi. Per gli altri. Per tutti.
L’articolo Tokyo-Ventotene, andata e ritorno proviene da ytali..