
Chi guarda all’economia urbana con occhio aziendale, affidando ai numeri la genuina espressione del successo di un mercato, quello turistico, attribuirebbe a Venezia un successo strepitoso. In pratica ogni anno gli arrivi crescono di un milione di presenze, che la Giunta veneziana annuncia gongolando per il successo. Al tempo stesso deliberatamente ignora tutto ciò che accade nelle retrovie urbane, là dove la pressione turistica espelle gli abitanti.
Quale interpretazione del caso Venezia?
Venezia percorre una traiettoria urbana che la allontana da tutte le altre città del Nordest, il laborioso esportatore di beni. L’economia veneziana opera invece nel senso opposto: importa quota crescenti di domanda, quella turistica, vendendo le vestigia di una città che quasi non c’è più. Sdraiata su di una economia da posizione, che tale è l’economia turistica, Venezia è oggi arroccata a difesa intransigente dell’esistente, esattamente come altrove operano le secolari concessioni demaniali delle spiagge. Dichiarate intoccabili.
Ma la città si misura anche con la sfida ambientale del cambio climatico. Quello che annuncia drammaticamente una crescita dei livelli marini dai quali al momento non c’è soluzioni che possa tutelare la città. Di questo si sa, ma non si parla.
Si apre ora la partita del rinnovo della locale amministrazione dopo un decennio passato all’insegna del più assoluto liberismo di intrapresa economica urbana. Alberghi, fitti brevi, bar, plateatici, trasporti e così via. In pratica il sostegno dichiarato alle varie forme di overturismo come opportunità di accesso senza limiti a ogni forma di rendita urbana, posta al servizio della overdomandaturistica.
Su questo terreno di confronto si misurano due contrapposti approcci al futuro della città.
Le coalizioni
Il centro destra impegnato in una disputa sul colore del futuro reggente da nominare come depositario della gestione corrente. Non è infatti in discussione l’attuale modello di gestione urbana per il grande successo ottenuto dall’imprenditore, divenuto sindaco, che ha incarnato il mandato nella forma di un consiglio di amministrazione urbana composto da nominati.
Il centro sinistra è invece impegnato nella più complessa opera di composizione di proposte e di proteste da parte di una pluralità di soggetti, civici e politici, interpreti della necessità di una gestione politica alternativa, espressione congiunta di opposizione e di proposizione.
Due le modalità di approccio in campo
Una esprime il primato di un’alleanza politica come precondizione per la condivisione del comune programma. L’altra si presenta invece con due narrazioni che inseguono una idea di città non più eterodiretta da gruppi di interesse ma soggetto di una propria ritrovata identità, forte e innovativa. Una città protagonista di un nuovo ciclo di vita urbana da opporre all’attuale palese decadimento. Economico, demografico e ambientale. Un quadro di rendite fruttuose, umilianti per i giovani e per la qualità del lavoro. Due cose che si tengono.
Da qui una visione di lungo periodo per superare i limiti stessi del dibattito sull’esistente quale terreno unico di confronto.
Anche in questo caso due i percorsi con similitudini e differenze. Entrambi espressioni della società civile, entrambi frutto di specifiche competenze professionali non scisse dalla politica, ma non da questa determinate. Questo la strategia scelta dai “Futuri di Venezia” per uno scenario di lungo periodo. Altra la Fondazione Pellicani, che propone e aggiorna il lavoro di monitoraggio pluriennale su cui avanzare una diversa traiettoria urbana.
La dimensione metropolitana
Nel delineare un futuro diverso della città alcuni passaggi paiono obbligati ad entrambi. Ridefinire la dimensione metropolitana, governare l’economia turistica, dare concreta prospettiva alla stretta interdipendenza tra casa e lavoro.
Sullo sfondo la comune consapevolezza di operare dentro una realtà metropolitana, non nella versione riduttiva di una provincia rinominata attorno alla città vetrina, ma vero cuore del Veneto centrale.
Baricentro del Nordest. Quella metropoli multipolare che la regione si rifiuta di riconoscere secondo la vulgata leghista del “divide et impera”. Anche a costo di perdere colpi dentro un modello ingessato di relazioni in cui aziende e territorio non riescono a dialogare fuori da una visione campanilistica. Solo il ricorso alle olimpiadi riesce a ricomporre gli interessi dentro un quadro unitario dove il vero legante è ancora una volta quello turistico.
Venezia non più solo principale nodo infrastrutturale del Nordest, con la città vetrina è buona per ogni uso, ma perno di una ritrovata competitività su base metropolitana, quello che serve per ricomporre gli asset del territorio, proponendosi in modo innovativo sulla scena internazionale.
È questo il senso di un diverso uso del brand Venezia, aggiornandone radicalmente il significato alla attualità. Sotto il segno della innovazione. Simbolo di una eredità che valorizza il ruolo della qualità, quella storicamente sedimentata nel tessuto urbano. Ciò che serve per soppiantare la penosa deriva di una città sottoposta allo sfruttamento turistico di massa. Quello che sta erodendo la percezione della immagine urbana e la integrità stessa del patrimonio ereditato.
Turismo e dinamiche di mercato
Il turismo resta infatti al centro di qualunque riflessione si voglia proporre sul futuro di Venezia. Oggi, nel pieno del trend di mondiale di crescita turistica che investe la città, le cifre dell’ultimo anno – il 2024 – hanno abbondantemente superato i trenta milioni di presenze. Il destino urbano sempre più piegato al ruolo di puro contenitore. Esattamente come uno stadio.
Questo genera l’equivoco che la “gestione” tecnologica dei flussi rappresenti la soluzione del problema, quando la verità è semplicemente del “contenimento” turistico. Due concetti agli antipodi! La pura gestione intesa come rimedio unico esprime la deliberata sottomissione a qualcosa di ineludibile. Si tratta invece di una decisa marcia verso la vera e propria estinzione urbana.
La soluzione che serve passa per la ricomposizione del quadro della strumentazione amministrativa della fiscalità, della regolamentazione e del marketing. Ciò che serve per governare una economia turistica. Un’ azione congiunta per proteggere la qualità urbana e reperire le risorse adeguate agli investimenti. Se oggi il convento è povero e molti frati sono ricchi, significa che dal turismo provengono le risorse necessarie.
La introduzione del ticket, insignificante per il contenimento e per il gettito, è lungi dall’essere ciò che serve.
Alla qualità del turismo serve un rapporto virtuoso di scambio tra visitatore e città. A un adeguato prelievo sugli accessi deve corrispondere una offerta qualificata di servizi per modelli di visita consapevole, rispettosa della città e dei cittadini. Oltre che dei turisti stessi non più trattati come massa indistinta. È questo il caso in cui la tecnologia è chiamata a fornire un supporto decisivo alla gestione programmata del rapporto tra flussi e servizi.
E ancora, quando si parla di governance del “mercato urbano”,nondi solo turismo si tratta, ma dei fondamenti stessi di vita di città. Abitazione e lavoro. Ciò che oggi spiazza gli abitanti e appiattisce la qualità del lavoro, entrambi deprimenti corrispettivi della turistificazione urbana.
La selezione abitativa regolata dalla esposizione del patrimonio ai valori del mercato internazionale, mentre la domanda di lavoro contempla solo forme subordinate di manualità dei servizi, significa che non più di questo l’attuale turismo necessita, e tantomeno desidera.
Schieramenti e contenuti
Questa è la discriminante su cui si dispongono alleanze e contrapposizioni tra gli opposti schieramenti politici. Sia al loro interno che tra blocchi contrapposti.
La composita maggioranza conservatrice di piccoli e grandi interessi, diretta espressione dell’amministrazione corrente, è tutta schierata nella caparbia difesa dell’esistente. Supremazia del mercato, in tutte le sue forme e articolazioni. Dal superlusso al takeaway di massa. Ticket esente.
All’opposizione spetta quindi il compito di introdurre forme di regolazione del mercato turistico e di riaprire quello abitativo, dove all’azione pubblica è demandato il compito di correggere le tante storture presenti.
Venezia in questo non è sola. La questione riguarda molte altre città italiane ed europee, assieme a molte altre città occidentali.
Nel quadro internazionale Venezia rappresenta comunque un test di governance degli effetti che la globalizzazione turistica produce sulle città. A nessuno sfugge che tanto il successo che l’insuccesso sono destinati a incidere sul futuro della città.
Immagini del recente incontro (sabato 12 aprile). nel chiostro di M-9 a Mestre, di Ri-Pensare Venezia, progetto di ricerca della Fondazione Pellicani: una piattaforma di studio volta ad approfondire le trasformazioni che più caratterizzano Venezia e il nostro tempo. Una successione di focus di ricerca per scavare nel presente e guardare al futuro, per immaginare la Città che vogliamo a partire dall’analisi della Città che viviamo.
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