
La guerra in Ucraina come fase locale
della globalizzazione della NATO.
La NATO guarda da tempo all’indopacifico. È la prospettiva in base alla quale è intervenuta in opposizione all’Operazione Militare Speciale della Federazione Russa in Ucraina. Che va concepita nel quadro della sua evoluzione geopolitica. Scopo di Washington era/è di impostare un approccio militare multilaterale capace di compattare l’Occidente contro la sfida comune di Mosca e Pechino.
Lo chiarisce J. Stoltenberg, allora Segretario dell’Alleanza Atlantica (J. Stoltenberg, What NATO means to the World, Foreign Affairs, 3/7/2024), individuando come decisivo il ruolo della Repubblica Popolare Cinese (RPC) nel sostegno a Mosca contro Kiev. Evidenziava così che è in Asia che si gioca la partita decisiva. Inoltre così riduceva il carattere veteroeuropeo della NATO, viceversa necessario ai tempi dell’URSS.
Era il senso, con alla Casa Bianca ancora i Democratici, della Washington Summit Declaration e del suo approccio di sicurezza a 360°. Iniziava ad emergere una NATO out area prima operativa nel Balcani e poi in Afghanistan. Peraltro la de-europeizzazione della NATO è confacente agli interessi della Penisola il cui riferimento strategico deve centrarsi, oltre il “fermo immagine” ucraino, sulla sua proiezione marittima.
L’Italia deve dare priorità al fianco Sud della NATO. Significa Mediterraneo, Canale di Suez per giungere al Pacifico. Cosa che rende l’Italia protagonista di parte occidentale della competizione globale tra Stati Uniti e Cina. Il quesito è se le tensioni euroatlantiche riducano e provincializzino la dimensione strategica della Penisola.
L’idea di un Atlantico più largo
Una scissione euroatlantica sarebbe la fine del concetto politico di Occidente post 1945. Sarebbe un problema serio per la Penisola determinato dal riapparire del Santo Graal (seppure con maschere ideologiche diverse) del mito veterogollista del divorzio euroatlantico. Concettualmente è la variante “forte” di dell’autonomia strategica europea intesa come “Europe potenza” affrancata da Washington.
In tal caso emergerebbero vari problemi. In primis un vuoto di capacità operativa (in termini di coordinamento di reparti, personale, capacità tecnologica (difficilmente colmabile a breve) dei reparti “europei. Poi si dovrebbero affrontare i costi del ritiro totale (300.000 fissi e 200.000 di immediato supporto in caso di crisi) delle forze degli Stati Uniti. Sarebbe il caso di una pura distopia.
Inoltre il passaggio degli Stati Uniti da alleati a competitori imporrebbe una decisiva novità al dibattito sulla difesa europea. Questa: che con gli USA in postura da sfidanti automaticamente la pianificazione militare dell’UE dovrebbe aggiungere alle “aree di ostilità” potenziali (ad Est principalmente la Federazione Russa) quella atlantica con gli USA. Poiché la sicurezza se seriamente intesa è a 360°. Un suicidio.
Nondimeno il pensare la “difesa europea” fuori dal quadro NATO è carsico. Esprime l’ansia d’abbandono del Vecchio Continente da parte dagli States. Ritornano spesso le parole del politologo Kagan che già nel 2002 affermava: “Gli americani vengono da Marte, gli europei da Venere, concordano su poco e si capiscono sempre meno”. Ecco perché gli States sono l’inquietante convitato di pietra della sicurezza europea.
Certo è che senza Washington a lungo l’UE sarebbe militarmente a “gola scoperta”. Pertanto la Realpolitik suggerisce di limitarsi a rafforzare il pilastro europeo dell’Alleanza Atlantica. Senza nascondersi le difficoltà del rapporto con Washington. Nondimeno, al di là dell’imprevedibilità politica, i vantaggi della cooperazione interatlantica permangono. La questione europea va affrontata in questa prospettiva.
Il nesso tra autonomia strategica
e difesa comune europea
Esso appare con la presentazione di un documento titolato Rearm Europe. Poi significativamente ridenominato Readiness 2030, cosa che gli dà, forse al di là delle intenzioni, un tono più operativo/militare indicando prontezza per l’azione bellica. È una sorta di “scatola concettuale” ancora da definire nei contenuti. L’obiettivo è di elevare la capacità militare degli Stati membri dell’UE.
Rearm Europe è anche questione economica. Perché necessita della messa in campo di risorse finanziarie. Lo ha affermato la presidente von der Leyen presentando il documento al parlamento Europeo. Trovano così riconoscimento le richieste di vari Presidenti statunitensi di un maggior impegno europeo. Di qui l’idea di una clausola di salvaguardia per sforare il Patto di stabilità oltre al 3% di deficit.
La finanza pubblica della difesa
Per il vero il lato finanziario di Rearm Europe è tuttora una pagina da scrivere. Soprattutto riguardo alla cifra complessiva supposta. Certi invece i 150 miliardi di euro del programma Security action for Europe (SAFE). È debito “europeo”, quindi con rating migliore di quello di molti membri dell’UE, prestabile a questi ultimi. Suo scopo è di favorire scelte comuni almeno tra due membri dell’Unione in ambito di sicurezza.
Tuttavia gli Stati membri che godono di rating migliori dell’UE potrebbero preferire di fare da soli (Germania) bypassandola. Mentre gli ottocento miliardi di euro annunciati sono solo stime. Relative alla disponibilità di altri Stati membri con minor spazio fiscale ad indebitarsi ricorrendo alla clausola di deroga al Patto di stabilità. Cosa che genererà a-simmetrie in ambito politico e militare in UE.
L’industria
Altro tema da definire riguarda la base industriale che dovrebbe sostenere il novellato sforzo di riarmo dell’UE. Il tema da studiare con attenzione è quello delle filiere industriali del settore bellico. Percorrendole però fino alle industrie fornitrici di beni all’economia militare. Piuttosto rare. A partire dalla Terni che per tipologia di prodotto è sola in Italia a produrre l’acciaio utile al business militare. Analogamente vale per la chimica di base e, classico esempio, per l’industria dei cuscinetti a sfera.
Nell’UE gli obiettivi di riamo, oltre a dover fare i conti con margini fiscali limitati, si trovano un’industria della difesa lontana dalle dimensioni di scala di cui dispongono gli USA. Poi è già sotto stress (compresi i magazzini) a causa dell’aiuto militare a Kiev. Il potenziale migliorativo ci sarebbe. Ma deve tenere conto che l’UE è costituito da Stati portatori di interessi autonomi. Tutto ciò incide sulla struttura del suo mercato militare.
Il punto è che l’industria della difesa europea è frammentata e legata a filiere extra UE. Va aggiunto che, seppure abbia come riferimento anche una domanda globale, è centrata su mercati piccoli, poco concorrenziali la cui richiesta è per bassi numeri di produzione. In altri termini spesso a fare il mercato sono gli appalti nazionali.
L’Italia lo conferma guardando ai tre domini della economia della difesa: 1) terra (carri, ad esempio); 2) aerospaziale (caccia; satelliti); 3) mare (navi di superfice, sottomarini). La struttura del mercato è oligopolistica con relazioni con la Germania sub 1 e2 e con gli USA sub 3. In specie qui vi sono carenze di R&S che creano forme di dipendenza.
Tema delicato è la preferenza suggerita da Rearm Europe per il bay european. Avvantaggerebbe la Francia che ha l’industria militare più “completa”. Al contrario per la Penisola in molti settori è decisivo, specie per la componentistica, il buy American.
Il modello organizzativo previsto
In linea teorica le opzioni sono due. La prima sarebbe quella di un’univa forza di Difesa Europea dipendente politicamente da Bruxelles. Impossibile per l’essere UE un’organizzazione di diritto internazionale come il Tribunale per il diritto del mare, la NATO, il Patto di Varsavia. Questo a parte altri interrogativi sul comando di essa (la nucleare Francia) e la permanenza di FFAA nazionali.
Quindi Rearm Europe riconferma il “modello NATO”: una Forza di difesa europea strutturata sulle forze armate nazionali. Restano da meglio stabilire i criteri di attribuzione del comando; la distribuzione delle risorse tra ambito nazionale e quello comune. Fin qui la NATO ha risolto i problemi dell’interoperatività delle diverse FFAA; fuori di essa potrebbe sbriciolarsi tutto essendo politicamente l’UE la foma politica della NATO.
Al di là dell’eurocentrismo
la sicurezza è globale
Come detto, il vero limite del Rearm Europe è di essere tutto ancorato ad un provincialismo geopolitico eurocentrico. Basta tenere in conto che combattono in Ucraina reparti dell’esercito della Corea del Nord. Ciò significa che le aree atlantica e indo-pacifica tendono a convergere. Questo vale pure per la geoeconomia. Solo la NATO, al di là di vetero gollisti terzismi, può garantire all’UE la proiezione geostrategica necessaria.
Certo, l’Europa come penisola dell’Eurasia conta. Ma questa dimensione nel mondo dopo l’URSS è più globale che europea in senso stretto. Il motivo è che lo spostarsi degli assi geoeconomici e geopolitici verso l’Asia impone pure agli Stati membri dell’UE nuovi scenari di sicurezza. Il Rearm Europe, da come presentato fin qui piuttosto provinciale, avrà senso se oltre alla militare assumerà una postura geostrategica globale.
La missione NATO in Afghanistan, sebbene finita in vergogna, mostra il “dove andare”. Dal militare, all’economico, al finanziario tutto indica instabilità. Pertanto, Rearm Europe ha senso nel quadro di una “Terza NATO” più globale che europea.
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